Omelia Giovedì Santo “in coena Domini”
Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Cattedrale di Pennabilli, 24 marzo 2016
Es 12,1-8.11-14
Sal 115
1Cor 11,23-26
Gv 13,1-15
Ore di amore e di passione.
Con la Chiesa sposa col suo sposo.
Tre sere di veglia e di contemplazione.
Certo: non lasceremo fuori dalla preghiera le ore drammatiche che sta vivendo l’Europa; non dimenticheremo i problemi etici che affliggono la nostra società, né le preoccupazioni pastorali che allertano la Chiesa oggi.
E tuttavia – nella nostra preghiera – predominerà la contemplazione dello Sposo.
Questa sera siederemo alla mensa di Gesù come gli Apostoli nel Cenacolo. Ci distenderemo, domani sera, con lo Sposo sul letto della sua croce. Scatteremo in piedi, alzando le nostre mani al canto degli Evviva! sabato notte.
Questa sera, sedendo a tavola con Gesù (come facciamo ad ogni Messa), canteremo Osanna! Domani sera, prostrati, invocheremo Kyrie Eleison! Festeggeremo, sabato nella Veglia pasquale, cantando infiniti Alleluia.
Osanna, Kyrie eleison, Alleluia: tre parole di cui dobbiamo scoprire e gustare il significato; tre parole che vengono da lontano, che non appartengono alla nostra lingua. Ci ricordano che noi siamo stati graziati da una prima evangelizzazione.
Eravamo olivo selvatico; successivamente siamo stati innestati nell’olivo buono (cfr. Rom 2,24).
Domenica scorsa (domenica delle Palme) con i fanciulli ebrei e con la gente di Gerusalemme siamo andati incontro al Signore cantando: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il figlio di Davide, il re di Israele! Nel più alto dei cieli. Osanna!» (cfr. Marco 11,9-10; Lc 19,37-40; Mt 21,9-11).
C’è chi si stupisce per tanto chiasso attorno a Gesù.
C’è chi vorrebbe imporre silenzio, ma «griderebbero le pietre!» (Lc 19,40).
C’è chi saluta Gesù re; ma egli corregge immediatamente l’acclamazione respingendo, ancora una volta, l’idea di un messia guerriero trionfatore. Egli sale su un asinello e si presenta quale messia dei poveri, degli umili, di coloro che pongono la loro fiducia solo in Dio.
Questa sera, prima di sedersi a tavola con noi, Gesù si toglie la veste, indossa il grembiule del servo e si mette a lavare i piedi dei suoi amici. Ecco il messia per il quale cantiamo Osanna!
Osanna! è una parola ebraica, l’abbiamo gridata domenica scorsa, ma la cantiamo in ogni Messa. È una preghiera. Nell’Antico Testamento esprime la domanda di aiuto rafforzata dal suffisso “na”, equivalente al nostro “dai” (come si dice qui in Romagna). «Salvaci, dai!». Ben presto questo grido di aiuto s’è trasformato in un grido di festa, un’ovazione. Chiedi salvezza e già l’hai ottenuta!
Tradurre Osanna! con Evviva! è ancora poco, meglio pensare agli Urrà fragorosi di una folla.
C’è un salmo che inquadra il nostro Osanna! e lo illustra attivamente. È un salmo col quale il popolo canta il corteo di trionfo del suo re, del suo Dio.
«Grida di giubilo e di vittoria…la destra del Signore ha fatto meraviglie… Non morirò, resterò in vita… la pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo, ecco l’opera del Signore… Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso…». E questi i versetti che più ci interessano: «Dona (“dai!”), la tua salvezza, Signore (Osanna), dona (“dai!”), Signore, la tua vittoria (Osanna). Nel nome del Signore benedetto colui che viene» (Sal 117(118), 25-26).
In questa prospettiva facciamo riecheggiare il nostro grido, invocazione e acclamazione, all’inizio della prece eucaristica, quando il Signore, Colui che viene, è atteso e accolto dal cuore dei suoi fedeli. «Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo… I cieli e la terra sono pieni della tua gloria».
Quindi: «Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli». Cantiamola questa preghiera, con le labbra e coi nostri cuori, in questa sera speciale e tutte le volte che ci accostiamo all’altare in offerta e dono al nostro sposo. Osanna! grido di soccorso: «Dai, aiutaci Signore!». «Dai, salvaci, Signore!».
Osanna! grido di vittoria. Il Signore, re vittorioso, viene a noi, Urrà! con le conquiste della sua morte e risurrezione. Viene con la dote nuziale: Urrà!
Grido di gioia, di riconoscenza, di fede nel suo amore sconfinato e pazzesco. Evviva, anzi, Urrà!