Omelia Domenica delle Palme
Omelia di S.E.Mons. Andrea Turazzi
Cattedrale di Pennabilli, 29 Marzo 2015
Is 50,4-7
Sal 21
Fil 2,6-11
Mc 14,1-15,47
Siamo di fronte al “libro aperto” nel quale Dio ha detto e dice tutto di sé. Quel libro scritto a caratteri di sangue è il Crocifisso. San Giovanni della Croce nella sua opera: “La salita al monte Carmelo” risponde a chi chiede perché mai Dio non si manifesti più come nell’antichità con sogni e visioni: “Perché nel suo Figlio crocifisso ha detto tutto. Non ha più nulla da aggiungere” (cfr. Salita al monte Carmelo 1, 21). Abbiamo letto la Passione secondo Marco. Gesù, in tutto il Vangelo di Marco, viene presentato come un mistero, un enigma. Tutti si chiedono: «Chi è mai costui?». Lo stesso Gesù chiede: «La gente chi dice che io sia?» (cfr. Mc 8, 27). Per i famigliari è un pazzo, «fuori di sé» (Mc 3,21). Per le autorità un indemoniato (cfr. Mc 3,22). Per il popolo un guaritore. Risposte false o insufficienti. I discepoli intuiscono qualcosa di più: «Tu sei il Messia» (Mc 8,29), ma lo fraintendono in senso politico. Solo alla Passione il velo si squarcia (cfr. Mc 15,38). Alla domanda del sommo sacerdote: «Sei tu il Cristo, il figlio di Dio benedetto?» (Mc 14,61). Gesù risponde: «Io lo sono!». Quest’uomo sofferente, abbandonato dai suoi, processato dalle autorità come un criminale, irriso dalla folla per la sua impotenza a salvarsi, che grida a Dio la sua angoscia, quest’uomo è il Figlio di Dio!
In quest’ora in cui Gesù non può più fare miracoli, né predicare, né mostrarsi autorevole, Gesù è davvero il Messia. Con l’intero vangelo e, in particolare, con il racconto della Passione. Marco ci avverte che finché vediamo in Gesù il Messia terreno da cui attendersi salute, fortuna, successo, ne saremo delusi, finiremo per voltargli le spalle come i discepoli. Ma se, al contrario, sapremo accettare lo scandalo della croce, allora incontreremo il Salvatore anche nella esperienza ripugnante della malattia, dell’abbandono, del fallimento. Se ascoltiamo la Passione solo con un sentimento umano proveremo un senso di disgusto per una morte così ingiusta, ma se contempliamo il Crocifisso con fede scopriremo in lui la suprema rivelazione dell’amore, fino a confessare, come il centurione romano: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). In quella morte ha visto Dio. «Scendi dalla croce» (Mt 27,40), gridavano gli altri. Ma se scende non è Dio, è ancora logica umana che vince, è quella del più forte. Solo un Dio è capace di non scendere dalla croce. Gesù si consegna con sentimenti di infinito amore. È la meditazione credente della Passione. Non capiremo mai sino in fondo…“È troppo!”.
Ma Gesù è venuto perché ci aggrappassimo alla sua croce, lasciandoci sollevare da lui.
Ogni grido, ogni abbandono può sembrare una sconfitta, ma se messo nelle sue mani ha il potere di far tremare la pietra di ogni nostro sepolcro.