Discorso nel conferimento della cura pastorale della parrocchia di Serravalle a don Pier Luigi Bondioni
Serravalle (RSM), 23 ottobre 2022
C’è gioia e c’è attesa per questo nuovo inizio. Ma soprattutto vince la carità reciproca che è il segno unitivo e distintivo dei discepoli del Signore. «Dove due o più sono uniti nel mio nome – dice Gesù – io sono presente in mezzo a loro» (Mt 18,20). E noi ne godiamo. «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). «Come io e il Padre siamo una cosa sola, così anche voi uniti perché il mondo creda» (cfr. Gv 17,21). Questa è la prima e fondamentale testimonianza che evangelizza e ognuno di noi si mette in gioco. Questa è la nostra carta d’identità. Siamo un popolo messianico che ha per capo Cristo, come statuto la dignità e la libertà dei figli di Dio, la sua legge è il comandamento nuovo di amarci, come lui ci ha amato. Il suo fine, il fine di questo popolo, è il regno di Dio, iniziato sulla terra da Dio stesso, ma destinato a dilatarsi sempre di più (cfr. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, n. 9). Questo amore deve essere aperto alle persone che vivono in questo territorio, soprattutto ai più fragili, a chi soffre, a chi non trova ragioni per vivere.
Mi piace rivisitare quello che è il nostro luminoso cammino attraverso le parole di un’altra pagina del Vaticano II: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n.1).
Davanti a me, in questo momento, è riunita una comunità parrocchiale desiderosa di proseguire il suo cammino con nuovo slancio; una comunità che – ripeto – vuole aprirsi al territorio, consapevole di avere una missione da portare a servizio di tutti.
Rivolgo un saluto particolare alla mamma di don Pierluigi e ai suoi familiari, ma soprattutto a don Pierluigi. Viene da Pennabilli, dalla parrocchia della Cattedrale, una realtà significativa, dove ha dato se stesso ed è stato riamato, dove ha imparato le sorprese della relazione umana, caratteristica del pastore. Ora si allargano per lui gli spazi della carità pastorale su una realtà più grande (Serravalle è cinque volte più grande di Pennabilli), sicuramente più impegnativa, ma più giovane, socialmente più ricca, anche se complessa. Caro don Pierluigi, hai davanti un vasto campo di apostolato. D’altra parte, conosci già tanti amici e amiche di questa comunità, guardali con occhi nuovi, ora sicuramente con occhi e cuore più maturi. Don Pierluigi conosce bene la storia di Serravalle, le sue vicende passate e vicine, e riceve un’eredità ricca di passione pastorale – penso a don Peppino – e ricca di spiritualità – penso a don Simone. Con questi sacerdoti tanti laici si sono spesi, e lo faranno ancora, impegnando cuore, volontà, braccia, soprattutto per la gioventù, per l’educazione, per il sociale, per le attività più svariate (centro sociale sant’Andrea, coro, circolo anziani, associazioni, gruppi, realtà sportive, Colonia La Verna, ecc.).
Don Pierluigi sale su un treno ben avviato. Il nuovo inizio è anche una grazia di rinnovamento. Come ci ricorda spesso papa Francesco, bisogna andare oltre il “si è sempre fatto così” e rinnovarsi. Aiuterà sicuramente l’esperienza, ben avviata a Serravalle, del Cammino Sinodale, da riprendere appena possibile; un cammino fatto di ascolto sincero, aperto, senza repliche, di corresponsabilità, lettura della realtà, da cui arrivare alle decisioni da prendere insieme, con laici attivi, consapevoli del loro Battesimo. Qui, don Pierluigi, hai un grande tesoro, un grande dono: la presenza delle suore.
Permettimi qualche indicazione per il tuo ministero. Essere costituito parroco in questa comunità non deve farti perdere di vista la Diocesi come grembo; non deve allentarsi il legame con il presbiterio, di cui fai parte per vincolo sacramentale. Sei a Serravalle perché accompagnato e introdotto dal Vescovo. Il tempo che dedicherai agli incontri con i confratelli e con il Vescovo non è rubato alla parrocchia, ma è un accumulo di grazia: le mattine di spiritualità, l’aggiornamento, gli esercizi spirituali e tutte le altre convocazioni. Ritorna a quell’unico cuore da cui partono i sacerdoti e dal quale sono nutriti per trasmettere la comunione ecclesiale.
Permettimi anche una confidenza, dopo cinquant’anni di sacerdozio. Ho ricevuto categorie teologiche, sempre valide, universali, ma in me hanno avuto una sorta di evoluzione negli anni. Si diceva, con una certa enfasi, sacerdos alter Christus; in cima al regolamento del Seminario leggevo: Tu autem homo Dei. Teologie da capogiro, a ben pensarci! E poi “sacerdote come dispensatore dei divini misteri” e si studiava la teologia dei poteri del presbitero, tria munera. Ma si trattava di una teologia che doveva necessariamente aprirsi ad altri orizzonti. Del resto, non è sacerdote ognuno di voi secondo il Battesimo? Non offrite ogni giorno la vostra vita a Dio? Il matrimonio non è forse una forma sublime di esercizio del sacerdozio regale, perché dono di sé senza misura? Il sacerdozio ministeriale, quello del prete, è a servizio del sacerdozio regale, battesimale. Il sacerdozio è da vivere per il proprio popolo, alla maniera di Gesù che offre la sua vita, mette a disposizione le sue mani, il suo cuore, fa di se stesso un dono. Allora i tre doni – insegnare, guidare, santificare – diventano più comprensibili dentro una comunità. A chi insegno, chi guido, chi santifico, se non una comunità? Quando un presbitero celebra Messa, solo lui può dire le parole: «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue», ma alla fine c’è l’Amen dell’assemblea, che conferma con la sua fede. Dopo cinquant’anni di sacerdozio posso dire che sono stato generato dalla mia gente, senza nulla togliere all’imposizione delle mani, al sacramento dell’Ordine Sacro. Le persone mi hanno insegnato come si fa il prete, con le loro domande, a volte provocatorie, con le loro richieste, con le loro proposte. E anche il sacro celibato, custodito gelosamente, l’ho compreso sempre più come misura dell’amore pastorale, affetti ricevuti e affetti ricambiati.
Caro don Pierluigi, ti chiedo un’attenzione speciale per la famiglia, primo nucleo della comunità, come la chiama il Concilio, «piccola chiesa domestica» (cfr. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, n. 11; Apostolicam Actuositatem, n. 11). Vicinanza alla famiglia nel suo nascere, cura dei fidanzati e prima ancora dei giovani e della loro educazione affettiva (ti chiedo la presenza nei percorsi prematrimoniali che si tengono in San Marino). Vicinanza nella celebrazione del sacramento del matrimonio, ricordandone l’efficacia per la vita e per la missione degli sposi; poi nell’accompagnamento di genitori e figli all’iniziazione cristiana. Presenza nei momenti del dolore, quando in famiglia fanno la loro comparsa la malattia, la sofferenza, la solitudine, il lutto. Presenza nelle situazioni di crisi, nell’incontro con le famiglie “ferite” (in questa comunità è stata avviata una bella esperienza di accoglienza, di accompagnamento e di incoraggiamento alla partecipazione alla vita piena della comunità; ti prego di avere un’attenzione specialissima per questa realtà).
Poi una confidenza personale, avendoti conosciuto da vicino: non avere paura di aprire il tuo cuore, non temere neppure per i tuoi limiti; quando saprai accettarli e manifestarli, sarà il momento in cui ti sentirai ancora più accolto, più amato. Crescerai con la comunità che stai sposando e la comunità crescerà con te. Autenticità: mi sembra la parola più adatta e sintetica.
Infine, vorrei potessi esprimere anche qui il tuo amore per la santa liturgia, per l’altare, come maestro di preghiera. Il Vangelo che tra poco il diacono proclamerà si apre e si chiude con due verbi di moto: moto a luogo – si parla di una salita al tempio – e moto da luogo, il ritorno dal tempio; in mezzo lo spazio della preghiera come un dono, non come cerimonia, ma come incontro col Signore. Se umilmente lasciamo fare a Dio, scenderemo giustificati, come dice il Vangelo. Giustificati significa luminosi, come Mosè che scende dal monte col viso raggiante. Lo auguro a te che presiedi l’assemblea, lo auguro ai fedeli che proclamano con l’Amen il loro sacerdozio battesimale. Auguri!