Omelia al “Venerdì Bello”

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Pennabilli (Santuario B.V. delle Grazie), 17 marzo 2017

Prv 8,22-31
Sal 44
Ef 1,3-6.11-12
Lc 1,26-38

«Il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività, prima di ogni sua opera. Dall’eternità sono stata costituita, fin dall’inizio… » (Prv 8,22).

Durante la liturgia della Parola abbiamo spalancato orecchi, mente e cuore a due inni: quello dal libro dei Proverbi di Salomone e quello di Paolo nella Lettera agli Efesini, inni che ci hanno innalzati al Cielo della Trinità.
Chi è la Sapienza di cui canta Salomone?
Di lei si parla in testi biblici, ancora più antichi, come di un bene spirituale, il più desiderabile, il più prezioso…
Ma qui la Sapienza è personificata. È lei stessa che parla di sé e racconta della sua origine:
– generata prima di ogni creatura,
– coinvolta come parte attiva nella creazione,
– incaricata di una missione da svolgere presso gli uomini: condurli a Dio.
Quello contenuto nell’inno del libro dei Proverbi è un identikit appena abbozzato della Sapienza. Nel Nuovo Testamento quella intuizione avrà uno sviluppo nuovo e decisivo, diventerà Rivelazione: la Sapienza è il Verbo di Dio, Gesù Cristo!
Gesù Verbo è Sapienza di Dio.
Come viene detto della Sapienza, Cristo partecipa alla creazione e conservazione del mondo. Di lui, come Logos, parla il Vangelo di Giovanni.
Nel prologo vengono attribuiti al Verbo i tratti della sapienza creatrice e si dice del suo prendere dimora tra gli uomini.
La liturgia applica questo testo alla Vergine Maria, collaboratrice del Redentore come la Sapienza lo è del Creatore, nella duplice veste di parte attiva nel mistero della redenzione e per la sua missione verso di noi (missione materna).
A Maria ho voluto dedicare la mia Lettera pastorale per la Pasqua 2017 con questo titolo: «Maria cielo di Dio». Con questa intitolazione non ho inteso formulare un’iperbole devozionale, né avere la presunzione di attribuirle un privilegio nuovo. Ma, semplicemente, sottolineare quanto accade in questa creatura e la sua tersissima trasparenza, il suo totale silenzio, anzi il suo farsi nulla perché su questo sfondo il Padre doni il suo splendore, l’irradiazione della sua gloria. Maria è il cielo nel quale accade tutto questo per pura grazia. In Maria la creatura viene coinvolta nella dinamica della vita trinitaria. Che cosa le è chiesto di fare? Nulla! Soltanto accogliere l’iniziativa dell’Amante nel suo eterno generare l’Amato, il figlio, e il reciproco donarsi che è lo Spirito Santo.
Il racconto evangelico dell’Annunciazione è, tra le pagine di rivelazione trinitaria, la più significativa. Tutta la Trinità si affaccia sulla casetta di Nazaret e vive in Maria come nel suo cielo: in lei l’Eterno entra nel tempo, «stende su di lei la sua ombra», scende – per così dire – nel suo grembo e risplende come sull’Arca. Ogni versetto si presta per la nostra contemplazione. Al saluto dell’Angelo, Maria è sconvolta, ma sta umile e disponibile davanti a Dio. Il suo abbandonarsi è totale. Il senso vero della sua domanda, «Come accadrà questo?», equivale a un «Signore, che cosa vuoi che io faccia?». Maria lascia da parte tutte le ragioni sicuramente valide: c’è di mezzo Giuseppe, che cosa dirà? C’è di mezzo la sua piccolezza, ma è proprio alla sua piccolezza che l’Altissimo ha rivolto lo sguardo…
Non dubita. Crede alle parole dell’Angelo. Anche se non capisce del tutto, accoglie il Mistero nel suo svelarsi, nel suo concedersi, nel suo incarnarsi.
E Maria concepisce per opera dello Spirito Santo e mette al mondo Gesù, che sarà chiamato “Figlio dell’Altissimo”. E sarà lui che salverà il suo popolo.

Nostra Signora del «sì» insegnaci a discernere la volontà di Dio, ad accoglierla nella fede e a corrispondere alla grazia.

Tu, la piena di grazia, dicci come imitarti. Non possiamo essere cristiani se non essendo mariani!

Rendici sempre più consapevoli d’essere a nostra volta cielo di Dio, dimora della Trinità, grembo di Dio nella storia, arca della sua presenza.

In questo tutto è grazia, soltanto grazia. Rapiti da questa bellezza facciamo nostro l’inno che apre la Lettera agli Efesini, un inno che Paolo innalza mentre è in catene dopo aver chiesto al Signore di aprirgli la bocca con una parola franca per far conoscere il mistero del Vangelo: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore Nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti, per essere santi e immacolati, predestinati ad essere figli adottivi… In lui (Cristo) siamo stati fatti anche eredi, perché fossimo a lode della sua gloria».

Oggi, alla presenza di Maria Santissima, col presbiterio riunito insieme a numerosi fedeli, annuncio la mia intenzione di iniziare la sacra visita pastorale, a Dio piacendo a partire dal prossimo ottobre, secondo una scansione da organizzare entro l’estate.
La visita pastorale è una delle forme, collaudate dall’esperienza dei secoli, con cui il Vescovo mantiene contatti personali con i sacerdoti e con gli altri membri del Popolo di Dio. È occasione per ravvivare le energie degli operai del Vangelo, lodarli nel loro impegno, incoraggiarli nelle loro fatiche. È anche l’occasione per richiamarci tutti al rinnovamento della vita cristiana e ad un’azione apostolica più intensa.
La visita consente al Vescovo di valutare l’efficienza delle strutture e degli strumenti destinati al servizio pastorale, rendendosi conto più da vicino delle circostanze e delle difficoltà dell’evangelizzazione, per poter determinare meglio priorità e mezzi della pastorale organica.
La visita pastorale non ha il piglio di una visita fiscale, né di una ispezione, né di una formalità. Al contrario è un’azione apostolica per il Vescovo che deve compierla animato dalla carità e per far sentire l’unità nella Chiesa particolare.
Per le comunità e le istituzioni che la ricevono, la visita è un evento di grazia che riflette, in qualche modo, quello specialissimo incontro con il quale “il Buon Pastore” pascola il suo popolo.
La visita pastorale è espressione del nostro dovere di camminare e di camminare insieme. È il dovere lasciato da Gesù agli apostoli: «Andate, dunque… Vi ho costituiti perché andiate». Un andare che, a parte il senso geografico, è un movimento del cuore.
Camminiamo allora, camminiamo insieme.