Discorso all’ingresso di don Giorgio Bernal Rey a Carpegna
Carpegna, 12 ottobre 2014
Cari amici di Carpegna,
sono lieto di trovarmi con voi questa sera per il succedersi, nella comunità parrocchiale, dei vostri pastori.
A don Pietro Stukus va anzitutto il mio pensiero e il mio ringraziamento: ha svolto fra voi un generoso ministero a favore delle vostre anime.
Dio sa ricompensare in abbondanza d’amore l’opera da lui compiuta. Tutti sentiamo di dovergli tanto ed eleviamo per lui auguri di spirituali consolazioni e grazie.
In successivi incontri mi ha confermato di sentirsi interiormente chiamato ad una vita di più intensa preghiera.
A don Giorgio formulo voti per le attese che precedono la sua venuta, attese da parte del Signore, da parte vostra e mia: attesa di dedizione e di attività, attesa di spiritualità e di intercessione, in collaborazione con tutta la nostra Chiesa particolare.
Che cosa deve fare un pastore?
Prendo ad esempio la giornata di Gesù come ce l’ha descritta l’evangelista Marco, detta la giornata di Cafarnao (cfr. Mc 1, 29-31). Sull’esempio di Gesù il pastore divide la propria giornata nella cura degli ammalati o nell’esercizio delle opere di misericordia adeguate ai tempi, nel raccoglimento della preghiera, in ore opportune, per sé e per i fratelli, nelle esigenze della predicazione e dell’evangelizzazione, soprattutto verso i giovani, i ragazzi, i bambini (i più bisognosi di Parola di Dio, ma anche di prossimità).
«Guai a me se non evangelizzassi», scrive San Paolo (1Cor 9,16). E quale evangelizzazione più efficace di quella di una vita santa, una vita che assomigli sempre più a quella di Gesù povero, casto, obbediente?
L’assillo di un pastore – caro don Giorgio – è quella di “farsi tutto a tutti”; farsi servo di tutti, per guadagnare il maggior numero di fratelli (non a sé, ma al Signore); farsi debole coi deboli, per guadagnare i deboli; farsi piccolo coi piccoli per guadagnare i piccoli; farsi tutto a tutti… (cfr. 1Cor 9, 15-22).
Un pastore d’anime, dopo tutta la sua fatica, non deve attendersi nulla per sé, si considera servo inutile (cfr. Lc 17, 10). Un pastore non può agire che per Dio, Dio solo potrà soddisfarlo, e Dio solo dovrà essere il suo premio.
Questo il dovere di un pastore. E i fedeli che cosa devono fare?
I fedeli devono mettere ogni impegno per formarsi e vivere in comunità, in comunità compatta, ben connessa, ben articolata (cfr. Ef 4, 16), con la disponibilità ad offrirsi secondo le necessità in attività catechistiche (non solo per l’iniziazione cristiana, ma anche per la maturità cristiana dei giovani e la perseveranza degli adulti), attività liturgica (ministri istituiti, canto e animazione dell’assemblea, dedizione alla propria chiesa e agli ambienti parrocchiali, ministri straordinari dell’Eucaristia), attività caritativa (cura dei poveri, degli ammalati, degli anziani, dei bisognosi, ecc.), attività apostolica (gruppi adulti, giovani, giovanissimi, ragazzi…), attività di orientamento e di pratica del senso critico sul mondo che ci circonda con formazione permanente nello spirito della Dottrina sociale della Chiesa, per un giudizio sul momento presente. Il tutto in comunicazione e in comunione con l’intera diocesi e col Vescovo.
I fedeli di una comunità devono animarsi ed esprimersi con spirito di evangelizzazione e di missionarietà, e di farsi a loro volta tutto a tutti, per guadagnare tutti, con le risorse indispensabili dell’amore e della preghiera, del rispetto dell’uomo, della sua dignità e dei suoi diritti.
Vorrei a questo punto richiamare il dovere di una comunità di non dimenticarsi delle vocazioni e del seminario, dell’apertura alle missioni.
Una comunità ecclesiale è una comunità cattolica – che si vuole cattolica! – e che si fa carico dei problemi della Chiesa e dell’umanità.
Infine è una comunità di fedeli che deve additare l’eternità e le sue prospettive e testimoniare la ricerca della “città futura”, di essere, quindi, segno di speranza con un comportamento di distacco e di gioia in questo mondo. Speranza e gioia di cui gli uomini sono assetati.
Caro don Giorgio, il tuo vescovo è qui con te; ti accompagna; pensalo vicino in ogni tua necessità o preoccupazione. Lui ti vuole soprattutto impegnato nell’assomigliare a Gesù: è a lui che hai ceduto il tuo cuore, la tua mente, le tue braccia, le tue mani…
Sei una sua presenza! Non ci siano gesti, parole, atteggiamenti che contraddicano il tuo vero essere. Sempre come Gesù servo: ieri vicario parrocchiale a Mercatino Conca – oggi amministratore parrocchiale qui in Carpegna – domani dove il Signore ti vorrà.
Cari parrocchiani, accogliete don Giorgio a cuore aperto. Fategli dono della vostra unità. La Chiesa e, nella Chiesa, la vostra parrocchia è ricca di carismi. I carismi sono dati per l’utilità comune e non per le divisioni. Ognuno sappia stare al proprio posto con fede, mai per mettersi in mostra o per protagonismo. Coltivate pensieri di collaborazione e di accoglienza.
In conclusione: ecco la missione di un pastore per la sua comunità; ed ecco la missione dei fedeli con il loro pastore, per la propria comunità.
La tua giovane età ti induca ad ascoltare più che a parlare, a confrontarti prima di ogni decisione importante con i confratelli, con i superiori e con il vescovo (“nihil sine episcopo”).
La tua giovane età non impedisca ai parrocchiani di trattarti col rispetto che si deve ad un ministro del Signore.