Omelia durante la celebrazione del Mandato agli operatori pastorali

Pennabilli (Cattedrale), 22 settembre 2019

(da registrazione)

Carissimi,
è un momento molto bello, di famiglia, e la prima parola che mi viene spontanea, la stessa che ho detto l’anno scorso, è: «Grazie!». Grazie, a nome di tutte le comunità e a nome di tutta la Diocesi. Ognuno di voi si impegna, lavora, soffre, vive il sacerdozio regale, la profezia, la regalità.
C’è una parola che è tornata spesso l’anno scorso, una parola che ha suscitato stupore: il dire che noi abbiamo scoperto la risurrezione nella morte. Apparentemente è lapalissiano dire “risurrezione nella morte”: se c’è risurrezione, bisogna che ci sia prima la morte. Ma non è in questo senso che dobbiamo intendere l’espressione e neanche in senso masochistico, intimistico: siccome siamo in situazione di prova, di morte, allora ci consoliamo con questa speranza. No, la risurrezione è un messaggio di liberazione, di luce, di salvezza.
Dove trovare la risurrezione, potenza di Dio? La troviamo annidata dentro le situazioni di fallimento, di fragilità, di morte. Situazioni che sembrano montagne impossibili da spostare. La fede sposta le montagne; la fede nella risurrezione ci fa vivere il fallimento, la fragilità, la prova con una grande speranza. Mi diceva una persona che lavora alla Congregazione per la dottrina della fede che fra i temi candidati per il prossimo Sinodo ci sarà quello della vita eterna. Considerare la vita eterna non significa sminuire l’impegno sulla terra, ma noi siamo quelli che credono nella risurrezione, ultraterrena ma presente già nella nostra vita; siamo quelli che osano immaginare di “spostare montagne”. Gesù ha detto che basterebbe la fede di un granellino di senape per spostarle. Beninteso, non dobbiamo spostare il monte Carpegna, ma le montagne dentro di noi e attorno a noi (nella società).
Ricordo un vecchio “spiritual” (i blues composti dagli schiavi che lavoravano nelle piantagioni di cotone) che dice più o meno così: «Dove hai trovato quella veste bianca tu che sei sempre sporco, impolverato, sudato? Questa veste bianca l’ho trovata alle porte dell’inferno». C’è risurrezione nella morte! Questo è il kerygma. Lo dico con le parole semplici, incisive, puntuali, brevi di papa Francesco: «Dio ti ama immensamente. È vivo. È vicino. Ti libera. Ti salva». Questo kerygma è stato anzitutto sillabato da Gesù. Gesù si è trovato davanti una montagna insuperabile che era la sua Passione. Ha pregato di essere liberato (cfr. Ebr 5,7). La Scrittura dice che fu liberato… Ma come? È morto! È stato liberato perché ha saputo vivere da figlio quella prova: ha spostato la montagna, è risorto. E Gesù dice a noi, a nostra volta, di fare questo annuncio. Un tempo si diceva “con le parole e con le opere”. San Francesco preferiva dire: «Qualche volta anche con le parole».
La nostra situazione è stata raffigurata molto bene con un’immagine, il dipinto di Caravaggio: “Paolo caduto da cavallo”. Ecco la nostra Chiesa. Essendo caduta da cavallo, ha le ossa rotte. Ne ho parlato con Sveva, la nostra eremita, che mi ha detto ironicamente: «Avrebbe dovuto fare a meno di andare a cavallo!». Fuori di metafora: una Chiesa che va a cavallo, tronfia e dominatrice, terrena, diventata talvolta potenza, può cadere facilmente. Nel dipinto di Caravaggio, Paolo è dipinto con le mani in alto, gli occhi socchiusi, che si intravvedono appena: è nell’atteggiamento dell’umiltà, che fa presagire tutto quello che l’apostolo farà. San Paolo ha tutt’altro che le ossa rotte. Così penso la Chiesa, al di là degli incidenti di percorso. Il Papa ha aperto il percorso delle sue catechesi parlando delle potenze di questo mondo che si sbriciolano. Ma la Chiesa guarda Gesù.
Mi preme sottolineare che kerygma e Battesimo non sono in sovrapposizione e non sono due realtà giustapposte. Il kerygma sfocia quasi automaticamente, per sua natura, nel sacramento del Battesimo. E il sacramento è annuncio. Dunque, non viviamo un altro tema rispetto all’anno scorso. C’è una continuità intrinseca. Il Battesimo non fa altro che sancire, manifestare, la nostra configurazione al Figlio.
Nel prefazio della S. Messa (la preghiera che introduce il canto del Santo), oggi, abbiamo ascoltato queste parole: «Così hai amato in noi ciò che tu amavi nel Figlio». C’è una sorta di scambio: quando il Padre guarda ciascuno di noi, riconosce nientemeno che Gesù, perché siamo entrati nella Trinità nel Figlio. È un modo di esprimersi figurato, imperfetto, analogico, ma è così. Il Padre vede Gesù in ciascuno di noi. Per questo Gesù ha potuto dire: «Anche un bicchier d’acqua dato al più piccolo dei fratelli è stato dato a me» (cfr. Mt 10,42). Ciò è accaduto per l’incarnazione.
Come hanno detto gli amici che hanno presentato il Programma pastorale, il Battesimo va fatto “funzionare”: una parola non appropriata, ma che fa capire bene. Ancora meglio usare le parole di Gesù: «Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa» (Mt 5,15). Inoltre, invito a ricorrere alla grazia del Battesimo. Quando abbiamo davanti difficoltà o decisioni che non sappiamo prendere, occorre ricordarci del Battesimo. Bisogna riscoprirlo. Ma c’è anche una dimensione comunitaria. Qui riuniti siamo un popolo di battezzati, che annunciano di essere figli di Dio.

Concludo con alcuni avvisi “pratici”.

  1. Ci diamo tutti appuntamento alla vigilia di Pentecoste, sabato 30 maggio, per un momento di verifica. È giusto avere la possibilità di esprimersi, anche di rivolgere critiche, purchè siano costruttive (nel quaderno del Programma pastorale troverete una decina di pagine con la sintesi di tutto quello che è stato detto nell’assemblea diocesana del giugno scorso).
  2. Una grande novità, per non tenere “in folle” il nostro motore, è un modo nuovo di parlare della formazione degli adulti. Abbiamo usato il termine “laboratori della fede” (anche se già ci sono in molte parti della Diocesi) per dare l’idea che non dev’essere una lezione cattedratica, ma un’esperienza di comunità da creare, plasmare o rinnovare. Ringrazio l’Ufficio Catechistico Diocesano che ha preparato delle schede di lavoro, un piccolo strumento contenente una preghiera d’inizio, alcune note del Catechismo della Chiesa Cattolica sul Battesimo, spunti di riflessione e un impegno pratico per il mese.
  3. Concludo dicendo che dovete voler bene, apprezzare, gli Uffici Pastorali. Non si tratta solo di distribuire e affiggere manifesti, pur necessari perché abbiamo bisogno di comunicare. Ringrazio tutti gli Uffici Pastorali per il loro puntuale e generoso servizio.

Grazie per il vostro ascolto e per la vostra partecipazione.
Buona preghiera e buona continuazione