Discorso nel conferimento della cura pastorale della parrocchia di San Leo a don Carlo Adesso
San Leo, 8 ottobre 2017
Per l’inizio del suo ministero pastorale tra voi il vostro parroco don Carlo ha ricevuto dal Vescovo, con un gesto simbolico, due chiavi. La chiave del tabernacolo nel quale si custodisce l’Eucaristia e la chiave della Pieve, la vostra parrocchia, che vi raccoglie in comunione attorno all’Eucaristia. L’una è la chiave della dimora del corpo sacramentale di Gesù, l’altra la chiave dell’assemblea del corpo mistico di Gesù, in altre parole la chiave del cuore, delle persone che accolgono l’Eucaristia per viverla. Un rito, quello che abbiamo compiuto, simbolico, ma anche chiaro e tanto eloquente.
Queste chiavi sono affidate a te, don Carlo. Permettimi di citare un breve testo dalla Lettera agli Ebrei: «Ogni sommo sacerdote viene costituito – scrive l’autore – per offrire doni e sacrifici per i peccati» (Ebr 5,1).
Ecco il vostro parroco partecipe del sacerdozio di Cristo: viene in mezzo a voi per attendere alle cose che riguardano Dio e per offrire doni e sacrifici per i peccati. Viene per le cose che riguardano Dio: Dio non è superato, non è morto; forse è emarginato dal cuore di tanti, dimenticato, forse è perfino allontanato, può darsi anche da noi. Ma è presente, presentissimo anche se nascosto, ed è operante. Sentirete durante la liturgia della Parola come è grande la tenerezza del “padrone della vigna” che non lascia nulla di intentato e, al culmine della storia della salvezza, quando sembra ormai che l’umanità sia una “boccia persa”, manda il proprio Figlio (cfr. Mt 21,33-46). Se esige qualcosa, esige che si creda al suo amore, perché vuole la reciprocità: se lo ami ti amerà di più! Dio talvolta appare distante, ma in realtà è inquietante, tormentante. Inquietudine e tormento sono il suo modo di farsi presente, sono il modo della sua offerta, del suo richiamo, del suo bussare alla porta del cuore. «Sto alla porta e busso» (Ap 3,20). Ricordiamo nel romanzo dei Promessi Sposi la conversione dell’Innominato, il suo incontro con il cardinale Federigo a cui dice: «Dio, Dio, se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?». E il Cardinale: «Voi me lo domandate? Voi? E chi più di voi l’ha vicino! Non ve lo sentite in cuore che v’opprime, che v’agita, che non vi lascia stare e, nello stesso tempo, vi attira, vi fa presentire una speranza di quiete» (cfr. A. Manzoni, I promessi sposi, cap. 23). In questi giorni su “Avvenire” è stato pubblicato uno scritto molto interessante del filosofo rumeno nichilista, anche se di ambientazione parigina, Emil Cioran, il quale dice: «Sono certo d’aver cercato Dio, ma sono ancor più certo d’aver fatto di tutto per non incontrarlo. L’origine di tutte le mie grida e del sarcasmo con cui l’ho glorificato sta in una opprimente solitudine al cui termine egli appare. Io come Pascal cerco ragioni per non credere» (cfr. Avvenire, 27 settembre 2017). Ebbene, il sacerdote ha la missione di far pensare a Dio, di farlo avvertire, di farlo ascoltare, di farlo incontrare. Notate: sentire, avvertire, ascoltare, incontrare. Il sacerdote ha la missione, poi, di offrire doni e sacrifici per i peccati, ossia, di innalzare preghiere, intercedere, celebrare il sacrificio eucaristico per la remissione dei peccati. Il sacerdote è, anzitutto, l’uomo dell’Eucaristia.
La chiave è consegnata al vostro parroco affinché lui per primo preghi silenziosamente, da solo, il Signore eucaristico e poi apra la porta e sia largo nel consegnare a tutti voi il Pane della vita. La Lettera agli Ebrei continua: «In tal modo egli [il sommo sacerdote] è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, perché anch’egli rivestito di debolezza» (Ebr 5,2).
Ecco il vostro parroco, viene in mezzo a voi capace di giusta comprensione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore. Notate la delicatezza di questo testo. Non accenna ai peccatori e ai loro peccati o, se in qualche modo vi allude, salva i peccatori col vedere nei peccati degli uomini degli sbagli dovuti ad ignoranza. Se sapessero, se sapessimo… Vale a dire che il vostro parroco, per la comunione e la conversazione che ha con Gesù Eucaristia, viene a voi come a fratelli, pieno di bontà, di indulgenza, pronto a donare pace a quanti si sentono angustiati e fragili, pronto alla riconciliazione. Del resto, ognuno di noi ripete l’esperienza del figliuol prodigo, si allontana dai suoi, da quelli di casa sua (dal padre e dai fratelli), ma porta con sé la nostalgia della casa paterna e vuol tornarci, anche se a volte non lo dice. Il parroco viene a voi per favorire questo ritorno ed esercita tra voi il sacramento della Riconciliazione, del perdono, dell’abbraccio rasserenante di ognuno con il Signore. Ho confidato a don Carlo come l’essere posto nel confessionale durante il rito del mio ingresso in parrocchia fu un momento sconvolgente. Avevo finito di leggere qualche settimana prima il romanzo di Bernanos “Sotto il sole di Satana” – chi l’ha letto può capirmi. Il sacerdote protagonista del romanzo morì in confessionale sotto il peso delle confidenze che riceveva dai parrocchiani, distrutto dalla incapacità di capire come l’Amore non fosse amato. Auguro al nostro don Carlo di stare molto in confessionale – anche se non sarà quello di questa chiesa perché talvolta è più facile il colloquio spirituale in un’altra postura – e che sia un prete che dona gioia e che rincuora: uomo di rapporti profondi.
Aggiungo per don Carlo alcune parole pronunciate da papa Francesco che parlando, ieri, di noi sacerdoti, diceva: «La formazione sacerdotale non è mai finita. La formazione sacerdotale dipende in primo luogo dall’azione di Dio e richiede il coraggio di lasciarsi plasmare dal Signore». Il Papa era ricorso all’immagine biblica dell’argilla nelle mani del vasaio: «La domanda che deve scavarci dentro, quando scendiamo nella bottega del vasaio, è questa: che prete desidero essere? Un prete “da salotto”, uno tranquillo e sistemato, oppure un discepolo missionario a cui arde il cuore per il maestro e per il popolo di Dio? Uno che si adagia nel proprio benessere o un discepolo in cammino? Un tiepido che preferisce il quieto vivere o un profeta che risveglia nel cuore dell’uomo il desiderio di Dio?» (cfr. Papa Francesco Discorso ai partecipanti al Convegno internazionale sulla “Ratio Fundamentalis”, 7 ottobre 2017). Penso che don Carlo abbia fatto la sua scelta.
E a voi leontini che cosa dico (ma estendo l’interrogativo anche ai tanti non leontini presenti)? Vogliate bene al vostro parroco. Io ho avuto la fortuna di essere stato molto amato dai parrocchiani e di essere stato generato da quell’amore. Vogliate bene ai vostri parroci, vogliate bene e collaborate con loro. E pregate perché il Signore susciti in tanti giovani il privilegio della vocazione. Così sia.