Omelia della Prima Domenica di Quaresima

Maciano, 9 marzo 2014

Gen 2,7-9; 3,1-7

Sal 50

Rm 5,12-19

Mt 4,1-11

 

“Militia est vita hominis super terram” (Gb 7, 1)

Ci sono le tentazioni: e chi non ne subisce! E c’è la “tentazione”, cioè la prova radicale della fede.

Le tentazioni si affacciano sugli ambiti più disparati della nostra vita. Guai andarle a cercare o mettersi nell’occasione prossima. Si può cadere! Meglio non presumere delle proprie forze. Tuttavia, sono inevitabili; per questo preghiamo “non indurci in tentazione ma liberaci dal male”. Le tentazioni sono, tuttavia, occasioni di crescita e di maturazione, di rafforzamento e di umile conoscenza di sé. Ci offrono l’opportunità di riaffermare la nostra fedeltà alla volontà di Dio e di vivere i “no” come altrettanti “sì” a Lui. Chi intraprende – come stiamo facendo con questa Quaresima – un serio cammino di fede e di conversione deve mettere in conto la prova. Le tentazioni non sono peccato, possono essere perfino un segnale che siamo sulla strada buona. Comunque, mai il Signore permette che siamo tentati oltre le nostre forze (cfr. 1Cor 10,13).Nelle prove sempre ci soccorre. I maestri spirituali insegnano non solo a non metterci nelle occasioni, ma a confidare le nostre prove ad una guida spirituale.

Ma la liturgia di oggi vuol metterci di fronte alla “tentazione”, prova radicale della fede, davanti alla quale si sono trovati i progenitori (come abbiamo sentito nella prima lettura), il popolo di Israele nel cammino dell’esodo e lo stesso Gesù. La “tentazione radicale” consiste nella tentazione di non fidarsi del Padre, nel pensare di essere soli davanti alla vita e, pertanto, consiste nel sussurrare al proprio cuore: “Se non penso io a me stesso, chi provvede?”. L’esito può essere quello della disperazione o quello dell’orgoglio e dell’autosufficienza, del non fidarsi e del bastare a se stessi.

I progenitori hanno ceduto alle insinuazioni del diavolo ed hanno steso la mano sul frutto proibito: presunzione di essere come Dio, di fare da soli, di “essere Dio”.

Il racconto delle tentazioni di Gesù secondo Matteo ha analogie impressionanti con le vicende dell’Esodo. Gesù è presentato come il vero Israele, il vero Mosè. L’analisi del testo non fa che confermare questo. Lo Spirito conduce Gesù nel deserto per essere provato. Anche Israele: “Dio lo condusse nel deserto alla prova, per educarlo come un padre educa il figlio” (Deut 8, 2-5). Il Deuteronomio aggiunge: “per quaranta anni”. Ad essi si riferisce Matteo con i suoi quaranta giorni, ben conoscendo il testo di Numeri 14, 34: “Per quaranta anni sconterete le vostre colpe, in base ai quaranta giorni che avete impiegato ad esplorare la terra. Ogni giorno conta un anno”. Il libro del Deuteronomio è un grande commento teologico all’esodo di Israele, soprattutto vuol dimostrare che il fallimento del popolo nel deserto è dovuto alla sua mancanza di fiducia in Dio. Dal Deuteronomio Matteo trae le citazioni con cui Gesù combatte le tre tentazioni. Nella prima, Satana mette Gesù nella stessa situazione di Israele: il popolo si lamenta perché ha fame. Israele non supera la prova, Gesù invece ne esce vittorioso: “L’uomo non vive di solo pane”. Nel suo deserto Gesù accoglie la volontà del Padre su di lui; vive della sua Parola.

Nella seconda, Gesù è tentato di compiere un prodigio spericolato, sensazionale e teatrale che lo accrediti come prestigioso Messia davanti alla folla attonita. Anche Israele a Massa, nel deserto, voleva costringere il Signore a compiere uno spettacolare prodigio. Per questo motivo Deuteronomio 6,16 ammoniva: “Non tenterete il Signore”. Gesù, a differenza di Israele, supera anche questa seconda prova. Sarà Messia, ma come vuole il Padre; un messia umile, sofferente, servo. “Gettati giù”: sembra il massimo della fede e invece ne è la caricatura perchè la ricerca di un Dio magico a proprio servizio. Satana è seduttivo; sembra voler aiutare Gesù “a fare il Messia”. La gente è sempre assetata di miracoli!

Anche la terza tentazione ricorda Israele: prima di entrare nella Terra era stato messo in guardia dall’idolatria. Ma Israele fallì, non ebbe fede in quel Dio che non vuole spartire con alcuno la fiducia del suo popolo. Gesù invece esce definitivamente vittorioso. Egli ha totale fiducia nel Padre. Diventerà il Signore del mondo, ma come il Padre vuole e per la via della croce, non in modo “disobbediente” e per facili scorciatoie. Il Padre sarà sempre con Lui. Gesù esce dal combattimento non solo indenne, ma vincitore. Non si è lasciato separare dalla volontà di Dio. In fondo Satana dice: “Vuoi cambiare il mondo con l’amore? Sei un illuso!”. La strada che seguirà Gesù non sarà mai quella del ricatto, della seduzione, del potere. In questa ottica cristologica e messianica il racconto acquista tutto il suo valore pedagogico per la Chiesa e per tutti noi che dobbiamo, in fondo, misurarci con la stessa tentazione: non fidarsi.