Festa dei Santi Cosma e Damiano

S.E. Mons. Andrea Turazzi

Lunano, 26 settembre 2014

 

Mt 10, 28-33

Nel giorno in cui ricordiamo i nostri patroni Cosma e Damiano ritorna la parola di Gesù: «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo… chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio». Testi e detti di Gesù che costituiscono un invito pressante di annunciare il Vangelo senza paura. Certo, la prospettiva del martirio fa paura: ci sta! Ma anche il semplice “rispetto umano” ci può ammutolire. Come la paura di apparire “retrò” e di essere canzonati da chi si ritiene moderno. Se non abbiamo queste paure, riconosciamo che si può restare muti per avvilimento: “Tanto quel che dico non conta niente! A che pro!!!” Se sapessimo il cammino che anche solo una parola può fare in un cuore! Anche Isaia, il profeta, fa l’esperienza del “blocco” davanti alla missione ricevuta di annunciare. Ad Isaia faceva problema la coscienza del suo peccato: «Ahimè, Signore, sono uomo da labbra impure» (cfr. Is 6, 5). Quando ci metteremo ad annunciare se aspettiamo ad essere puri come angeli? Non verrà il serafino a purificare le nostre labbra, ma una voce grida dal profondo del nostro cuore e l’incalza: “Che ne è del tuo Battesimo? Che te ne fai della Cresima che hai ricevuto? E dell’Eucaristia?”. Questi doni non sono sufficienti a togliere la paura per annunciare il Signore? Gesù proclama: «Io ho parlato apertamente al mondo… E nulla ho detto in segreto» (Gv 18,20).

San Giovanni Crisostomo dà una simpatica interpretazione di questo versetto. Egli vede la predicazione di Gesù come un sussurrare all’orecchio della gente dei piccoli villaggi di Palestina, perché poi a tutto il mondo arrivi il grido dei discepoli! E questi testimoni avranno la missione appunto di gridare dai tetti, cioè “in tutta sicurezza e libertà” (cfr At 28, 31). “L’amplificazione sonora” del Vangelo è adempimento della promessa di Gesù stesso: “Voi farete cose più grandi di me” (Gv 14, 12).

Giovanni Paolo II ci ha ripetuto molte volte con forza: “Non abbiate paura!”. No, non temiamo di annunciare Gesù; non rinchiudiamo nel segreto la nostra fede; sfidiamo la società che vorrebbe relegare la fede nel privato. La nostra fede è luce per il mondo… Ed una luce, pur piccola che sia, si vede da lontano.

XXV Domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Pieve di Carpegna, 21 settembre 2014

Potremmo partire dall’atteggiamento “fastidioso” del protagonista della parabola che paga gli operai in modo così singolare.
È evidente che non si tratta di un insegnamento sulla giustizia retributiva. Allora è necessario, per capire il vero insegnamento, saper distinguere fra gli elementi funzionali al racconto parabolico – che non sono l’insegnamento – e il centro dottrinale della parabola stessa.
Per sé non è una parabola sulla vocazione alla fede e neppure su quella alla vita religiosa (del tipo “Dio chiama a tutte le ore”); infatti, la disputa tra gli operai non verte sull’ora della chiamata, ma sul salario accordato.
Non è un’affermazione di principio sull’eguaglianza di tutti davanti a Dio: ciò che balza agli occhi è proprio la loro diseguaglianza che riceve un identico trattamento.
Non è l’affermazione dell’arbitrio della Volontà divina (in realtà Dio appare “cristianamente misericordioso”), né una massificazione del Paradiso, poiché la parabola ha una chiara posizione “storica”, la vicenda infatti si svolge “al di qua”.
Piuttosto, la parabola illustra, in forma narrativa, il concreto e sorprendente agire di Dio nella storia, allorché, in Cristo e per mezzo di Lui, offre agli uomini la sua grazia, la sua prossimità.
Israele ben conosce la “stranezza” di Dio! (cfr. Is 55, 6-9). Dio non è coercibile dentro le nostre logiche e i nostri sistemi. È il completamente diverso!
Avrebbero dovuto saperlo gli ascoltatori di Gesù. Sembrano troppo attaccati ai loro meriti.
Matteo lascia intravvedere anche la reazione all’interno della prima comunità cristiana di provenienza giudaica, quando vede l’innesto nel nuovo popolo messianico di tanti pagani. La salvezza operata da Dio attraverso Gesù esclude ogni credenziale, primogenitura, diritto di anzianità di servizio…
Certamente Dio ha scelto di manifestarsi piano piano nella storia e lo ha fatto attraverso un popolo, un popolo eletto e teneramente amato (cfr. Is 43, 1-7); ma ora, attraverso Gesù, la grazia è per tutti, “pura grazia”, dono gratuito della libertà e sovranità di Dio.
Tale grazia non può che essere la stessa per i primi (Israele) come per gli ultimi (peccatori e pagani). Ciò che conta è aprirsi al dono. Lo devono fare i primi come gli ultimi, con la fede.
Ciò che conta è che il dono venga “convertito” in lavoro per la vigna. Per questa vigna il padrone esce sulla piazza per ben cinque volte!
Potremmo concludere soffermandoci sullo “sfogo” del padrone-protagonista della parabola: «Sei forse invidioso se io sono buono»?”
Che cosa risponderemmo? Da parte mia – peccatore e ultimo – rispondo: “Sì, Signore, io sono contento se tu sei buono! Sono contento che tu lo sia per me e che tu lo sia per i miei fratelli”. Non mancano – anche ai nostri giorni – dei cristiani che sembrano infastiditi dal messaggio della Misericordia; temono per il prestigio della loro virtù e del loro essere “in regola”.
“Signore, accolgo il tuo dono come un bambino”!

XXV Domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Petrella Guidi

21 settembre 2014

È un giorno importante per il nostro borgo. Si fa festa per l’avvenuto restauro della chiesa, luogo dell’incontro fra noi per la preghiera, ma soprattutto luogo nel quale il Signore ci fa dono di una sua particolare presenza.
«Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? – pregava Salomone nel giorno della dedicazione del tempio a Gerusalemme – Ecco i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruita! (…) Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: là sarà il mio nome! Ascolta la preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo» (1Re 8, 27-29).
Quando Giuda Maccabeo, dopo la profanazione avvenuta con l’occupazione pagana, rientrò nel tempio lo trovò «desolato, l’altare profanato, le porte arse e cresciute le erbe nei cortili come in un luogo selvatico e gli appartamenti sacri in rovina», lui e i suoi uomini «si stracciarono le vesti, fecero grande pianto, si cosparsero di cenere, si prostrarono con la faccia a terra e alzarono grida al cielo». Allora coi suoi uomini e i sacerdoti restaurò, purificò e consacrò di nuovo il tempio. Ci fu grande gioia: «Tutto il popolo si prostrò con la faccia a terra e adorarono e benedirono il Cielo… celebrarono la dedicazione dell’altare per otto giorni e offrirono olocausti con gioia (…). Poi ornarono la facciata del tempio con corone d’oro e piccoli scudi» (1Mac 4, 36ss).
Da Gesù in poi si adora Dio in spirito e verità (cfr. Gv 4, 23). Bastano due o tre riuniti nel suo nome per godere della sua presenza (cfr. Mt 18, 20). Tuttavia, il luogo della preghiera, il luogo dove si celebra l’Eucaristia e – quando è possibile – con onore la si conserva, è santo.
Le pietre che lo formano sono il segno del tempio vivo che è la Chiesa e di cui noi siamo le pietre vive (cfr. 1Pt 2, 5), cimentate dal nostro comune riferimento a Cristo che è il capo e noi sue membra, riunite in fraternità.
Sì, in questa prospettiva la chiesa di pietra è anche relativizzata. Infatti «Del Signore è piena la terra» (cfr. Sal 119, 64). Il Signore abita nella nostra interiorità. Che dire poi della presenza del Signore nella nostra famiglia: la famiglia è la “piccola Chiesa domestica” (cfr. LG 11). E tuttavia, la chiesa di pietre (il tempio) è come un sacramento, cioè un segno efficace della grazia divina; segno efficace del suo desiderio di stare con noi e di attirarci a lui.
Il tempio è segno esterno, visibile, bello, aperto, accogliente, perché tutti sono candidati all’incontro col Signore. I nostri padri hanno voluto questo tempio, hanno scelto il luogo più attraente possibile, hanno impegnato risorse e, soprattutto, l’hanno frequentato con fede. Ce lo hanno lasciato perché sia un segno per noi, una eredità che ci responsabilizza. Questa chiesa sopravvivrà a noi e continuerà ad essere testimonianza. Ci sovviene una frase di Gesù non senza una qualche amarezza: «Quando il Figlio dell’Uomo verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8).
Che sia oggi per tutti noi una occasione per un riesame della nostra vita e delle nostre convinzioni. Che ne è della nostra fede? La nutriamo con la preghiera quotidiana? La fortifichiamo con la partecipazione domenicale all’Eucaristia, santificando il giorno del Signore? La approfondiamo facendo un serio cammino di fede (formazione e lettura della Parola di Dio)? Dal restauro della chiesa di pietra alla riforma della nostra vita cristiana.

Saluto al primo incontro de “I lunedì della politica”

Parrocchia di Borgo Maggiore, 15 settembre 2014

Saluto di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Grazie alle aggregazioni che hanno voluto la ripresa dei “Lunedì della politica”, presso la parrocchia di Borgo che ospita. Grazie soprattutto ai docenti e ai partecipanti. Auspico che una iniziativa come questa possa estendersi ad altri centri della diocesi: in Val Conca, Val Foglia, Val Marecchia… Ritengo tale iniziativa fondamentale per la nostra formazione. Con la Dottrina Sociale viene tracciato il quadro di un umanesimo integrale e solidale. Vi si affrontano, via via, grandi temi: la persona umana (suoi diritti e doveri), il principio del bene comune, il principio di sussidiarietà e di solidarietà, il lavoro, la vita economica, ecc… Quest’anno il grande tema della famiglia. Questa iniziativa dei “Lunedì della politica” è indispensabile se si vogliono far sbocciare nuove vocazioni alla vita politica, o meglio, “persone nuove” per la politica. L’urgenza di formare “uomini nuovi” viene prima dei programmi e prima della protesta (pur legittima contro il malcostume che anche in questi giorni è di scena). Molti cattolici considerano ancora l’economia, la politica, di non interesse immediato per la loro fede. Si lascia ad altri l’iniziativa. Occorre reagire: la diocesi, pur coi suoi limiti e l’esiguità delle risorse, si dà da fare per far crescere adulti nella fede, perché le ragioni della fede si facciano ragioni di vita. Non si tratta di suggerire militanza in questo o quel partito politico, ma di sostenere e formare cristiani capaci di operare nella città degli uomini con un forte senso morale e civile. Ai cattolici – si dice – non mancano idealità, ma a volte la competenza dell’agire sociale e politico. Per impegnarsi per gli altri, per il bene comune, si devono affinare concetti, acquisire strumenti di analisi, capire i meccanismi della società e poi intervenire in essi. In altre parole, tradurre le esperienze in “cultura” e “pensiero”. Non voglio rubare altro tempo. Considerato il tema di quest’anno, la famiglia, vorrei mettere davanti a tutti l’icona – sempre sorprendente – delle nozze di Cana. In particolare mi soffermo sul fatto che Maria, la mamma di Gesù, non ci sta che dal “più” si cali al “meno”. Quando s’accorge che sta per finire il vino, ottiene l’intervento di Gesù e il vino è ancora più abbondante dell’inizio e più buono! Di fronte al progetto di società al quale vogliamo contribuire noi siamo per un “di più”: una sessualità per la relazione d’amore, un amore che si apre alla reciprocità dei sessi, un amore che dice “sì” alla vita, che assume responsabilità… La famiglia come scuola di umanità, di socialità, di santificazione e grembo di vita ecclesiale. “L’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia. Spetta ai cristiani annunciare con gioia e convinzione la buona novella della famiglia”. È una buona notizia!

XXIII Domenica del Tempo Ordinario – Omelia S.E. Mons. Andrea Turazzi

Savignano Monte Tassi, 7 settembre 2014
“Sono forse il custode di mio fratello?” Sono le infelici parole che ha ucciso il fratello e ha peggiorato la situazione smarcandosi dal dovere dell’assistenza fraterna. L’invito di Gesù alla correzione fraterna ci responsabilizza e ci illumina proprio su questo: “se tuo fratello pecca…”. Gesù vuole che ci prendiamo cura gli uni degli altri anche spiritualmente.
Sull’insegnamento di Gesù è sintonizzata anche una delle sette opere di misericordia: ammonire i peccatori. Chi non lo fa pecca di omissione. Anche nella società civile c’è un reato – perseguibile penalmente – che si chiama omissione di soccorso. Il profeta Ezechiele diceva d’essere stato chiamato da Dio come sentinella per il suo popolo, quindi corresponsabile della sua salvezza. Intendiamoci: sentinella, non spione dei fatti altrui, né inquisitore ma un amico che protegge, che comprende, che perdona, che corregge. La nostra indifferenza e il nostro individualismo sono la causa prima dell’abbandono dei più deboli ai tranelli dei “predatori”. La correzione fraterna è una espressione della carità; è carità raffinata a patto che sia proposta come un sincero atto d’amore: schietto, ma rispettoso. E’ un dovere dei genitori verso i figli, degli educatori verso gli allievi…
Ma Gesù propone qualcosa di più. Propone di guadagnare un fratello! Per questo dobbiamo accostarci agli altri ricordando che tra noi c’è una fraternità che il peccato e l’errore non annullano. Sorprende, l’espressione usata da Gesù: “guadagnare un fratello”; può significare varie cose: prima di tutto la premura che “nessuno di questi piccoli vada perduto” (Mt 18,14) o resti emarginato o estraneo o travolto dal male. “Guadagnare un fratello “è obiettivo di chi vuole spalancare le porte ed allargare il cuore alla accoglienza; “guadagnare un fratello” è un vantaggio anche per se stessi, si è più ricchi! E’ bello chiudere la giornata tenendo stretto nelle mani il grappolo di vita che il Signore ci ha dato. Se manca qualcuno, chiediamo al Signore di offrirci altre chances per riallacciare rapporti. E se questo non sembra realizzarsi affidiamo ogni fratello, ogni sorella, al Signore: nessuno è lontano da lui!
Il peccato altrui rimanda alla nostra personale condizione di peccatori. Non siamo santi che si piegano su un peccatore; ma peccatori che prendono un altro per mano. Non si tratta di togliere la pagliuzza dall’occhio altrui, né di regolare i conti in sospeso… Senza amore sincero, senza umiltà e pazienza, si ottiene il risultato opposto: si perde un fratello anziché guadagnarlo!
Il peccato del fratello può essere motivo di uno slancio di solidarietà. Riflessioni di questo tipo ci aiutano a stare in una condizione di parità e non di giudizio. Ci sono santi che – come Gesù – hanno amato fino al punto da prendere su di sé l’espiazione dei peccati altrui e si sono offerti per essere “membra di redenzione”. La strategia proposta da Gesù ci suggerisce di non lasciare il fratello isolato. Uno degli effetti del peccato è appunto quello di recidere la relazione con gli altri e con Dio. Allora proviamo a creare le condizioni perché il fratello senta la nostalgia e il desiderio della famiglia, della comunità e della relazione.

Solennità di San Marino – Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Fondatore della Città
Compatrono della Diocesi

Sir 14, 20 – 15, 4
Sal 47
At 2, 42-48
Mt 5, 13 – 16

Santa Messa
con la presenza dei Reggenti e delle autorità

Basilica del Santo, 3 settembre 2014

Saluto gli Eccellentissimi Capitani Reggenti, le autorità civili e militari; saluto i miei fratelli sacerdoti, i diaconi e le sorelle consacrate presenti o presenti spiritualmente; saluto tutti voi cari amici venuti in questa splendida basilica per onorare Santo Marino, fondatore della nostra città e repubblica, compatrono della diocesi insieme a San Leo.
La solennità di San Marino è anche un appuntamento festoso, una sosta salutare prima di riprendere il cammino dopo l’estate. Un’estate, questa, tremenda, per i fatti di cronaca nazionali e per gli eventi internazionali di cui non siamo semplicemente spettatori, ma, in qualche modo, coinvolti. Alludo soprattutto alla questione morale di casa nostra, agli sbarchi di migliaia di uomini in fuga da altrettanti inferni, alle guerre dimenticate ma ancora crudeli nella regione dei grandi laghi nel Congo, alle guerre vicine come quella nell’Ucraina, a quella interminabile nella terra di Gesù, e all’assurda avanzata dell’Isis che profana il nome di Dio, perseguita ed opprime minoranze cristiane presenti da duemila anni in quelle terre ed altre minoranze, altrettanto meritevoli di rispetto.
Quindici giorni fa, partendo dalle nostre parrocchie, siamo saliti all’Eremo di Carpegna per pregare la Madonna, la Madonna del Faggio, come là viene chiamata. Abbiamo messo nel suo cuore, insieme alle nostre personali urgenze, l’urgenza più grande: quella della pace.
Avevamo già aperta l’estate con una grande preghiera per e con i politici nel giorno di San Tommaso Moro per far sentire loro la nostra vicinanza e partecipazione, perché tutti mettessimo in cuore l’urgenza del bene comune come servizio e per favorire nei giovani la vocazione all’impegno politico.
La preghiera è un fiducioso antidoto all’impotenza di fronte alle sorti della intera società; è il primo servizio che possiamo rendere all’umanità, perché la preghiera è l’altra faccia della fede, abbandono nella custodia di Dio e poi esercizio di amore e di con-passione.
L’abitudine di molti – credenti e anche, più spesso di quanto si creda, non credenti – di chiedere agli uomini di Dio che li ricordino nelle loro preghiere dovrà forse essere rivalutata.
La preghiera è l’esatto contrario della rassegnazione; toglie la scena all’arroganza delle potenze del male.
Ogni volta che il silenzio e la musica della preghiera – possente e corale come oggi qui in Basilica, o struggente e intima come nelle case o nelle pievi che trapuntano il nostro territorio – si leva ad avvolgere la comunità degli uomini, i delusi e gli oppressi della terra drizzano le orecchie, perché la preghiera custodisce la speranza per tutti.
Gli uomini e le donne che hanno servito e servono Dio in spirito e verità non pregano soltanto per i buoni, ma per tutti noi peccatori.
E se non ci si è ancora spenta l’anima è perché i santi non ci hanno escluso dalla loro preghiera.
Affidiamo al Santo Marino questi nostri giorni, le nostre ansie e i nostri deficit di speranza. In Santo Marino riconosciamo le radici della nostra Repubblica, i suoi valori, il suo genio, così da duemila anni! Quando il pellegrino – dice un proverbio africano – beve al torrente, pensa alla sorgente. Una sorgente che ancora zampilla, altrimenti non saremmo qui. Questo nostro riunirci non è folklore; questa assemblea non è una ricostruzione di epoche lontane. Qui accade per noi l’incontro con una persona viva: Gesù Cristo, di cui Marino fu geniale discepolo e intraprendente testimone.
La prima lettura (dal Siracide) – che vediamo realizzata in Santo Marino – gronda di una serie di verbi che descrivono l’instancabile corteggiamento alla verità. Ne ho contati almeno quindici! Il sapiente si dedica, riflette, medita, penetra, insegue, si apposta, spia, ascolta, sosta, fissa la sua tenda, vi riposa, vi mette i suoi figli, vi soggiorna, si protegge, l’abita… Verbi che dicono la fatica del cammino, l’onestà della ricerca, la fedeltà nella perseveranza, la custodia della verità che il sapiente non abbandona più. Penso alle sfide che, oggi, siamo chiamati ad affrontare, all’aggiornamento di antiche consuetudini, ai valori da trasmettere intatti alle nuove generazioni. Nella festa di San Leo, l’altro nostro patrono, avevo sottolineato – quasi parafrasando un’affermazione di Dostoevskij – che “la bellezza della famiglia salverà il mondo”. Consideravo San Leo l’architetto evangelico (cfr. Mt 7, 24-25) che costruisce sulla roccia: “Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sulla roccia”. La famiglia è la solida roccia su cui è fondata la nostra società, la famiglia fondata sull’amore fra l’uomo e la donna e aperta alla vita.
Oggi chiediamo allo scalpellino di Arbe, Santo Marino, di custodirci nella sacralità della vita e di aiutarci ad assumere la sua intangibilità come criterio delle nostre scelte civiche riguardanti la vita umana dal momento del suo sbocciare al suo tramonto. (Alla sacralità della vita si rifanno anche tutte le altre scelte politiche che promuovono la dignità di ciascuno).
Il breve, ma intramontabile passo degli Atti degli Apostoli appena letto, ci tramanda un quadro ideale a cui ispirare la ricerca del bene comune. Ieri sera dicevo ai circa cinquecento giovani che si preparavano alla festa di oggi, che non solo è bello tutto questo, ma che è possibile. Aggiungevo poi che Gesù non dice: “sforzatevi di essere sale della terra, di essere luce del mondo”, ma “voi siete il sale, la luce…”. Guai se il cristiano perde la sua identità, la sua differenza specifica. Ma dico a chi ancora non ha incontrato il Signore Gesù: guai se per indulgenza o per rinuncia all’esercizio della ragionevolezza non trasmettiamo ai giovani punti fermi, evidenze e valori sicuri. Questa è per tutti la lezione, la profezia racchiusa nella nostra storia. San Marino, piccola repubblica e grande nella sua libertà e originalità.
Una luce, anche se piccola, si vede da lontano!

VEGLIA DEI GIOVANI – Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi –

Testimonianza di SIMONA ATZORI

Fondatore della Città
Compatrono della Diocesi

Sir 14, 20 – 15, 4
Sal 47
At 2, 42-48
Mt 5, 13 – 16

Santa Messa nella veglia
con la presenza dei giovani e dei loro educatori

Basilica del Santo, 2 settembre 2014

1. La Parola di Dio che abbiamo ascoltata sfida la vostra giovinezza. Sorpassa l’audacia tipica della vostra età. Indica mete fuori dalle righe.
Lasciamoci provocare dal quadretto – ideale, ma così sperimentato – che descrive l’originalità di vita dei primi cristiani: “Tutti quelli che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune”, e conclude: “frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore”. Una socialità basata su rapporti fraterni, su una libertà sorprendente dalle cose, su una disponibilità alla condivisione, su un comune centro ispiratore, anzi, una Persona realmente incontrata che tutti li unisce: Gesù, il Signore!
Che bella, che giovane, che attraente la vita dei primi cristiani.
Noi, questa sera, vogliamo testimoniare che non solo è bella, ma possibile. La si può vivere da subito, qui, adesso. Quando sei attento nell’ascolto del Vangelo e pronto al perdono, quando sei un entusiasta della vita e dei sogni più belli; quando sei disposto ad uscire da te stesso per stringere legami autentici e deciso a dare un taglio a ciò che non è puro, non è vero, non è giusto.
2. Il breve tratto di Vangelo poi è entusiasmante, propositivo. Gesù non dice: “Sforzatevi di essere sale; sforzatevi di essere luce”, ma “voi siete il sale; voi siete la luce”. Tanta è la considerazione che ha di voi. E’ una Parola pronunciata su di voi!
Non tiratevi indietro per falsa modestia: “Io? Come posso? Io che mi vedo così limitato, così mediocre?” Non avete un’idea della fortuna che vi è capitata di averlo incontrato… Anche i limiti possono rappresentare un punto di partenza.
Non tiratevi indietro per viltà: per paura della derisione, per quieto vivere, per evitare grane, per sfiducia in voi stessi.
Non tiratevi indietro per il pregiudizio secondo il quale il Vangelo, con la sua carica rivoluzionaria (di rinnovamento) e la testimonianza della sua tradizione sarebbe ormai sbiadito, poco più che acqua santa, santino ingiallito, nostalgia… Oggi sembra sia al tramonto un certo cristianesimo sociologico, ma questo tempo può essere davvero l’inizio del cristianesimo della grazia e della libertà. Chi può misurare le sorprese che lo Spirito prepara alla sua Chiesa?
Sale e luce voi siete. Sale e luce indispensabile per oggi e per la nostra società. Voi non siete soltanto una parte del futuro del mondo e della Chiesa, siete una parte necessaria del presente! Sale e luce reclamati, attesi. Ma ci vuole coraggio, intraprendenza, voglia di vivere. La vita è il dono più bello!
Durante l’estate sono stato – almeno per qualche ora – in molti campeggi e campi scuola. Di entusiasmo e di intraprendenza ne ho vista assai.
3. Santo Marino, figura lontana nel tempo, ma testimone e genio di cristianesimo vissuto, ha saputo realizzare un sociale cristiano, ancora smagliante. La liturgia lo vede come innamorato della sapienza e, più ancora, della ricerca della verità che insegue come fa il cacciatore: “insegue… si apposta sui suoi sentieri”. Il Siracide poi continua: “spia alle sue finestre e sta ad ascoltare alla sua porta”. E conclude: “Fa sosta vicino alla casa della sapienza… e alza la propria tenda presso di essa… e metterà i suoi figli sotto la sua protezione”. Sì, sotto quella tenda siete custoditi.
Ricordo, a questo proposito, quanto vi disse papa Benedetto nell’incontro con voi a Pennabilli nel giugno del 2011: “L’uomo non può vivere senza questa ricerca della verità su se stesso – che cosa sono io, per che cosa devo vivere – verità che spinga ad aprire l’orizzonte e ad andare al di là di ciò che è materiale, non per fuggire dalla realtà, ma per viverla in modo ancora più vero, più ricco di senso e di speranza, e non solo nella superficialità. E penso che questa sia anche la vostra esperienza (…). I grandi interrogativi che portiamo dentro di noi rimangono sempre, rinascono sempre: chi siamo?, da dove veniamo?, per chi viviamo? E queste questioni sono il segno più alto della trascendenza dell’essere umano e della capacità che abbiamo di non fermarci alla superficie delle cose”.
Papa Francesco la settimana scorsa alla Giornata della Gioventù Asiatica ha detto ai giovani: “Voi vedete e amate dal di dentro tutto ciò che è bello, nobile, vero…Al tempo stesso come cristiani sapete anche che il Vangelo ha la forza di purificare, elevare e perfezionare questo patrimonio” (da Omelia del Santo Padre Francesco, Santa Messa conclusiva della VI Giornata della gioventù asiatica, Castello di Haemi, 17 agosto 2014).
La vostra giovinezza sia un dono a Gesù e al mondo!

Omelia XXII Domenica del Tempo Ordinario – Festa di San Gaspare del Bufalo

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Soanne, 31 agosto 2014
Festa di San Gaspare del Bufalo

 

Pietro, la roccia, torna ad essere un terreno scivoloso, ripiomba in logiche umane, lui che ha udito il sussurro celeste del Padre. A Gesù che è coraggiosamente deciso al supremo dono di sé -“devo andare a Gerusalemme e soffrire molto…e venire ucciso e risorgere il terzo giorno”- Pietro suggerisce invece un orizzonte piccolo piccolo, borbottando parole di cortesia: “No, Signore; questo non ti accadrà mai !”.

Pietro ci assomiglia tanto. Anche noi ci entusiasmiamo dopo una bella esperienza; un successo ci trasfigura. Ci contagiano gli esempi e le virtù dei grandi. Ma sono guai quando scocca, anche per noi, l’ora di una decisione importante e definitiva, quando si fa urgente un taglio sulla carne dei sentimenti o quando è necessario cambiare marcia perché la strada è tutta in salita. Nel momento della prova, gioverebbe ricordare un celebre passo della “Imitazione di Cristo”; dice Gesù che molti amano il suo Regno celeste, ma pochi portano la sua croce. Molti desiderano la consolazione, ma pochi desiderano la desolazione. Trova molti compagni alla mensa, ma pochi nell’astinenza. Tutti desiderano godere con Lui, pochi vogliono soffrire qualcosa per Lui e con Lui” (Imitazione di Cristo, II, 11).

Dunque, nel momento della svolta e del salto di qualità, ci vuole coraggio. Un giovane chiese a Gesù: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. Gesù gli chiese di andare oltre i tre verbi che aveva usato: che cosa devo, fare, per avere… e gli indicò l’unica cosa necessaria da cui viene tutto il resto: “Segui me” (cfr. Mt 19,16-22). Gesù non propone alcun volontarismo né alcuno sforzo titanico; chiede solo di fissare lo sguardo su di Lui. Lungo la salita Gesù ripete: guarda me, non sei solo. Non tirati indietro. Fai come ho fatto io. Si salva la vita amando. Amare comporta sempre dimenticanza e dono di sé. Fai come me, insiste Gesù, prendi su di te una vita che sia il riassunto della mia. Noi non siamo capaci di amare quanto Gesù, ma come Lui, sì. Non attardiamoci su inconcludenti se e ma. “Non voltarti – dice Gesù – guarda me. Non fissare lo sguardo nel vuoto che senti attorno, sono con te e traccio il cammino”.

Gesù ci conosce. Sa di che pasta siamo, ci svela la nostra più profonda identità: siamo fatti per essere dono, relazione, futuro. Rinnegare se stessi: sono parole pericolose se capite male. Rinnegarsi non significa annullarsi, diventare insapore e incolore. Gesù non vuole dei frustrati al suo seguito, ma gente che ha fruttificato appieno i suoi talenti (Ermes Ronchi).

Guardami – ripete ancora Gesù – ti dico il segreto della tua piena realizzazione; diversamente, a che giova guadagnare il mondo intero se perdi te stesso?
Chi spende la vita ad accumulare cose, alla fine si ritrova solo con un pugno di mosche. Guardarlo, dunque, non solo per imitarlo, guardarlo, non solo per camminare dietro di Lui. Guardarlo per essere come Lui: dono.

Omelia XXII Domenica del Tempo ordinario – Cresime a Pennabilli

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Sante Cresime
Cattedrale di Pennabilli, 31 agosto 2014
 

Siete qui non per ricevere una benedizione ma un sacramento! Sacramento è un’azione compiuta da Gesù risorto, presente in mezzo a noi, Sua chiesa.
É il giorno della vostra Cresima.
Ministro della Cresima è il successore degli Apostoli, il Vescovo. Una catena ininterrotta unisce il vescovo Andrea agli Apostoli e con gli Apostoli a Gesù stesso. L’azione di Gesù compiuta su di voi attraverso il Vescovo consiste nella imposizione delle mani sul vostro capo (un gesto che risale ai primi tempi) e nell’unzione delle vostre fronti con il Sacro Crisma, l’olio profumato.
Imposizione delle mani e olio profumato sono il segno visibile, ma per le parole che vengono pronunciate dal Vescovo, quel segno è efficace, fa quello che significa: lo Spirito Santo, terza divina Persona, Spirito di Gesù risorto e del Padre, Amore che li unisce, scende e profuma tutta la vostra persona.
Lo Spirito Santo è come il bacio che Gesù vi stampa sul cuore. Un bacio indelebile: non si cancella più!
Ogni giorno il vero cristiano pensa a questo dono che ha ricevuto, è un punto ricorrente nella sua preghiera; e non solo pensa al dono, ma crede alla forza che gli conferisce (lo Spirito Santo è divenuto suo compagno di viaggio, sua luce, suo Avvocato difensore); il vero cristiano allora è capace di fare come fa Gesù, perché lo Spirito Santo lo fa diventare un altro Gesù.
Voi ricevete il Sacramento della Cresima in un passaggio straordinario della vostra vita. La Cresima suggella il tempo della iniziazione cristiana: col Battesimo, l’Eucaristia e la Cresima siete pienamente e definitivamente cristiani, membri a pieno titolo della Chiesa. Siete arrivati! Forse vi è costata fatica la frequenza al catechismo, forse vi hanno pesato i tanti insegnamenti, gli impegni, gli appuntamenti…
Da oggi parte un nuovo inizio; giovani anagraficamente, ma adulti nella fede. Vi attendono altri impegni, vere prove di maturità, vere e proprie responsabilità. Finora eravate come aquiloni saldamente attaccati al filo, d’ora in poi siete come scialuppe che affrontano il mare aperto.
State per iniziare le scuole superiori: batticuori, nuovi ambienti, nuovi compagni, nuovi maestri, nuove sfide… Si allarga l’orizzonte della conoscenza, prenderete in considerazione nuove domande, si affacceranno dubbi.
Inizia il momento dell’adolescenza: ragazzi e signorine che passano in fretta da una emozione all’altra, che devono imparare a gestire il proprio corpo e gli stati d’animo. Fate esperienza della vostra libertà: all’inizio penserete che sia emancipazione, “libertà da”, poi scoprirete che è più bella una “libertà per”.
La parrocchia non sprofonda nel nulla…vi attende una forma nuova di fare gruppo, attraente e adeguata alla vostra età.
Lo Spirito Santo è con voi. Vostra forza. Vostro consigliere. Sapore che dà gusto alle vostre giornate.

DOMENICA XXI del T.O. – 24 Agosto 2014

Parrocchia di S.Agata Feltria – Saluto alle Suore di Santa Dorotea – Omelia

“Se non ardi, non accendi”: così amava ripetere il beato Luca Passi alle sue suore. E qui a S.Agata – care sorelle- di fuochi ne avete accesi tanti. Avete riscaldato cuori, avete illuminato intelligenze, avete consumato energie. Sarebbe suggestivo sviluppare la metafora della combustione per descrivere la vostra vita, una vita consacrata all’amore. Sublime vocazione!
Pensiamo con indicibile gratitudine alle suore succedutesi in questa mirabile staffetta dal 1861 quando il fondatore il beato Luca Passi, acquistò qui a S.Agata la casa che ora stiamo per chiudere.
Alla madre provinciale va il ringraziamento della Parrocchia e della Diocesi.
Grazie a Suor Renata, Suor Anna, Suor Ernesta, Suor Blandina a cui viene chiesto di soffrire più acutamente per il distacco; ma state certe: la fiamma che avete alimentato con il vostro servizio nel campo della catechesi e dell’apostolato famigliare, nel servizio alla comunità parrocchiale, nell’accoglienza ai gruppi, specialmente quelli organizzati dalla pastorale giovanile, non si spegnerà. Questa fiamma sarà alimentata in primis dalla vostra preghiera e dall’offerta quotidiana di voi stesse: noi vi apparteniamo, come voi appartenete per sempre a noi. Questa fiamma sarà alimentata dall’impegno solenne che prendiamo davanti al Signore e a voi di ripresa nella vita cristiana, di dedizione ancor più generosa all’educazione della gioventù, di partecipazione alla vita della nostra e vostra parrocchia. Lo faremo anche attraverso l’Opera di Santa Dorotea presente qui a S. Agata che coltiva il carisma del vostro fondatore. Ci proponiamo poi di metterci in ascolto (è un invito speciale rivolto alle ragazze e ai ragazzi) insieme ai giovani per non lasciar cadere l’invito accorato di Gesù: “Sono venuto a portare fuoco sulla terra, come vorrei che fosse già acceso” (cfr Lc 12,49).
Oggi il Vangelo ci interpella in modo particolare. Gesù rilancia un sondaggio d’opinione: “La gente chi dice chi sia il Figlio dell’Uomo?” e poi più sotto, incalzando: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Non valgono le risposte imparaticce ,non valgono neppure le definizioni che, fortunatamente, ci hanno dato catechisti, genitori, nonni. Dunque: Gesù liberatore? Salvatore? Amico? O Dio? Cosa significa chiamare Gesù “Dio”? Con questo attributo vogliamo dire che Lui è il Signore della nostra vita, che siamo suoi e gli apparteniamo. Per questo abbiamo pregato che ci conceda “di amare ciò che comanda, e desiderare ciò che promette” e “che i nostri cuori siano fissi in Lui, dove è la vera gioia”.
Ma la domanda si fa ancor più intrigante: “Ma per te, chi sono io?”. Allora tocchiamo con mano come la fede è cosa personale. Nessuno può rispondere al posto nostro. E’ necessario affrontare la questione passando da una fede ricevuta a una fede personalizzata. Esige una risposta d’amore, non solo dottrinale. Ci sono momenti della vita in cui questa risposta è provocata dalla difficoltà o dai passaggi ripidi che ci impone; allora la risposta si fa diretta: “Tu sei il mio Dio, il mio tutto”.
La risposta di Pietro: “Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente” fu come un sasso lanciato in mezzo di un laghetto tranquillo, da Abramo a Giovanni Battista si attendeva la realizzazione di una promessa; tutti aspettavano: chi sarà? Dov’è colui che porterà salvezza? Ebbene, a Cesarea di Filippo ha posto un atto fondatore riconoscendo in Gesù il Signore. Da quel momento si dispiega il grande mistero della Chiesa: l’onda creata dal sasso in successivi cerchi lambisce le rive dell’umanità. Così la Chiesa annuncia a tutti che Gesù è il compimento di ogni attesa.
La fede di ciascuno di noi è personale ed è ecclesiale: “io credo, noi crediamo”!

 vescovo Andrea