Omelia alla Veglia dei giovani per San Marino
San Marino Città (RSM), chiesa dei Santi Pietro, Marino e Leone, 2 settembre 2021
Sir 14,20-15.4
Sal 47
At 2,42-48
Mt 5,13-16
Se dico: “vocazione”, a voi che cosa viene in mente?
Molti penseranno subito alla vocazione religiosa: fare la suora o il sacerdote. Altri penseranno alla vocazione al matrimonio e alla famiglia. In certi casi è una vocazione anche essere single. Si dice vocazione anche quando una persona ha un talento artistico o musicale.
Stasera vorrei dirvi che c’è una vocazione, cioè una chiamata, che viene prima, prima di ogni altra, prima che sia riconosciuto il talento, prima che sia deciso lo stato di vita: una vocazione basilare, talmente importante che la si dà per scontata, quasi non ci si pensa, non se ne parla, eppure è la più bella delle vocazioni, la più imprevedibile delle chiamate e la più bella. Spesso comincia in un modo e poi va a finire in un altro, un po’ come le figure di un caleidoscopio; un movimento brusco distrugge il disegno che appariva prima, ma ne forma subito un altro, ancora più fantasioso. Se dovessi dirla in termini scolastici: non è una chiamata a fare il dettato, semmai a fare il tema.
Qual è allora questa chiamata così formidabile, bella, basilare? È la prima chiamata, la chiamata alla vita, ad essere vivi. Domattina provate: spalancate la finestra, guardate fuori, entrate in relazione con le persone che incontrate… È la vita. La vita è molteplicità di relazioni, di rapporti, di connessioni.
Chi ti ha rivolto questa chiamata?
Penserete subito, giustamente: il papà e la mamma. Nella stragrande maggioranza dei casi si nasce perché desiderati, attesi, invocati: si è stati chiamati da un atto d’amore, con tutto quello che ne segue. Ognuno ha tante relazioni, tanti contatti con gli altri, persino con una comunità. Il nostro nome è scritto all’anagrafe: non è ovvio; è bello sapere che facciamo parte di un popolo, di una comunità, che siamo registrati in essa come soggetti con diritti e doveri.
Se andiamo più in profondità possiamo dire: sono nato io, ma avrebbe potuto nascere mio fratello. Perché proprio quello spermatozoo, fra tanti che avrebbero potuto raggiungere il bersaglio, si è unito a quell’ovulo?
Qui emerge un’altra parola importante: la libertà. Ognuno di noi potrebbe pensare di essere vivo “per caso”, ma nella libertà possiamo riconoscere che c’è un progetto su ciascuno, che non può essere il caso a spiegare le vicende della vita.
In qualche viaggio tra le nostre montagne, tra un paese e l’altro, qualche volta mi è capitato di provare un po’ di scoraggiamento: perché ho accettato di fare il vescovo? In qualche momento di turbamento mi ha aiutato pensare a voi, a dei “voi” molto concreti, a persone che non avrei mai incontrato e invece sono diventate “mie”, persone care, uniche per me. Dare una risposta positiva, dire “sì”, è sempre creativo! Ognuno può risolversi e dire: è tutto un caso, oppure affidare la propria vita ad un “tu”. Quando penso ai giovani, a voi in particolare, vedo in voi una manifestazione della bellezza della vita. I giovani hanno il senso dell’avventura (cioè del futuro) fino ad essere spericolati, perché desiderano assaporare ogni cosa della vita; così nell’amore agli sport estremi, alla velocità, alla musica a tutto volume; anche nelle esperienze di droga e alcol, certamente sbagliatissime, vedo il desiderio di andare negli abissi della vita, sperimentando tutto fino in fondo. Come dice un cantante, Irama, nella canzone “Giovani”: «I giovani sono ladri di pelle d’oca». Queste emozioni fortissime, da un certo punto di vista, smascherano un innato desiderio di vita.
Lasciatemi dire che non c’è niente di più “spericolato”, di più emozionante, di più originale che seguire Gesù, nella libertà. Lui che ti ha chiamato ti dice che la vita è ancora più bella se impari a decentrarti, se vivi “fuori” di te, cioè se apri la finestra, come dicevo all’inizio: una metafora per dire il desiderio di “spazi infiniti”. Ci aspettano tante sorprese. Pensate a san Marino, un dalmata che, secondo la tradizione, fugge dalle persecuzioni, sbarca a Rimini, lavora come scalpellino; conoscendo la sua personalità gli chiedono di salire sui monti, dove c’è tanta gente che non ha mai sentito parlare di Gesù e tutta la sua vita è come un caleidoscopio, ma non per caso: c’è un disegno. Oggi, dopo 1700 anni, siamo qui a parlare di lui, ad ispirarci al suo programma. Quando penso che non sono in balia del caso, ma che uno mi ha voluto e mi ha chiamato attraverso i miei genitori, ho la chiave per capire i giorni di nebbia, di buio: so che nulla è “a caso”.
Ho imparato molto da uno dei miei fratelli. Anni fa, il 15 maggio, avrebbe dovuto partire come missionario per il Giappone. Era destinato alla città di Osaka. Quindici giorni prima ha avuto un incidente stradale ed è rimasto paralizzato. Da allora vive su una carrozzella. Potremmo pensare che la sua vita sia un fallimento. No. Lui è convinto che la sua vita è una risposta ad una Persona, il Signore Gesù, e a tante persone che chiedono amicizia, compagnia e aiuto. Ha ripreso a fare il missionario, è andato in Congo con la sua carrozzina. Tantissime volte da solo, senza accompagnatori. Ha vissuto tante esperienze, tanta vita! Non ha mai pensato che la sua vita fosse in balia del caso.
Vivere è rispondere. Immagino la vita come un rotolo sigillato: non sai quello che è scritto dentro. Lo ricevi nelle tue mani con coraggio. Sai in chi poni la tua fiducia (cfr. 2Tm 1,12) e tutto si colora!
Come possiamo vivere bene la nostra vita?
Vi affido tre parole che cominciano per “R”. Prima parola: ritmo. Ci sono tanti passi diversi nella nostra vita, come in una danza. È importante vivere la pluralità, aprirsi a nuove esperienze, senza tirarsi mai indietro. Ritmo vuol dire anche che c’è un giusto tempo per ogni cosa e si può passare da un’azione all’altra con una certa disinvoltura, abbattendo la pigrizia. Papa Francesco invita i giovani a non “balconare”, cioè a non guardare la vita dal balcone, ma a buttarcisi dentro, facendosi coinvolgere. Seconda parola: regola. Per vivere bene occorre anche una misura, che esprime la nostra libertà. Ad esempio, invece di bere una bottiglia intera di birra, potrebbe essere più salutare berne metà, come esercizio di libertà; così come siamo liberi di decidere di conservare il nostro corpo e la nostra fantasia nella purezza: poter dominare le pulsioni, che sono anch’esse vita, ci fa essere veramente liberi. Se ad un ruscello metti argini diventa torrente e fiume. Terza parola: rito. Ogni cosa che facciamo ha una sua sacralità. Tutto è prezioso, perché tutto è vita: apparecchiare la tavola, scrivere un progetto, parlare con un amico, giocare una partita… Tutto è sacro. Tutto è da vivere con solennità. Ogni attimo è prezioso. Non si può vivere di ricordi del passato: il passato non è più. Del futuro non sappiamo niente. Il momento presente è come un’ostrica che contiene una perla.
Chiedo a san Marino, nostro patrono e fondatore della Repubblica che porta il suo nome, che ci aiuti a vivere queste tre “R”: ritmo, regola, rito.