Omelia nella S.Messa per l’Insediamento degli Ecc.mi Capitani Reggenti

Eccellentissimi Capitani Reggenti,
Eccellenza Rev.ma Mons. Petar Rajič, nunzio apostolico a San Marino,
Eccellenze e Onorevoli ospiti,
Autorità civili e militari,
sorelle e fratelli tutti,
l’occasione mi è propizia per esprimere la gratitudine e gli auspici di benemerenza ai capitani reggenti eletti e a chi, avvicendandosi nella secolare tradizione della nostra Serenissima Repubblica di San Marino, ha custodito fino ad oggi i valori e i fondamenti del dono della libertà e della giustizia, cosi come abbiamo pregato all’inizio di questa Celebrazione Eucaristica, invocando per essi, gli Ecc.mi Capitani Reggenti, la grazia «di adempiere fedelmente al loro incarico, di custodire e assicurare sempre al popolo loro affidato la libertà, nell’ordine e nella pace» (Cfr. Colletta Santa Messa).

Il Vangelo di oggi ci presenta il cammino di Gesù e i suoi discepoli verso Gerusalemme, «Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto» (Lc 9,51): un percorso fatto di attraversamento di villaggi, incontri, accoglienze e rifiuti, proprio come nelle vicende di tutte le donne e gli uomini, di ogni epoca, chiamati a corrispondere alle sfide che il tempo e la storia rivolge loro. Nella narrazione di Luca assistiamo ad una reazione di incomprensione, disgusto e inclinazione alla vendetta, che coinvolge particolarmente i discepoli, in una situazione di rifiuto da parte dei Samaritani, che culmina in una contraddittoria e infedele richiesta, rispetto allo scopo della missione del loro stesso Maestro: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» (Lc 9,56). Gesù voltandosi verso di loro, li rimprovera, per poi riprendere il cammino.

In questa dinamica di fedeltà allo scopo e di richiamo ad esso, possiamo cogliere il senso del servizio, che affida, all’incarico e compito di “guida e custodia” delle sorti di un Paese e di una comunità, la distinta responsabilità di cura del proposito ispiratore e fondante, cioè di “ciò che è posto innanzi, davanti a noi” (Cfr. etimologia del termine proposito) per essere attuato.
Guardando davanti a noi si progredisce e si avanza nel desiderio di garanzia del bene comune, purché, come mostra Gesù ai suoi discepoli, la meta del nostro percorso sia chiara e definita: essa ci eleva al di sopra delle traversie e delle incomprensioni, temperandoci nella saggezza fondamentale di quel legame essenziale e vitale, che fonda e costituisce la nostra identità.

San Paolo VI, nell’indirizzo di saluto ai Capitani Reggenti, all’indomani della Conclusione del Concilio Vaticano II, evidenzia le peculiarità dell’ideale costitutivo a cui il nostro Santo Fondatore Marino consacra la nostra Serenissima Repubblica. «La storia secolare della benemerita Repubblica – afferma San Paolo VI – trae di qui il segreto della sua vitalità, la forza dei suoi ordinamenti, e soprattutto la freschezza di quelle prerogative, che la rendono ammirata anche davanti alle più grandi nazioni: il desiderio sincero e tenace della libertà e della giustizia»[1].

Questa fondamentale precisazione formula il senso del mandato odierno, che trae illuminazione, motivo e slancio dal cuore di ogni sammarinese, il cui senso di appartenenza è fortemente radicato nei principi ispiratori della libertà, nutrito dagli ideali del Santo Fondatore, Marino, che, mosso dallo Spirito Santo, tradusse l’anelito di pace e giustizia fondando una comunità-popolo regale, la cui nobiltà di rango ha radici molto più profonde e lungimiranti delle classificazioni sociali discriminatorie e causa di conflitti, perché tale sovranità comincia e si nutre all’affermazione della dignità e sacralità di ogni essere umano, la cui libertà è innanzitutto liberazione da ogni logica di oppressione e morte.

La meta di Gesù, nel suo cammino verso Gerusalemme, è chiaramente la croce, l’offerta totale di sé per liberare ogni creatura dal potere della morte e questo anelito sostenga e illumini il cuore e la mente di tutti nel promuovere, soprattutto in questo tempo, con l’offerta e il contributo del proprio incarico e missione, la giustizia e la pace, che, proprio da questa “terra della libertà” vogliamo unanimemente implorare, perché cessino le guerre e i conflitti in ogni parte della Terra, così come, senza tregua, il nostro amato Papa Francesco continua a scongiurare.

L’auspicio e i voti augurali, in questa circostanza, ottengano per gli Ecc.mi Capitani Reggenti il dono della fedeltà alla custodia della libertà, fondamento della pace, della giustizia e promotore del bene comune.

[1] PAOLO VI, Discorso ai Capitani Reggenti della Repubblica di San Marino, Udienza del 03 luglio 1963

Omelia nella Professione religiosa dei voti temporanei di Suor Maria Chiara Ghigi

Pennabilli (RN), Cattedrale, 21 settembre 2024

«L’infelicità rende Dio assente agli occhi degli uomini per un certo tempo, più assente di un morto, più assente della luce in una prigione oscura. Una specie di orrore sommerge tutta l’anima. Durante questa assenza non trova nulla che possa amare. E se in queste tenebre, in cui non vi è nulla da amare, l’anima smette di amare, l’assenza di Dio diventa definitiva: è terribile solo a pensarci».
(Simone Weil)

Miei cari,
si schiude davanti ai nostri occhi il mistero incomprensibile dell’amore di Dio che, nella professione religiosa dei voti temporanei di Chiara, ci espone all’incanto inesprimibile dell’esperienza, sconvolgente e totalizzante, del «lasciare tutto» per far spazio a Lui, sorgente inesauribile di vita e di gioia, perché diventi il nostro tutto per essere «capax Dei».
L’apostolo Matteo, di cui oggi celebriamo la Festa, affida l’inizio della sua conversione all’invito del Signore, che, raggiungendolo al banco delle imposte, gli dice, come ha detto ad ognuno di noi, «seguimi» (Mt 9,9). Il fascino di quell’invito intercettò e raggiunse il suo desiderio di gioia piena, profanato e illuso dall’avidità delle ricchezze, che fino a quel momento lo avevano ridotto ad un impostore, imprigionandolo nel buio della solitudine e del disprezzo di tutti, senza prospettiva e slancio, mendicante di un riconoscimento e bisognoso di attenzione, seduto sul trono delle sue illusioni e dei suoi inganni, smarrito nei pensieri di un cuore pervertito e corrotto. Anche sant’Agostino, animato dallo stesso desiderio di gioia, approda e si consuma nell’avidità per le creature, che lo hanno spogliato di tutta la bellezza della sua natura umana, riducendolo ad uno “sfruttatore”, ad un “lussurioso”, schiavo dei suoi perversi desideri, come afferma egli stesso di sé: «Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature…», ma il «grido» di Gesù «ha squarciato la sua sordità» e «il suo splendore ha dissipato la sua cecità» (cfr. Agostino, Le Confessioni), dando inizio ad una vita nuova, generata dal dono della Misericordia, il cui effetto sulla sua persona è tradotto dalla forza di queste immagini: «Hai effuso il tuo profumo; l’ho aspirato e ora anelo a te. Ti ho gustato, e ora ho fame e sete di te» (cfr. Agostino, Le Confessioni).
Anche tu, come le tue carissime sorelle che ti hanno accolto nella loro fraternità, oggi, chiedi a Dio e alla sua Chiesa «la misericordia del Signore e la grazia di servirlo nell’Ordine di Sant’Agostino» (Dal Rituale della Professione religiosa). Sì, carissima Chiara, dopo un tempo di accampamento ospitale nella tenda della Comunità delle nostre suore della Rupe (così come amabilmente chiamiamo il nostro monastero, borgo dei viandanti che cercano Dio e sostano per essere ristorati nel loro desiderio di fare esperienza del Vangelo della bellezza e della vita vera), oggi ci domandi il dono della Misericordia di Dio, di poggiare il tuo capo sul cuore di Colui che si fa misero, povero, per arricchire la tua e la nostra vita dell’amore pieno, senza morte, fedele al coraggio di una promessa che ti giunge da lontano, dall’Eternità, ti oltrepassa e ti comprende e, nello stesso tempo, ti compie e tu, proprio come Agostino, dirai: «Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio della tua pace» (cfr. Agostino, Le Confessioni).
Custodisci, nella fedeltà a questa promessa, il dono della chiamata, della cui risposta dovrai prenderti cura ogni giorno, con la gratitudine, proprio come ci raccomanda papa Francesco, indicandocela come atteggiamento per alimentare la fedeltà:

«Ogni vocazione nasce da quello sguardo amorevole con cui il Signore ci è venuto incontro, magari proprio mentre la nostra barca era in preda alla tempesta. «Più che una nostra scelta, è la risposta alla chiamata gratuita del Signore» (Lettera ai sacerdoti, 4 agosto 2019); perciò, riusciremo a scoprirla e abbracciarla quando il nostro cuore si aprirà alla gratitudine e saprà cogliere il passaggio di Dio nella nostra vita» (Messaggio per la LVII Giornata di preghiera per le Vocazioni).

Nel solco di Matteo, di Agostino e delle tue carissime sorelle, «alzati e seguilo», perché il monastero non è una meta di arrivo, dove si compie il tuo cammino e si arena la tua esistenza, se è fuga dal mondo, e quindi fuga da sè, ma un varco di Speranza che sfonda le mura di ogni nostra inconcludente e paralizzante idea di consacrazione narcisista e ripiegata su di sé.
La clausura del monastero, come rispose Madre Claudia ad un giovane della mia Diocesi che le chiese cosa fosse e, soprattutto, come si realizzava nella vostra esperienza monastica, sia la comunità fraterna, dove, come dirai nelle interrogazioni che ti rivolgerò, «vorrai vivere unanime con le tue sorelle nella stessa casa, nel comune progetto di cercare instancabilmente Dio con un cuor solo e un’anima sola» (Dal Rituale della Professione). La Comunità sarà la tua custodia e la tua forza, e, con la Grazia dello Spirito Santo, ti genererà all’unione piena con Dio e al suo Amore, quale risposta, profonda e inquieta, alla perdita dell’Eden. La vita religiosa sfida i nascondimenti delle donne e degli uomini che, tormentati dalla perdita della pace dell’Eden e della visione del Creatore, sfuggono al richiamo del Padre. È la scelta profetica dell’accadimento del ritrovamento «mentre cerchi» e del compimento del “rallegramento” del deserto e della terra arida e della fioritura della steppa (cfr. Is 35,1) che canta con gioia e giubilo la gloria del Signore e la magnificenza del nostro Dio per dire «agli smarriti di cuore: Coraggio, non temete». La tua presenza, accolta e custodita in comunità, sia, per i viandanti che busseranno al vostro cuore, il ristoro benedetto e fecondo, incoraggiante e consolatorio: attingi alla vita fraterna più che alle tue convinzioni lo spirito della Regola del santo padre Agostino per custodire, nella visione di Dio, lo scandalo della tua scelta: cercare Dio e servire la Chiesa e tutte le creature “amate” dal Signore.
La profezia, terribilmente attuale, visti gli scenari di morte che sconvolgono la nostra umanità, trova, nella tua scelta di consacrazione, le coordinate che il cammino del viandante dovrà tener presente perché il suo desiderio di vita si realizzi nell’incontro e nella visione di Dio. «La gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio», affermava Ireneo di Lione. Allora capirai che questa lontananza dall’Eden è la causa del senso di vuoto che alimenta il desiderio di pienezza. Le angosce, la tristezza e il dolore dell’umanità, ferita dal peccato, invocano la liberazione dall’inganno mortale della ricerca menzognera di «essere come Dio». Per questo motivo, oggi ti chiediamo di strappare un pezzo del velo squarciato del Tempio al momento della morte di Gesù in croce e di coprirti il capo con esso, perché la tua rinascita scaturisca da quello strappo e porti in ogni tuo gesto la forza e la potenza dell’amore, che apre varchi tra i contenimenti dell’egoismo e della superbia, nelle arrese delle donne e degli uomini che t’incontreranno: riapri i loro sguardi alle lontananze dei desideri di gioie, rendili capaci di «vedere Dio»: perché tu «fedele alla vocazione contemplativa» sappi esercitare sguardi lungimiranti e profondi per attirare al Creatore ogni sua creatura. Non aver paura di osare il coraggio di Maria Maddalena che, dopo aver visto e contemplato il Risorto, ci invita a veder «morire la morte». Nello spirito delle regole e costituzioni della Famiglia Agostiniana, quale «amante della bellezza spirituale» (dal Rituale per la Professione Religiosa), diffondi con la tua vita il profumo soave di Cristo che ci salva dalla morte: decentrati per estenderti verso i fratelli e le sorelle; combatti il narcisismo per vivere unanime, per aver un cuor solo e un’anima sola; consegnati alla Provvidenza per essere tu stessa un dono; ama senza misura; trasgredisci le regole della mortalità per seguire l’Amato; sii felice.

Nella tua vita, rinnoverai ogni giorno, il dono e la consegna di te: possa il voto di castità alimentare il desiderio dell’Eden, ferito dalla superbia e soffocato dall’infelicità.

La lontananza dall’Eden (Gn 3,23-24), causa del senso di vuoto e desiderio di pienezza

Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto. Scacciò l’uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all’albero della vita.

Cosa ci rivelano le angosce e l’infelicità? Perché i nostri volti si rabbuiano e sono logorati dal sudore della fatica per quei pensieri di autocommiserazione? Spesso ci lamentiamo, siamo insoddisfatti, rivendichiamo mancanze subite!

In queste situazioni si rivela “la cacciata” e “la perdita” dell’Eden! Non esauriremo mai questo vortice stressante se non ammettiamo a noi stessi che non possiamo continuare ad indugiare sulle MANCANZE, ma dobbiamo avanzare nel nostro ritorno a Dio. Non potremo amare se non cambiamo il riferimento della nostra vita. Bisogna uscire dalle sicurezze e dalle stabilità che abbiamo edificato con le nostre abitudini. Bisogna DECENTRARSI verso l’Eden e questa nostalgia pasquale si rivela proprio nella notte dell’infelicità, dove siamo chiamati a spezzare ogni legame con quanto ci intrattiene nell’IO per desiderare DIO.

Possa il voto di obbedienza tenerti connessa alla voce di Dio, la cui Parola, Gesù Cristo, smarrisce i superbi nei pensieri del loro cuore, mettendo in crisi la tentazione quotidiana del narcisismo.

Il desiderio di morire (1Re, 19,4), perché non sono diverso dagli altri: la crisi del narcisismo

Egli (Elia) si inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto un ginepro. Desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri».

L’infelicità, che diventa anche depressione e insoddisfazione, ci rende incapaci di amare perché rivela la radice narcisistica della nostra immaturità umana. La vita comunitaria, quando non provoca il dono di sé, rischia di diventare il rifugio sicuro per una vita “garantita” e non “esposta”. Spesso ci capita di rivendicare, in nome di una vita donata per la vita comunitaria, ogni genere di attenzione e servizio. Tutto ci è dovuto! Così le nostre comunità diventano infeconde e chiuse, incapaci di ospitalità e di gratuità. Il narcisismo è la strada della morte, dello smarrimento spirituale, della consumazione della comunione e della bellezza. È veramente triste incontrare dei consacrati “infelici” perché, secondo loro, non contano niente, sono sempre emarginati e trattati come gli ultimi. È l’offesa più feroce che inferiamo al nostro narcisismo, ma, se qualcuno ci aiutasse a capire che il desiderio di morire, perché non siamo diversi dagli altri, costituisce la rinascita, saremmo eternamente grati per averci restituito alla bellezza della vita.

Possa la povertà aprirti all’oggi provvidente di Dio per smontare i nostri calcoli di riserve sicure.

Il superfluo nella vita consacrata ci abitua ad una vita superficiale (Mc 12,41-44)

E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: «In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

L’amore esige l’accoglienza della morte di sé. Non possiamo “riservarci” qualcosa per noi! Il trascinamento di questa logica di “riserva”, che spesso giustifichiamo con l’appello alla cautela, alla prudenza, rivela il confine che abbiamo posto tra noi e Dio, tra il suo amore che ci raggiunge come PROVVIDENZA e i nostri calcoli opportunistici. Fino a quando resisteremo all’esempio della vedova che «nella sua povertà, ha messo tutto quello che aveva per vivere» non intraprenderemo il nostro cammino di perfezionamento nella carità. A volte, il voto di povertà non ha il sapore della condivisione, della generosità, dello slancio libero e liberante dell’affidamento di sé alla Provvidenza. Spesso, purtroppo, lo rinnoviamo come un contratto assicurativo che mi tutela e mi garantisce, senza mai farmi sperimentare l’abbandono a Colui che si prenderà cura di noi: «Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena» (Mt 6,32-34).

Ma soprattutto, anche se non espressamente sia un voto, prometti di coltivare la bellezza dell’amore, pratica l’amore custodendo il bisogno degli altri e dell’Altro.

Amare vuol dire “aver bisogno dell’Altro”: la cecità dell’autosufficienza (Ap 3,15-17)

Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. Tu dici: «Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla», ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo.

L’infelicità è la conseguenza dell’autosufficienza, atteggiamento che ci svincola da tutto e da tutti. Rende la nostra vita insipida, incapace di condivisione e di affidamento. È il frutto di un’obbedienza sorda e muta, che impedisce a chiunque di entrare nel nostro cuore, rendendolo incapace di attesa e di attenzione. Il peccato originale è l’affermazione della rinnegazione autosufficiente dell’essere umano che, svincolandosi da Dio, non sente più legami e, per questo motivo, non ha appartenenza, diventando ramingo e fuggiasco, un vagabondo che non ha meta. Basta pensare ai nostri pellegrinaggi di comunità in comunità, alla ricerca di una pace che, purtroppo, non può essere alimentata da un cuore inquieto e disorientato.

E, per concludere, sii trasgressiva delle regole che imbrigliano Dio nei nostri ragionamenti e paure; sii libera di andare controcorrente perché «felicità perenne splenderà sul tuo capo; gioia e felicità ti seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto» (Is 35,10).

La trasgressione e l’abbandono rinnovano la ricerca (Ct 3,1-4)

Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato
l’amato del mio cuore;
l’ho cercato, ma non l’ho trovato.
«Mi alzerò e farò il giro della città;
per le strade e per le piazze;
voglio cercare l’amato del mio cuore».
L’ho cercato, ma non l’ho trovato.
Mi hanno incontrato le guardie che fanno la ronda:
«Avete visto l’amato del mio cuore?».
Da poco le avevo oltrepassate,
quando trovai l’amato del mio cuore.

La vita consacrata è l’incauta ricerca dell’Amato del nostro cuore, che ci permette di attraversare il buio della notte, esponendoci alle “pericolosità” che questa riserva a chi sfida il limite che il mondo ci pone. Il rischio di una mondanizzazione della nostra esistenza svuota di senso e significato la scelta di appartenere solamente al Signore. Il buio, il torpore, la stanchezza della nostra vita di consacrati rischia di farci perdere di vista Dio e di abbruttirci nelle nostre idolatrie. Corriamo spesso il rischio di adorare il nostro Dio, il Dio comodo, della nostra trasgressione, dell’abbandono nel deserto dell’abitudine. La vita consacrata si rafforza al crisma dell’inquietudine per il Regno e diventa “missione” e “annuncio”, orizzonte all’interno del quale si manifesta e rivela la nostra ricerca dell’Amato. Nell’Esortazione Vita Consecrata si afferma:

«La vita consacrata è al servizio di questa definitiva irradiazione della gloria divina, quando ogni carne vedrà la salvezza di Dio (cfr. Lc 3,6; Is 40,5). L’Oriente cristiano sottolinea questa dimensione quando considera i monaci come angeli di Dio sulla terra, che annunciano il rinnovamento del mondo in Cristo. In Occidente il monachesimo è celebrazione di memoria e vigilia: memoria delle meraviglie operate da Dio, vigilia del compimento ultimo della speranza. Il messaggio del monachesimo e della vita contemplativa ripete incessantemente che il primato di Dio è per l’esistenza umana pienezza di significato e di gioia, perché l’uomo è fatto per Dio ed è inquieto finché in Lui non trova pace» (Vita Consecrata, 27).

Il Signore ti conceda il dono dell’AMEN, ovvero di trovare in te ciò che cercavi altrove e di essere un miracolo perché, come dice, Agostino:

«L’uomo ammira tante bellezze nella natura, ma egli stesso è un grande miracolo» (Serm. 226,3,4).

Dio ti confermi nel tuo proposito per essere il suo miracolo.

Omelia per l’inizio del ministero pastorale

Pennabilli (RN), Piazza Vittorio Emanuele II, 18 maggio 2024

L’invocazione allo Spirito Santo, durante il canto dell’Alleluia, ha implorato l’accensione del fuoco dell’amore di Dio nei nostri cuori, dove maturano i nostri pensieri e prende forma la nostra esistenza.
Un cuore abitato dallo Spirito Santo è un cuore capace di Dio, del suo amore e della pienezza della vita. Soffocare la voce dello Spirito, che «intercede con gemiti inesprimibili» (Rm 8,27), in attesa dell’adozione a figli e della redenzione del nostro corpo (cfr. Rm 8, 22ss), offusca la nostra prospettiva di gioia, riducendo l’esistenza a visioni miope, paralizzate e senza il respiro della vita e della gioia piena che Cristo ci ha promesso: «Perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,17).
Gesù ha indicato sé stesso come la sorgente dell’acqua viva e ci invita ad andare a Lui per soddisfare e saziare la nostra sete di vita e di gioia (Gv 7,37), di eterno.

Quest’oggi, nella Solennità della Vigilia di Pentecoste, il Signore ci ha convocato per dare inizio al mio ministero episcopale in questa parte di Chiesa che è la nostra Diocesi di San Marino-Montefeltro, per accoglierci nello Spirito Santo che guida e sostiene i nostri cuori nel nostro quotidiano esodo dalla morte alla vita, dalla tristezza alla gioia, dal peccato che ci distrugge alla misericordia che ci redime, da una vita senza prospettive di eternità al dono di una promessa di vita eterna, da cui deve ripartire ogni giorno il nostro “Sì” a Cristo e al suo Vangelo.

Sostenuti da questo anelito di vita e gioia piena, che risiede nei nostri desideri più reconditi, lasciamoci guidare dal Maestro interiore, lo Spirito Paraclito, per riaprire i nostri cuori alla possibilità delle promesse di Cristo, che non deludono, che chiariscono e danno luce alla nostra vita, spesso “bloccata” e “oscurata” da una cultura che ha dato lo sfratto al Vangelo di Cristo, espropriandoci dell’«Oltre la vita terrena» e consegnandoci alla prigione di un immanente fine a se stesso, come quello che dominava gli abitanti costruttori di Babele: «Venite, facciamoci mattoni… Venite, costruiamoci una città e una torre, facciamoci un nome, per non disperderci …» (cfr Gn 11,1ss): l’uomo artefice di sé più che desiderato e amato da Dio; un uomo senza origine, disatteso, svuotato del suo stesso motivo di vita; un uomo tomba di sé, abitato solo dalla morte e costantemente votato al suo assurdo destino!

Ma il Signore, allora come oggi, in questo momento, continua a disperderci «nei pensieri del nostro cuore» (cfr. Lc 1,46ss) per salvarci dal destino mortale e da un’esistenza velenosa, restituendoci ai desideri di vita e di gioia, che custodiscono l’amore di Dio; essi rappresentano la nostalgia di Dio che, negando e rifiutando, continuiamo ad ignorare, vivendo “nascondendoci da Lui” (cfr. Gn 3,8).
È la superbia che, prendendo il posto di Dio, muove sentimenti di autonomia, celati dal desiderio di libertà, creando convinzioni di autosufficienza che ci privano della relazione, dei legami, degli affetti, dell’appartenenza. Forse, l’intervento di Dio a Babele, ha risvegliato l’uomo all’altro, alla fraternità, alla sua eredità: la vita di figlio di Dio, che si rivela nell’amore: solo l’amore può restituirci alla gioia vera e piena, rinnovandoci nel dono di sé, della generosità e della bellezza della fraternità.
C’è bisogno, però, di purificare il cuore, di accogliere “i sentimenti di Cristo”, di ringraziare Dio per le “grandi cose” che ha compiuto in ognuno di noi (cfr. Lc 1,46ss); c’è bisogno di ascoltare il suo richiamo che dall’Eterno giunge nella storia e grida «Dove sei?» (cfr. Gn 3,9). Lasciamoci raggiungere dalla sua chiamata, rispondiamo «Eccomi», come hanno fatto le donne e gli uomini della storia della salvezza, come hanno fatto i santi, come ha avuto il coraggio di fare Maria, esponendosi, senza riserva, alla dichiarazione di amore del suo Creatore. Recuperiamo il coraggio dell’amore, perché la nostra vita cristiana possa nutrirsi e sfamarsi al Pane di Vita, l’Eucarestia, Cristo, il Vivente.
Il Signore ci chiama in questo mondo, in questa storia, nelle nostre situazioni, per amarci e donarci la vita piena e non un “compromesso” di sopravvivenza. Tocca a noi corrispondere al suo progetto di salvezza, ma nella consapevolezza che il punto di partenza è la sua promessa di gioia e vita piena e non le nostre convenienze e i nostri egoistici desideri di avidità.
La Solennità della Pentecoste tratteggia le caratteristiche della Chiesa nel mondo e per il mondo, perché il Regno di Dio si manifesti visibilmente in Essa e noi, INSIEME, come comunità di battezzati in ascolto della voce dello Spirito, nel segno del servizio al mondo, concretizzeremo la Carità di Dio, che non avrà mai fine. «Nell’amore non c’è timore»: solo così la sua gioia sarà in noi in maniera piena.
Il Signore, che «scruta tutti gli abitanti della terra, lui, che di ognuno ha plasmato il cuore e ne comprende tutte le opere» (Sal 32), ci concede un esodo di liberazione, fraternità, profezia e preghiera, perché ogni «nostra attività abbia sempre da te il suo inizio ed in te il suo compimento».

Ringraziamento in occasione dell’Ordinazione Episcopale

Acerenza (PZ), Cattedrale, 20 aprile 2024

È bello, giunti a questo momento, incrociare gli occhi di ognuno di voi e potervi dire «grazie».
Non ho trovato nei formulari degli encomi parola più appropriata e compiuta per esprimere la mia gratitudine e tutto l’affetto per la vostra vicinanza e amicizia: grazie perché “ci siete”: la vostra presenza, segno di profonda amicizia, mi riempie di grande gioia. Grazie.
Associandomi ai saluti di S.E. Mons. Francesco Sirufo, saluto e ringrazio con deferenza le autorità civili e militari che hanno preso parte alla Celebrazione Eucaristica, durante la quale, per grazia di Dio, sono stato ordinato vescovo per la Chiesa di San Marino-Montefeltro.
Sono veramente grato a ciascuno per aver lasciato nel mio cuore ciò che mi ha reso l’uomo, il credente e il sacerdote che sono.

Esprimo il mio grazie:
A Dio, datore della vita, Amore infinito, Onnipotente, giusto e misericordioso. A Lui elevo il mio rendimento di grazie per avermi scelto e costituito successore degli Apostoli. A te, o Altissimo, con le parole di Francesco di Assisi chiedo:
«di fare ciò che sappiamo che tu vuoi,
e di volere sempre ciò che a te piace,
affinché interiormente purificato,
interiormente illuminato e acceso dal fuoco dello Spirito Santo,
possa seguire le orme del diletto figlio tuo, nostro Signore Gesù Cristo».

A Sua Santità, Papa Francesco, che rivolgendo la sua attenzione alla mia persona, mi ha nominato Vescovo dell’amata Diocesi di San Marino-Montefeltro.

Alla mia famiglia, papà Nicola, mamma Antonietta, Giulia, Carmine e Antonio, che mi hanno custodito e sostenuto sempre, insegnandomi che la grandezza dell’uomo risiede sempre nella gentilezza e nel saper dire “sempre” grazie, con cuore aperto e accogliente.

Al mio vescovo, Mons. Francesco Sirufo, che incoraggiando i miei passi ad accogliere liberamente e fiduciosamente l’elezione episcopale, con lo sguardo, paterno e amicale, mi ha esortato ad essere custode e collaboratore del popolo di Dio per una Chiesa “in ogni luogo, attenta esperta di umanità”. Grazie per il dono della sua paternità.

Agli Ecc.mi Arcivescovi e Vescovi qui presenti, tra cui il carissimo Mons. Andrea Turazzi, che ha guidato con sapienza e premura la Diocesi di San Marino-Montefeltro, manifestandomi, da subito, affetto e vicinanza. La vostra vicinanza mi offre la possibilità di sperimentare la bellezza e la forza dell’amicizia, sostegno indispensabile per maturare un impegno apostolico scevro da ogni individualismo e autoreferenzialità: mi consegno con simpatia alla vostra sincera e cordiale amicizia, sicuro che troverò sempre sostegno e ristoro fraterno.

Ai sacerdoti, soprattutto ai miei confratelli del presbiterio acheruntino e al mio carissimo presbiterio di San Marino-Montefeltro, al mio carissimo parroco don Donato Glisci, ai diaconi, religiosi e religiose, consacrate e consacrati; ai seminaristi del Seminario Maggiore di Basilicata con i loro superiori; al carissimo Paolo, seminarista della nostra Diocesi di San Marino-Montefeltro, agli studenti dell’ITB e al suo Direttore, ai docenti e collaboratori: sento vivo il desiderio di rivolgere a ciascuno di voi parole di cordiale gratitudine e affetto per avermi “voluto bene” e per i nostri percorsi di crescita umana ed ecclesiale.

A Castelmezzano, mio paese natìo, che mi ha dato le orgogliose origini lucane, a Laurenzana e Pietrapertosa, le mie prime parrocchie, ad Acerenza, nostro centro diocesi, a tutte le singole comunità parrocchiali della nostra amata Diocesi: grazie per avermi permesso di annunciare e vivere il Vangelo come discepolo e pastore con voi e in mezzo a voi.

Alle aggregazioni laicali: Rinnovamento nello Spirito, Comunione e Liberazione, UNITALSI, OFS, Neocatecumenali; Gruppo di preghiera di Padre Pio: grazie per avermi accompagnato e per quanto fate a servizio dell’edificazione della comunità ecclesiale. Attraverso di voi ho sempre vissuto e contemplato la creatività dello Spirito Santo che agisce in maniera sorprendente e inedita perché “nessuno vada perduto”.

Non me ne vogliate per questa particolare attenzione. Dico grazie alla mia amata Azione Cattolica che mi ha generato alla passione ecclesiale dell’apostolato vivo e coraggioso. Se con il Battesimo sono diventato cristiano, in AC sono diventato “il giovane”, oggi il sacerdote e l’adulto, dell’impegno ecclesiale che assume il mondo per un impegno missionario e secolare perché cresca il Regno d’amore del Sacro Cuore di Gesù.

A quanti hanno contribuito a rendere la Celebrazione bella e solenne e agli organizzatori di questo evento: il sindaco di Acerenza, Dott. Fernando Scattone, il comitato diocesano organizzatore, il servizio liturgico, la meravigliosa corale “Mons. Perosi” della mia parrocchia di Pietragalla, diretta dal Maestro Teodosio Bevilacqua e sostenuta da tutti i professionisti dell’orchestra, il servizio d’ordine, quanti hanno predisposto e decorato la nostra splendida Cattedrale, i miei ministranti, insomma tutti coloro che si sono adoperati perché tutto fosse “a regola d’arte”, per la gloria e la lode di Nostro Signore Gesù Cristo.

Ai giovani della comunità di recupero per tossicodipendenti di Siano e a tutta l’équipe educativa, perché mi hanno insegnato che la fraternità non è un’ideologia, ma la condivisione della vita, che scaturisce dall’ascolto e dall’incontro, guardando alla stessa meta: la bellezza della vita che Dio ci ha donato.

Ai miei amici, tantissimi… ognuno di voi è sempre il più bell’orizzonte in cui perdersi, per ritrovare sé stessi alla sorgente del respirare e del calore umano, segno, in terra, dell’amore straordinario di Dio.

Avete notato che non ho citato Pietragalla… si è inchiodata nel mio cuore!!! Sono certo, però, che in questo momento, con gratitudine al Signore e con il sostegno del nostro patrono, San Teodosio, mi consegnate con generosità alla mia Chiesa di San Marino-Montefeltro, cui apro le braccia e il cuore per accogliervi e amarvi tutti, con l’entusiasmo e la passione che Gesù, mio Signore e mio tutto, riesce a infondermi. Grazie, è tutto ciò che riesco a dire.

Infine, non per importanza, ad Armida Barelli, Padre Agostino Gemelli, don Angelo Mazzarone, Piergiorgio Frassati, Giovanni Paolo II ed oggi, nel giorno del suo anniversario, a don Tonino Bello, cui affido il mio ministero episcopale, perché impari ad essere “cireneo della gioia” con “stola e grembiule”. Tutti loro dall’alto mi hanno guidato e mi guidano ad andare “Verso l’alto” senza alcun timore.

«Nell’amore non c’è timore» (1Gv 4,18)

Grazie