Corpus Domini
San Marino, 19 giugno 2014
Omelia del Vescovo S.E. Mons. Andrea Turazzi
Mi sono commosso durante il recente incontro del Presidente dell’Italia con le autorità, i cittadini e le istituzioni della Repubblica di San Marino.
E’ accaduto durante il brindisi durante il quale il Presidente ha pronunciato queste parole: “Nel ricambiare i voti augurali che mi sono stati rivolti desidero esprimere la mia viva soddisfazione per essere qui con voi oggi”. Poi proseguiva: “La vista che spazia ampia da questa splendida vetrata induce a guardare con speranza al futuro, ad un orizzonte più ampio di cooperazione”.
Effettivamente lo spettacolo che si apriva davanti al Presidente e agli ospiti dalla grande Sala (al piano superiore) quella mattina era splendido: nubi, squarci di sole, pennellate di azzurro, suggestivi orizzonti sul Montefeltro.
Il pensiero è corso immediatamente ad un midrash sul Salmo 8 («O Signore Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra…»), uno tra i più belli del Salterio. Il midrash racconta la domanda del discepolo e la risposta del maestro: “Perché il poeta nel proclamare la magnificenza della creazione elenca creature notturne come la luna e le stelle e non nomina il sole?”. “Perché Davide – risponde il maestro – compose questo salmo di notte, allorché fu risvegliato dal suono leggero dell’arpa, accarezzata dalla brezza notturna che penetrava dalla finestra. Fu allora che Davide si affacciò e fu ispirato dalla meraviglia della notte d’ Oriente”. A questo punto sorprende la conclusione, del tutto inattesa: “Quando compri una casa o prendi una casa in affitto, prendila con finestre grandi”.
Fuori di metafora: la finestra grande allude alla naturale apertura (predisposizione) del nostro essere verso l’Infinito, verso l’Assoluto. Un’attitudine che, a volte, si esprime in una pacata adesione, altre volte nell’inquietudine del cuore che sembra non trovare pace.
Cari fratelli e sorelle, oggi siamo di fronte al più grande degli orizzonti, siamo di fronte al mistero di “un Dio di pane”. Pane e vino nel quale il Signore Gesù, risorto, si dona; si cela e si manifesta ad un tempo.
Ha scelto la forma più sconcertante e più eloquente per assicurarci la sua presenza. Sconcertante per la piccolezza del segno (un frammento di pane e poche gocce di vino), eloquente per l’universalità del suo significato (cibo e bevanda).
Oggi siamo richiamati a rinnovare insieme, come popolo, l’atto di fede e di omaggio all’Eucaristia, presenza vera, reale, sostanziale del Risorto che, nell’ammirabile conversione della sostanza del pane e del vino nella sostanza del suo corpo, sangue, anima e divinità viene immolato e si offre sull’altare per mano dei sacerdoti. Sublime la missione di noi sacerdoti!
Cari fratelli e sorelle, quale è il significato di questa celebrazione nel giorno del Corpus Domini? Anzitutto, rispondere alla nostra prima e fondamentale vocazione, aprendoci con l’obbedienza della fede all’invito del Signore.
Aggiungo: rimettere in discussione la nostra autosufficienza e presunzione che ci appiattiscono sui nostri piccoli orizzonti. Talvolta, vengo colto anch’io da un brivido di fronte al paradosso della fede: la sproporzione fra il nostro orgoglio e l’umiltà di un Dio che si fa “di pane”.
Non è ammissibile accondiscendere a pensieri di fuga e di rinuncia, alla mediocrità o al disimpegno di fronte ad un Dio che si fa così prossimo e così vicino (indimenticabile il ricordo del tabernacolo nella mia Chiesa tra i calcinacci dopo il terremoto di due anni fa nell’Emilia).
Il sacramento dell’Eucaristia ci abitua e ci educa a risalire, oltre il visibile, all’Invisibile; ci educa a fissare lo sguardo sulla sostanza delle cose e degli eventi (non alla superficie), a resistere alle mode, sfidando questa diffusa antropologia a ribasso; ci educa pure a cercare in ogni circostanza il significato profondo e la finalità ultima, cioè a praticare il giudizio.
Ecco, l’altare e la piazza; altare e piazza diversi ma attraversati e collegati da una stessa parola: “Prendete e mangiate, prendete e bevete è il mio corpo, il mio sangue dato per voi. Fate questo in memoria di me”. C’è una dichiarazione d’amore più coinvolgente di questa? In quella preposizione “per” è racchiuso il senso dell’esistenza.
Dall’altare sprigiona e si alimenta lo stile di vita caratterizzato dal dono di sé, da giocare e da spendere nella complessità del nostro tempo e dei nostri rapporti.
In conclusione: “Volete andarvene anche voi? – “Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna” (Gv 6, 67-68).