Omelia Commemorazione dei fedeli defunti
Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Gattara, 2 novembre 2014
Lc 12,35-40
«Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate». Si parla troppo poco dei Novissimi. Anzi, s’è perduto il significato stesso della parola; parola che indica “le ultime cose” della storia di ognuno e di tutti. Un tempo venivano elencate così: morte, giudizio, inferno, paradiso. Che i Novissimi siano importanti per la vita era ben espresso dall’ammonizione – pezzo forte dei predicatori – memorare novissima tua et non peccabis (traduzione libera: il ricordo dei Novissimi ti terrà lontano dal peccato). Noi preferiamo dire che il discorso sulla fine è in realtà il discorso sul fine che diamo alla vita.
Tutto finisce. E, allora, perché comincia ad esistere? La zanzara come l’aquila, il cespuglio come il cedro del Libano, la capanna come il grattacielo, le cose banali come le sublimi… Il Vangelo racconta dello stupore degli apostoli davanti alla bellezza del tempio di Gerusalemme (cfr Lc 21,3-7). Era una meraviglia: chi veniva dalla provincia non poteva trattenere l’ammirazione. Del resto anche Gesù era assai sensibile alla bellezza (ricordate le sue parole sul monte: Guardate i gigli del campo? cfr. Mt 6,28). Eppure tutto passerà, ribadisce Gesù. Perfino del tempio non resterà pietra su pietra (Lc 21,6). «Tenetevi pronti» (Lc 12,40).
Morte. E ci saranno altri crolli. Crolli cosmici e crolli personali. Siamo fatti di materiali deperibili, a breve o a lunga scadenza che siano. Val la pena pensarci: su che cosa fondo la mia vita? Ho trovato un solido ancoraggio per la barchetta della mia esistenza? Domanda totale: per chi vivo?
Giudizio. Tutto apparirà più chiaro alla fine: sarà un giudizio inequivocabile, ma non dovrò temere se Dio sarà il mio tutto. Egli non lascia nulla d’intentato per unirmi a sé. Persino gli avvenimenti che fan soffrire sono un invito a cercare quello che vale, a procurare amici, a mettere da parte tesori che la ruggine non consuma.
Inferno. Un cuore che non si apre sarà incapace di Dio, come un radar in avaria, sordo ad ogni segnale e opaco persino allo splendore del sole. L’inferno non è altro che la definitiva, ostinata e terribile chiusura all’amore di Dio.
Paradiso. Il paradiso, al contrario, è inesauribile emozione e pienezza: vedremo, ameremo, canteremo. Desiderio colmato, amore senza fine, pienezza che non ha più bisogno di parole: cuore dov’è il nostro tesoro (cfr. Lc 12,34). Questo Vangelo – morte, giudizio, inferno, paradiso – ci fa camminare sul crinale della storia: da un lato il versante oscuro della fine; dall’altro il versante della tenerezza che salva: neppure un capello andrà perduto (cfr Mt 10,30). Questa la missione di Gesù: «che io non perda nulla di quanto il Padre mi ha dato» (Gv 6,39). Missione compiuta (cfr. Gv 17,12; 18,9)!