Omelia di Natale – Messa del giorno
Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Cattedrale di Pennabilli, 25 dicembre 2016
Is 52,7-10
Sal 97
Eb 1,1-6
Gv 1,1-18
Oggi vogliamo raccontare nuovamente il Natale. La fede cristiana non è altro che un racconto, un racconto di Cielo: il racconto della nascita del Signore in mezzo a noi. Come sapete, un racconto che viene fatto col cuore contiene una grazia particolare. I primi cristiani chiamavano tale grazia kerygma. Quando raccontiamo che il Verbo si è fatto carne, che Gesù è cresciuto, ha dato la sua vita per noi, è morto ed è risorto, in questa narrazione è concentrata la forza del Vangelo. Certo, nel fare il racconto occorre la perizia dello storico, occorrono le capacità della narrazione, ma soprattutto occorre che il racconto venga fatto coinvolgendo il cuore.
Questa mattina la liturgia ci propone una riflessione più profonda. «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo noi. E noi vedemmo la sua gloria». È il cuore del Prologo al Vangelo di Giovanni, l’evangelista che viene rappresentato come un’aquila, perché ha saputo innalzarsi alle vette della contemplazione e sorvolare gli abissi del mistero di Cristo.
Prima ancora di apparire nel grande giorno, quel Bambino è stato ricamato pian piano dallo Spirito Santo: è Dio! Ricamato con la carne e il sangue di Maria: è uomo! Mistero sul quale non finiremo mai di soffermarci per meditare e contemplare. La Parola (il Verbo, il Logos) viene “covata” nascostamente nel grembo della Vergine. È un avvenimento apparentemente infimo e segreto, ma esploderà per colmare il mondo e il tempo. Per questo gli angeli cantavano: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama». Ma tutto questo occorre che arrivi a tutti noi. È necessario che il Verbo prenda dimora in noi perché godiamo della sua pienezza e da lui «riceviamo grazia su grazia». Dio si è fatto uomo perché noi siamo divinizzati dalla grazia. Da qui la nostra preoccupazione di non essere mai in peccato, ma di essere tralci uniti alla vita. Non si può guardare il Natale da fuori, da lontano. Bisogna fare di se stessi abitazioni e grembi del Verbo. Egli – secondo la dichiarazione dell’angelo a Giuseppe – è l’Emmanuele, il Dio-con-noi (cfr. Mt 1,23). Un nome – Emmanuele – che viene da lontano; preparato da lunga data, vero codice genetico che, in germe, contiene registrata tutta la storia di Dio con noi, fino al suo incredibile coinvolgersi.
La fede cristiana ha questo di audace e di assolutamente unico ed originale: Dio si fa innominabile e inconcepibile senza noi, perché vuol prendere carne e nome da noi!
La natività è sposalizio che Dio consuma con il “noi” dell’umanità: meravigliosa promiscuità di carne e spirito in una unica persona, Gesù Cristo. La Chiesa da sempre confessa, nell’unica persona di Gesù Cristo, due nature (l’umana e la divina) in unità «senza confusione, senza separazione, senza mutazione, senza divisione» (Concilio di Calcedonia, DS 302). Il contenuto e il termine ultimo della fede e della speranza cristiana non è né una umanità emancipata da Dio, né un Dio goduto intimisticamente nell’indifferenza verso il mondo, perché Dio è un Dio-con-noi. Un messaggio forte per noi, oggi, qui: mai più senza Dio! Mai più con un Dio privato (“fai da te”)! Ma con un Dio che, unendosi a noi, ci fa uno tra noi, responsabili di tutti, ci fa suo popolo! Così, recentemente, ha detto papa Francesco: «Sono questi, fratelli e sorelle, i motivi della nostra speranza. Quando tutto sembra finito, quando di fronte a tante realtà negative la fede si fa faticosa e viene la tentazione di dire che niente più ha senso, ecco invece la bella notizia […]. Dio viene a realizzare qualcosa di nuovo […]. Il male non trionferà per sempre, c’è una fine al dolore. La disperazione è vinta perché Dio è tra noi» (Papa Francesco, Udienza Generale 14 dicembre 2016).
Auguri, nell’Emmanuele, il Signore Gesù!