COMMEMORAZIONE STRAGE DI FRAGHETO
5 aprile 2014 – A Fragheto e Casteldelci
Ger 11, 18-20
Sal 7
Gv 7, 40-53
Inizio la meditazione sulla Parola di Dio con un celebre testo: la finale dell’Amleto di Shakespeare. La tragedia si chiude col tradimento, la morte della regina e poi del re usurpatore. Amleto, ferito dalla punta della spada avvelenata, sta per morire. Anche l’amico Orazio vorrebbe seguirlo nella morte, felice di abbandonare la scena drammatica e amara di questa vita, bevendo l’ultimo sorso di veleno che è rimasto. Amleto non vuole e gli dice: “Se sei un uomo, dammi la coppa; lasciala, per Bacco! La voglio. Oh buon Orazio che nome infame lascerei se tutto questo rimanesse ignorato? (…) in questo mondo crudele devi trarre il tuo respiro per raccontare la mia storia”. E poi conclude: “Il resto è silenzio”.
Restare per raccontare.
Raccontare perché non vada persa la memoria e perché quanto è successo settanta anni fa qui a Fragheto non scivoli nell’oblio: rappresaglia e strage di innocenti inermi. Ricordare e raccontare, non per vendetta ma per giustizia.
Non per bloccare la storia su immagini di sangue, ma per apprendere la lezione della pace e la pedagogia dell’incontro: dall’orrore per la barbarie al quotidiano lavoro su noi stessi per dominare le “passioni”.
Anche la prima lettura che abbiamo ascoltata in questa liturgia, una celebre pagina del profeta Geremia, ci porta dentro uno scenario di sangue: un agnello innocente viene condotto al macello. Il profeta teme che il suo nome non sia più ricordato e il sacrificio inutilmente sprecato. L’agnello è figura di Gesù, l’innocente che si è caricato del peccato e del male che è nel mondo. Egli rimette la sua causa a Dio: chicco di frumento che cade per terra e muore, ma per portare frutto e vita (cfr. Gv 12, 24).
“Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe siamo guariti” (Is 53, 5).
Un dolore innocente: il Figlio di Dio è solidale fino in fondo. Egli ci indica nell’abbandono in Dio e nel perdono la via della redenzione.
Il Vangelo ci riferisce la disputa dei Giudei intorno a Gesù: c’è chi lo riconosce Messia; c’è chi gli è ostile; c’è chi sta a guardare. Curiosa l’esortazione dei farisei a Nicodemo – il visitatore notturno di Gesù – “Studia e vedrai…” (Gv 7, 52). Un’esortazione valida anche per noi: applicarsi allo studio delle Scritture, imparare le lingue, non dimenticare l’importanza della ricerca storica, ecc… In ogni caso, mettere in attività la ragione: “La cura per l’istruzione è amore” (Sap 6, 17).
Quale tipologia di studio ci viene chiesta? Quella dei farisei, dove il sapere diventa una forma di potere? Lo studio riservato ad una élite? La cultura presuntuosa di chi è pago della sua erudizione e non ascolta il cuore? Nicodemo ci mostra il sapere che sa andare di pari passo col cuore e con la vita, perché si lascia interpellare e mettere in questione. Un sapere aperto; Nicodemo pone una domanda aperta intorno a Gesù: “E se costui…”
Un avvertimento: non trascuriamo d’essere attenti all’attualità e ai segni dei tempi da decifrare, ma impariamo anche dal passato, la storia è maestra di vita e apertura al futuro che speriamo migliore.