Veglia diocesana per la Giornata Internazionale della Donna

Quest’anno la Veglia diocesana per la Festa Internazionale della Donna, in un contesto internazionale sempre più segnato dai conflitti della “terza guerra mondiale a pezzi”, vuole focalizzare l’attenzione sulla pace e sull’apporto originale delle donne alla sua costruzione.

Il desiderio di sostenere le donne nel loro impegno per la pace trova eco nelle parole di Papa Francesco nell’omelia dell’ultima Giornata mondiale della Pace: «Il mondo ha bisogno di guardare alle madri e alle donne per trovare la pace, per uscire dalle spirali della violenza e dell’odio, e tornare ad avere sguardi umani e cuori che vedono».

La Veglia diocesana, presieduta dal Vescovo Andrea, che si svolgerà giovedì 7 marzo alle ore 21 presso la chiesa parrocchiale di Borgo Maggiore, si propone di integrare preghiera e riflessione, quest’ultima soprattutto attraverso alcune testimonianze significative di donne che hanno a cuore la pace e contribuiscono alla sua realizzazione negli ambienti in cui vivono, lavorano e si impegnano.

Ufficio diocesano di Pastorale Sociale

Scarica la lettera-invito del Vescovo Andrea

Omelia nella II domenica di Quaresima

Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 25 febbraio 2024

Gen 22,1-2.9.10-13.15-18
Sal 115
Rm 8,31-34
Mc 9,2-10

La Trasfigurazione si è impressa fortemente nel ricordo dei primi discepoli di Gesù. Viene raccontata, a varie riprese, dai Sinottici, nella Prima Lettera di Pietro e anche dall’evangelista Giovanni, sia pure senza la spettacolarità della teofania (in Gv 12,24-28 Gesù parlerà del chicco di grano caduto per terra e si sentirà la voce del Padre che lo glorifica). La narrazione secondo l’evangelista Marco si può leggere da due prospettive: la prospettiva del catecumeno che si prepara a ricevere il Battesimo (è anche la nostra prospettiva, nel cammino verso la Pasqua) e la prospettiva dell’uomo-Gesù (collegata alla sua vicenda pasquale).

Secondo la prospettiva del catecumeno, questo brano è fondamentale per i discepoli incamminati verso il Battesimo come per il nostro cammino verso la Pasqua. Abbiamo appena iniziato la Quaresima e potremmo sentire già la fatica della seconda tappa: ce la faremo ad arrivare fino in fondo?
Ricordo un’esperienza di montagna; eravamo in cammino verso il “Cimon de la Pala” (Pale di San Martino). Dopo un tratto di sentiero abbiamo abbandonato prima il bosco, poi il prato e siamo arrivati alle roccette, quando è scesa una fitta nebbia che ha avvolto completamente la vetta. Qualcuno ha pensato di fermarsi, avvertendo la stanchezza e valutando l’incertezza atmosferica. Improvvisamente si è aperto uno squarcio nelle nubi ed è apparsa la cima della montagna: quella visione ha infuso coraggio e ci siamo rimessi in cammino…
Questa pagina è molto utile per noi, per riprendere il cammino, sapendo che davanti abbiamo la prospettiva della risurrezione di Gesù e il passaggio verso la vita nuova.

È importante anche considerare questo episodio dal punto di vista di Gesù. Gesù ha appena annunciato ciò che gli sta per accadere: è il primo annuncio della Passione (Mc 8,31). Comprendiamo il suo stato d’animo. È di fronte ad un interrogativo. Lo rendiamo con parole nostre: «Sono nella prospettiva giusta? Sto facendo il Messia come vuole il Padre? Così vado verso la morte… Non sarà il caso che mi limiti a fare semplicemente qualche miracolo, a raccontare massime edificanti e buone prassi?». L’ostilità dei contemporanei sta diventando totale: a parte la piccola squadra che lo segue, tutti gli altri gli sono contro. Gesù è, per così dire, ad un tornante della sua vita. E cosa fa? Sale sul monte. Vuole vivere un momento forte di intimità col Padre; noi diremo un momento di discernimento o di verifica vocazionale. Lo fa, da pio israelita, con le Sacre Scritture. Quando l’evangelista scrive che Gesù è insieme a Mosè ed Elia, adopera, in fondo, una formula tecnica, le Sacre Scritture si chiamavano così: Mosè (a cui era attribuito il Pentateuco), Elia (scritti profetici e altri scritti). Del resto, quando Gesù si affianca ai due discepoli di Emmaus parla di quello che «si riferisce a lui in Mosè, nei profeti e nei Salmi» (cfr. Lc 24,27).
Gesù entra nella dimensione della preghiera, dell’intimità col Padre e vuole associare a sé tre discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. È sul punto di donare la sua vita, è il momento in cui inizia la sua autodonazione. Attorno a lui c’è appena questo piccolo grappolo di discepoli. Mi viene da pensare alle nostre Eucaristie. Talvolta, sull’altare, Gesù sta per dare sacramentalmente la sua vita e lo fa alla presenza di sei o sette persone; ma se anche fossero cento, che cosa sarebbero in confronto alla sua autodonazione per l’umanità intera? “I tre” sono stupefatti, atterriti. L’evangelista racconta il loro spavento di fronte a questa intimità che Gesù vive con il Padre, accompagnata da una luce potentissima: «Le vesti di Gesù diventano splendenti, bianchissime: nessun lavandaio avrebbe potuto farle così bianche». È un momento di Trasfigurazione. Pietro dice: «Signore, facciamo tre tende: una per te, una per Mosè, una per Elia. È bello per noi stare qui». La frase di Pietro è certamente generosa, bella, anche noi diciamo così a volte: «Com’è bello, Signore, stare con te». Tuttavia, la proposta sottende due equivoci. Il primo: Pietro vuole costruire una tenda, non sta davanti a Gesù che si autodona. Scatta subito in lui l’homo faber, che deve progettare, costruire, fare… Per fare una tenda servono un telo o una quantità notevole di frasche, da cercare; occorrono i picchetti, il palo principale che regge la tenda… Pietro non resta più davanti a Gesù. Questo capita tante volte anche nella nostra preghiera. A me succede, mentre sono in meditazione o in adorazione, di fermarmi per annotare qualche appunto in vista di un’omelia o di un incontro con i giovani; allora vado a cercare una matita, un quaderno… Dobbiamo imparare a stare, stare accanto a Gesù.
Il secondo equivoco è quello di voler rinchiudere Gesù sotto una tenda o in una nicchia per custodirlo. Nell’inconscio è come se si volesse incasellarlo. Ma Gesù non ci sta!
Il Padre fa udire la sua voce: «Non occorre costruire una tenda: io ti avvolgo con la nube…». La nube è segno di tenerezza, di un abbraccio.
La nube richiama la nube dell’esodo, un riferimento assolutamente pertinente per noi che siamo in cammino verso la Pasqua. Quella nube risplende nella notte, ripara dal sole che dardeggia nel deserto e accompagna nel cammino: segno della presenza di Dio con il suo popolo. Da quella nube viene una voce: «Ascoltate il Figlio mio…».
Sottolineo un altro particolare: la capanna o la tenda in ebraico si dice “succot”. La Festa delle capanne o delle tende era una festa nel calendario delle celebrazioni ebraiche. Si celebravano in primavera e si ricordavano con la costruzione di tende o di capanne i quarant’anni che il popolo aveva trascorso durante l’esodo (è un po’ come a Natale noi costruiamo la capanna di Gesù Bambino, la capanna dei pastori, ecc.). Anche gli ebrei costruivano le capanne, per celebrare il ricordo dei quarant’anni nel deserto, quando abitavano nelle tende, e soprattutto la fedeltà di Dio che ha accompagnato il suo popolo. Da notare che, al tempo di Gesù, la festa delle “succot” acquisiva un nuovo significato: si annunciava che il Signore stava preparando la grande tenda, sotto la quale erano convocate tutte le genti. Era un riferimento alla risurrezione, alla vita per sempre, al paradiso, diremmo noi.
Pietro, Giacomo e Giovanni scendono dal monte con “Gesù solo”. È lui l’essenziale. Tutto il resto è conseguenza o contorno. Vale per noi: siamo solo all’inizio della Quaresima, perseveriamo in questa tensione, stiamo seduti ai piedi del Signore, come fa Maria, non cadiamo, come dice papa Francesco, nel “martalismo”, cioè nell’attivismo di Marta. Il tempo della Quaresima è stare con “Gesù solo”. Buon cammino.

Stemma episcopale del Vescovo eletto Domenico

Secondo la tradizione araldica ecclesiastica, lo stemma di un Vescovo è tradizionalmente composto da:

  • uno scudo, che può avere varie forme (sempre riconducibile a fattezze di scudo araldico) e contiene dei simbolismi tratti da idealità personali, da particolari devozioni o da tradizioni familiari, oppure da riferimenti al proprio nome, all’ambiente di vita, o ad altro;
  • una croce astile in oro, posta in palo, ovvero verticalmente dietro lo scudo;
  • un cappello prelatizio (galero), con cordoni a dodici fiocchi, pendenti, sei per ciascun lato (ordinati, dall’alto in basso, in 1.2.3), il tutto di colore verde;
  • un cartiglio inferiore recante il motto scritto abitualmente in nero.

Nello stemma del Vescovo Domenico si è scelto uno scudo di foggia gotica frequentemente usato nell’araldica ecclesiastica e una croce “trifogliata” in oro, con cinque gemme rosse a simboleggiare le Cinque Piaghe di Cristo.

Descrizione araldica (blasonatura) dello scudo

“Interzato in pergola rovesciata. Nel 1°d’argento al leone rampante di rosso, reggente nella branca destra tre gocce d’oro male ordinate; nel 2° d’azzurro alla stella (7) d’argento; nel 3° di rosso alla conchiglia di San Giacomo d’oro”

Il motto:

TIMOR NON EST IN CARITATE
(1 Gv 4,18)

Per il proprio motto episcopale, Mons. Beneventi si è ispirato alla Prima Lettera di Giovanni laddove recita: «Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore …» («Timor non est in caritate sed perfecta caritas foras mittit timorem…»).

Interpretazione

Lo stemma del Vescovo è “agalmonico” (o “parlante”) in quanto reca al proprio interno un simbolo che richiama il nome: infatti, il nome Domenico significa “del Signore, dedicato al Signore, consacrato al Signore” e la consacrazione, nella vita di un cristiano avviene attraverso l’unzione del Crisma ed ecco perché il leone, simbolo di Cristo Re, che, in Ap 5,5, indica il Messia, «il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide che aprirà il libro e i suoi sette sigilli», regge le tre gocce del Crisma che hanno caratterizzato i tre momenti salienti della vita del Vescovo: il Battesimo, l’Ordinazione presbiterale e, infine, quella episcopale.

La stella a sette punte simboleggia Maria, la Nostra Madre Celeste, qui identificata come la Madonna dell’Olmo e Stella del Mattino, venerata nel suo paese natìo, da cui il Vescovo si lascia guidare, secondo la preghiera di San Bernardo di Chiaravalle: «Seguendo lei non puoi smarrirti, pregando lei non puoi disperare. Se lei ti sorregge non cadi, se lei ti protegge non cedi alla paura, se lei ti è propizia raggiungi la mèta».

Mons. Beneventi è un pellegrino di Santiago, da cui il simbolo della conchiglia del pellegrino che vuole anche richiamare il ruolo principale della Chiesa pellegrina sulla terra, in perenne cammino di conversione, sui passi degli ultimi (Cfr. Don Tonino Bello), discepola del suo Maestro e Signore.

I colori dello stemma sono l’argento che simboleggia la trasparenza, quindi la verità e la giustizia, doti che dovranno costituire fondamento dello zelo pastorale del Vescovo; l’azzurro, colore simbolo dell’incorruttibilità del cielo, delle idealità che salgono verso l’alto; rappresenta il distacco dai valori terreni e l’ascesa dell’anima verso Dio e il rosso, colore simbolo della carità, dell’amore e del sangue, dell’amore infinito del Padre che invia il Figlio a versare il proprio sangue per la nostra redenzione, «sacrificando se stesso, immacolata vittima di pace sull’altare della Croce» (Cfr. Prefazio della Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo).

 

 

 

Lettera del Vescovo Andrea per la Quaresima e per l’ingresso del nuovo Vescovo Domenico

A tutti i fedeli della Diocesi
di San Marino-Montefeltro

Carissimi,
prima di tutto, l’augurio per una Quaresima intensa e ricca di frutti. Siamo in cammino verso la Veglia pasquale per rinnovare le promesse del nostro battesimo. L’abbiamo ripetuto più volte: succede di «ritrovarsi cristiani senza mai aver deciso di esserlo». La Veglia fra il 30 e il 31 marzo potrebbe essere la volta buona: rinnovare la nostra totale adesione al Signore.
Il tempo della Quaresima ha molte analogie con l’antico Ordo Poenitentium. Viene soprattutto in rilievo la dimensione ecclesiale dell’itinerario, dove si cammina insieme come popolo, c’è abbondanza di Parola di Dio, si prega gli uni per gli altri, si gode dell’intercessione della Vergine Maria e dei Santi e ci si sostiene con l’esempio e l’amicizia spirituale. Esperienza di Corpo mistico.

Vi ricordo qualcuno degli appuntamenti quaresimali che ci siamo dati come Diocesi, senza nulla togliere alla creatività della vita parrocchiale e dei nostri gruppi. Esorto a partecipare per sentire la comune appartenenza e per essere quella “gente di Pasqua” che porta un annuncio di speranza nella nostra città, nei nostri borghi e nelle nostre contrade.

Venerdì 23 febbraio alle ore 20:45 si terrà la Veglia eucaristica dei giovani nella chiesa di San Francesco (San Marino Città RSM). I giovani inaugureranno la mostra sulle opere dedicate all’Eucaristia nel nostro territorio: arte e fede.

Giovedì 7 marzo, vigilia della Giornata internazionale della Donna, l’appuntamento è per una Veglia per la pace: “Pace e donne: quale contributo?”. Non è solo uno slogan, ma un dare voce alle donne come messaggere e operatrici di pace (ore 21 presso la chiesa parrocchiale di Borgo Maggiore RSM). L’invito è rivolto a tutti.

Venerdì 15 marzo ore 20:45 Marcia missionaria da Monte Cerignone (PU) al Santuario del Beato Domenico per allargare il nostro sguardo alle Chiese sorelle e all’internazionalità del Vangelo. Quest’anno l’attenzione è rivolta alla Diocesi di Bondo (Repubblica Democratica del Congo) che ha seminaristi, ma non ha seminario. A quest’opera destiniamo il frutto della nostra carità quaresimale.

Vi comunico quanto più mi sta a cuore: l’accoglienza del nuovo pastore che il Signore ci invia: mons. Domenico Beneventi. Gli ho manifestato più volte, in questi giorni, la nostra gioiosa attesa, il nostro desiderio di conoscerlo e, fin d’ora, la nostra piena comunione. Dopo la Pasqua organizzeremo i preparativi con la partecipazione di tutti.

La domenica 7 aprile celebreremo l’assemblea diocesana, ultima tappa del Cammino Sinodale imperniato attorno ai verbi eucaristici: «Gesù spezzò il pane e lo diede…». Ci prepareremo secondo le indicazioni che ci verranno date a breve. Il pomeriggio si concluderà con l’Eucaristia che celebrerò per dire il mio grazie per questi dieci anni di ministero episcopale.
Le date da segnare con attenzione e che costituiscono lo scopo principale di questa lettera sono le seguenti:

Sabato 20 aprile ore 10, nella Cattedrale di Acerenza (PZ), Ordinazione episcopale del Vescovo eletto Domenico. Verrà organizzato il viaggio in pullman per chi desidera partecipare.

Sabato 18 maggio ore 16 ingresso del nuovo Vescovo di San Marino-Montefeltro nella Cattedrale di Pennabilli.

La grazia della successione apostolica è un dono incalcolabile per la nostra Diocesi, ma anche una grande responsabilità.
In comunione

Vescovo Andrea

Omelia nella Solennità delle Ceneri

Pennabilli (RN), Cattedrale, 14 febbraio 2024

Gl 2,12-18
Sal 50
2Cor 5,20-6,2
Mt 6,1-6.16-18

La Quaresima si apre con un gesto semplice e austero, ma assolutamente eloquente. Dice più di molti discorsi: è l’imposizione delle ceneri sul nostro capo davanti a tutti. Un po’ di cenere per ricordare chi siamo. Un invito alla verità su noi stessi: siamo polvere e cenere. Un’esortazione al pentimento per i nostri peccati. Una ripresa del cammino verso il Signore. Due parole, a scelta del sacerdote, accompagnano l’imposizione delle ceneri: «Ricordati, uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai» (cfr. Gn 3,19), «Convertiti e credi al Vangelo» (cfr. Mc 1,15). Con la prima parola ci viene ricordata la nostra condizione, fragile e precaria; con la seconda viene riproposto l’essenziale: credere al Vangelo di Gesù.
È esperienza comune, prima o poi, quella di essere sopraffatti dalla constatazione del nostro limite: venir meno della salute, crisi delle nostre relazioni, distacchi, fallimenti. Non ci si pensa di solito. Il lavoro e gli impegni, il tempo travolgente, il frastuono attorno a noi, ci tiranneggiano. In questo senso la Quaresima è un tempo di libertà per riprendere in mano le redini della nostra persona, con sano realismo.
L’altra parola invita a ricentrarci su Gesù, è Lui il Vangelo: «Credete a questo Vangelo» – dice Gesù – che è Lui.
Tante religioni conoscono riti e tempi di austerità, di purificazione, di penitenza. Ad esempio, c’è qualche somiglianza tra il Ramadan, che viene praticato dai nostri amici musulmani, e la nostra Quaresima, ma è una somiglianza esterna: il digiuno, l’astinenza, la solidarietà, ecc. Ramadan e Quaresima sono due esperienze profondamente diverse. Per noi cristiani fare Quaresima comporta penitenze, elemosine, preghiere, ma sono tutte realtà nell’ordine dei mezzi, il fine è altro: rimettere Gesù al centro, fare la scelta di Dio. Siamo peccatori, è vero; il peccato – come dice la Genesi – sta accovacciato alla porta del nostro cuore (cfr. Gn 4,7). Come combattere il peccato? Come contrastarlo? Come vincerlo? A volte pensiamo di cavarcela con un po’ più di impegno, con la forza della volontà, col dominio di noi stessi, con una maggiore attenzione ai nostri atti, salvo poi cadere nei medesimi difetti, restare impigliati nei nostri vizi, constatare la nostra inconsistenza. Per questo c’è chi si affligge, si abbatte, è deluso. Mi viene in mente l’immagine dei ragazzi che vanno in giostra, quelle giostre con i seggiolini che volano in alto, in cerchio. Man mano che il seggiolino viene lanciato, si può arrivare a cogliere un peluche che si trova più in alto. Chi è bravo a sbilanciarsi fuori può arrivare a prenderlo e se lo porta a casa. Si tratta di sapersi allungare e cogliere l’attimo. Per tantissimi la delusione, perché non riescono a prenderlo. Qualcuno, allora, smette di puntare così in alto: «Non fa per me», pensa. Fuori di metafora: lasciamolo fare ai santi, a quelli che sono straordinari… Una metafora per la nostra vita interiore, ma anche per dire che l’opposto del peccato non è tanto la virtù, che pur ci vuole insieme all’impegno e all’attenzione, ma la fede: credere al Signore Gesù, affidarsi alla sua grazia. La conversione è possibile perché è un dono, un dono da chiedere e da ricevere attraverso i sacramenti: «Tutto ciò che fu visibile del nostro Redentore è passato nei segni sacramentali» (San Leone Magno), per questo l’accostarci ai sacramenti ci dà la forza, la capacità di crescere. I sacramenti arrivano dove le nostre risorse si inceppano. Si potrebbe pensare: «Se l’opposto del peccato è la fede, basta che io creda…». No. Non dobbiamo essere passivi, considerando la santità come una grazia che piove dal Cielo, come una magia; al contrario l’impegno penitenziale è teso ad esprimere la nostra fede. Signore, sei così importante nella mia vita che pongo dei segni che lo esprimano, che proclamano che veramente tu sei più importante, più importante del cibo, più importante della carriera, più importante di tutto. Davanti a tutto c’è il nostro desiderio di incontrare Gesù: lui e la potenza della sua risurrezione (cfr. Fil 3,10).
Infine, Quaresima è un cammino ecclesiale, che si fa tutti insieme e in un tempo preciso: non ci si mette a fare Quaresima in agosto… La Quaresima comincia oggi e finisce con la Veglia pasquale (culmine del Triduo pasquale). È un cammino da fare insieme, una cordata, dove a turno tutti facciamo la locomotiva e tutti, a volte, siamo anche vagone. In cima a questa cordata vedo la Vergine Maria e i Santi, che ci incoraggiano e fanno piovere grazie su di noi con la loro grande carità. Poi ci sono i cristiani, i cristiani di Pennabilli, i cristiani che sono a San Marino, i cristiani che sono in Belgio, i cristiani che sono negli Stati Uniti, i cristiani che sono ad Acerenza (la Diocesi del nostro futuro Vescovo), ecc. Siamo un corpo che cammina insieme!
Com’è bello stasera, insieme a chi non ha potuto venire, fare l’ingresso in penitenza. Terremo vivo l’impegno delle cinque domeniche che ci preparano alla Settimana Santa. Ogni domenica ci consegna un messaggio che arricchisce la nostra vita cristiana. In tutta la Chiesa ci sono le stesse letture, lo stesso pasto della Parola di Dio.
Lungo la Quaresima avremo delle “tappe di luce”. Penso ai nostri giovani che si raduneranno venerdì prossimo per la Veglia di adorazione nella chiesa di San Francesco in San Marino. Poi vorremmo entrare nella Giornata internazionale della donna con un pensiero e un grido di pace; la Commissione di pastorale sociale ha studiato l’argomento e propone: «Pace e donna: quale contributo?». La Commissione dà la parola alle donne, portatrici della vita, che gridano e sostengono la speranza. A Pennabilli vivremo il Venerdì Bello e a Monte Cerignone la Marcia missionaria di solidarietà: la nostra Chiesa sente la sua fraternità con le Chiese più povere; in particolare, quest’anno, si è deciso di aiutare, con le nostre penitenze e i nostri sacrifici, la Diocesi di Bondo, che vorrebbe costruire un Seminario per i suoi seminaristi. Ogni parrocchia, poi, organizza catechesi, preghiere, Vie Crucis. Infine, la notte fra il 30 e il 31 marzo, la Veglia pasquale, il punto d’arrivo. È il momento in cui i cristiani rinnovano il Battesimo e decidono di essere cristiani. Tutta la Quaresima non è altro che preparazione alla Veglia pasquale. Stiamo facendo molta fatica, dopo più di cinquant’anni, a far passare l’importanza della Veglia, la notte più bella dell’anno liturgico, di cui la Chiesa vive. Noi ci saremo!

Omelia nella VI domenica del Tempo Ordinario

San Marino Città (RSM), 11 febbraio 2024

XXXII Giornata Mondiale del Malato

Lv 13,1-2.45-46
Sal 31
1Cor 10,31-11,1
Mc 1,40-45

Questa pagina di Vangelo è una pagina pasquale. Si potrebbe dire che tutto il Vangelo è pasquale, però questo brano è speciale, perché è speciale la malattia di cui Gesù si prende cura. Un lebbroso è uno che ha la morte nel corpo. Nell’antichità la lebbra era l’emblema della maledizione (cfr. Lev 13,1-2). Oltre la malattia, il lebbroso si porta dietro uno stigma: «Sei un maledetto!». Le persone vedono nella decomposizione del corpo quello che succede nell’anima: il peccato fa nel cuore ciò che la lebbra fa nel corpo. Qualcuno pensa che quello che gli succede sia il risultato del suo peccato. Il lebbroso sente la reazione dell’altro, una reazione di fastidio, di rigetto, di disagio forte. Il lebbroso è un fallimento fatto persona: questa la mentalità dell’epoca. Oggi, invece, la lebbra si cura. Un santo, padre Damiano De Veuster, missionario nelle isole Hawaii, accettò di abitare in una piccola isola in cui erano relegati i lebbrosi. Visse con loro per dieci anni, ridimensionando l’opinione che fosse una malattia così tanto contagiosa, ma soprattutto permise di avviare sperimentazioni e cure. Il lebbroso, al tempo di Gesù, è un uomo isolato, la quint’essenza della non relazione: non può vivere relazioni, perché ogni relazione deve passare sotto un giudizio severo, negativo, da parte degli altri. «Tu emani cattivo odore», gli dicono. Questa frase venne rivolta a Gesù quando volle salire al sepolcro dell’amico Lazzaro: «Non andare, Signore, già manda cattivo odore» (cfr. Gv 11,39). Il lebbroso già emanava un odore sgradevole, ma più sgradevole è avere davanti agli occhi ciò che ci è più ripugnante: fare questa fine. Il lebbroso mette davanti la morte, perché è un morto che cammina. Così la cultura antica.

Perché questa pagina di Vangelo è una lettura pasquale? L’evangelista Marco propone l’episodio come una guarigione emblematica. Il corpo, dentro la tomba, finisce proprio così, come il corpo di un lebbroso. Marco è di un realismo e di una crudezza assolute, perché mostra che la fede cristiana non è l’insegnamento di una regola del buon vivere, ma qualcosa di ben più grande. Il Vangelo dice che la tua vita non può finire così. Il Vangelo, di fronte alla tragedia mortale del lebbroso, dice “no”: il tuo corpo risorgerà. Non diciamo, come i sapienti di Atene quando san Paolo fece l’annuncio della risurrezione, della vita per sempre, del paradiso, che più corrisponde all’implorazione del nostro cuore. «T’ascolteremo un’altra volta su queste cose» (cfr. At 17,33), gli avevan detto. Proclamazione di totale scetticismo. Questo è l’annuncio che la Chiesa deve fare oggi. Va benissimo il nostro impegno – lo dico agli amici dell’USTAL-UNITALSI, qui presenti, che si dedicano al volontariato e fanno visita agli ammalati –, ma non dimentichiamo che l’essenziale è l’annuncio della risurrezione.

L’incontro di Gesù con il lebbroso è come l’incontro finale che avremo con il Signore Gesù. Ogni episodio del Vangelo di Marco, ce lo dicono gli esegeti, in realtà è un incontro col Risorto. È un Vangelo brevissimo, appena 16 capitoli, e si chiude senza finale (finisce con l’avverbio greco “car” che si può tradurre con “perché?”). Poi, è stata scritta una breve aggiunta canonica, ma, di per sé, il Vangelo termina con le due discepole che vanno alla tomba di Gesù, constatano che è vuota, e accolgono l’annuncio evangelico: «Andate in Galilea, là lo incontrerete» (cfr. Mc 16,1-8). È un detto di tipo simbolico. È come se Marco riavvolgesse le vicende della vita di Gesù e le leggesse dal punto di vista della risurrezione; l’incontro del lebbroso con Gesù è l’incontro di un malato con Gesù Risorto, un “ritorno al futuro”. Per questo il brano è fondamentalmente pasquale e viene promesso il recupero della nostra corporeità. La pienezza della persona, anima e corpo, sarà avvolta dalla vita e dalla gloria della risurrezione. I Padri della Chiesa dicevano: «Il punto di arrivo della salvezza è la salvezza del corpo». La promessa è del corpo. Gesù non si sottrae al farsi avanti di questo lebbroso; la lebbra non impedisce a Gesù di lasciarsi toccare, anzi il Vangelo dice che Gesù provò dentro di lui una sorta di compassione: viene usato un verbo greco che indica un movimento viscerale, come quello che avviene nel grembo materno. Gesù, in quel momento, vibra come una madre che sta per dare la vita. Tocca il lebbroso: c’è il contatto fisico. Questo era vietato non solo per motivi igienico-sanitari, ma per anche per motivi religiosi: si contraeva impurità rituale. Gesù lo sa. Prende su di sé la malattia, l’impurità: diventa lui impuro.

Alla fine del brano viene detto che Gesù non entrava più in città, ma abitava in luoghi deserti. Il motivo, di per sé, è che non vuole passare per un guaritore. Lui è il Salvatore: un conto è guarire, un conto salvare. Se guarisce è per dimostrare che può salvare, che può dare senso a tutto. Marco allude al farsi lebbroso di Gesù: d’ora in poi non entra più in città, anche lui ora va in luoghi deserti.
Il lebbroso viene inviato al tempio, dove i sacerdoti hanno l’incarico di verificare se veramente la malattia è superata (un po’ come, durante il Covid, si veniva mandati a fare il tampone…). Non si andava a mani vuote, occorreva portare una vittima sacrificale. Questo “salvato” non va al tempio, ma grida la bella notizia della guarigione. Prima del culto, sembra dirci l’evangelista, c’è la testimonianza: «Io, l’escluso, il maledetto, colui che manda cattivo odore, l’inavvicinabile, ora sono salvato…. C’è stato uno che si è avvicinato, si è preso cura di me, non ha provato ribrezzo, mi ha toccato». Questo è il kerygma: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita dei discepoli che hanno incontrato Gesù» (EG 1). Gesù ti salva.

E l’offerta sacrificale? L’offerta sacrificale c’è già: è Gesù. In effetti, sta incominciando la crisi nel rapporto di Gesù con i capi del popolo; si profila la crocifissione. Lui è la vittima. Dirà san Paolo: «Lui si è fatto peccato al posto nostro per darci la vita» (cfr. 2Cor 5,21). Il lettore del Vangelo di Marco può dire: «Il lebbroso sono io che sono stato salvato».
Domandiamoci: quali sono le mie lebbra? Che cos’è che mi tiene fuori dalla relazione? Forse il mio carattere, forse un errore che ho commesso, forse il partire sempre da me, dal mio punto di vista… Questo mi fa stare lontano dagli altri. Lasciamoci toccare da Gesù che è l’unico capace di non abbandonarci mai. Questo cambia la nostra vita. Così sia.

Discorso del Vescovo Andrea nell’annuncio della nomina del nuovo Vescovo di San Marino-Montefeltro

Pennabilli (RN), Cattedrale, 3 febbraio 2024

Immagino sappiate perché siete qui!
Abbiamo iniziato questa assemblea, dopo la preghiera dell’Angelus, cantando la grande epiclesi: “Veni Creator Spiritus”, invocazione allo Spirito Santo sulla nostra Chiesa e su ciascuno per prepararsi ad accogliere il nuovo Vescovo, perché lo Spirito scenda con abbondanza sull’eletto, e su di me, perché sappia vivere bene il distacco canonico e vivere ancor meglio la comunione profonda con tutti e con ciascuno, comunione che non finirà mai.
Resterò con voi ancora qualche mese per portare alla sua conclusione il Programma Pastorale e preparare il passaggio.
Penso siate un po’ curiosi. Ad inizio settimana ricevo la telefonata del Nunzio Apostolico, Sua Eminenza il Cardinale Emil Paul Tscherrig: «Eccellenza, si tenga pronto, il Dicastero dei Vescovi sta provvedendo al suo avvicendamento». Poi mi dice che al telefono non può parlare. Tutto è sub secreto pontificio. Prometto l’assoluta segretezza.
Poi, qualche giorno dopo arriva la mail di cui do lettura.

“Eccellenza,
mi reco a premura di comunicarle che il Santo Padre ha nominato come suo successore per la Chiesa che è in San Marino-Montefeltro il Rev.do Domenico Beneventi del Clero di Acerenza, finora parroco e docente.
Desidero, in questa occasione, rivolgerle i miei più profondi e cordiali sentimenti di gratitudine per quanto da lei svolto in questi anni in qualità di guida per la comunità che è in San Marino-Montefeltro, per il costante impegno e la dedizione profusi, ad immagine di Cristo, Buon Pastore, con un’attenzione particolare alle persone più fragili e bisognose e alle tante sfide che l’amore per il popolo di Dio comporta.
La notizia del provvedimento pontificio sarà resa pubblica alle ore 12 di sabato 3 febbraio 2024”.

Ho l’influenza. Chiedo al Nunzio, se mai fosse possibile, di spostare di qualche giorno l’annuncio e questo incontro. Non è possibile; è già partita la comunicazione agli Stati. Il Nunzio mi sorprende: mi ringrazia, mi ringrazia per la mia gentilezza.
Il nome del nuovo pastore è ben leggibile in grassetto. Il primo pensiero: la Diocesi continua la sua missione nel Montefeltro e a San Marino. Una grande responsabilità viene affidata ai cattolici della Diocesi: camminare a fianco della più antica Repubblica, con l’atteggiamento giusto, di rispetto e autonomia, senza rinunciare a proposte ispirate al Vangelo di Gesù Cristo (per associazione di idee fa capolino nella mia mente una proposta impertinente da fare all’economo, di aggiungere una nuova lastra di marmo all’ingresso del Vescovado. In quella vecchia non c’è più posto…). Tutto a dispetto del chiacchiericcio che immaginava la fine o l’accorpamento dell’antica Diocesi feretrana a qualche Diocesi vicina.
Il secondo pensiero: don Domenico viene nel nome del Signore. Gli spalanco immediatamente braccia e cuore. L’ho sentito per la prima volta ieri sera. Gliel’ho assicurato, si troverà bene. Chiedo della sua famiglia. Pospongo i miei pensieri per fare spazio ai suoi. Mi metto nei suoi panni e concludo assicurandogli che il “sì” è sempre generativo.
Poi, a grappolo, il cuore si affolla di altri pensieri e altre emozioni. La gratitudine per il dono della successione apostolica, per l’unità col Santo Padre, per il legame sacramentale del Vescovo con la sua Chiesa (il Vescovo non è un alto funzionario, un prefetto territoriale, un dirigente) e poi la fortuna di una guida nuova, preparata e giovane. Viene da una regione un po’ lontana, ma poi non così tanto; viene da una terra, la Basilicata, simile alla nostra: montagne, piccoli borghi e tanto verde. È un giovane parroco, con una esperienza importante nella pastorale giovanile – ha fatto parte dell’équipe nazionale – esperto di comunicazioni sociali, consulente ecclesiastico dell’AIART (Associazione Italiana Ascoltatori Radio e Televisione).
Per quanto mi riguarda è giusto metta briglie al cuore, ma è anche vero che «il cuore è il cuore», ha le sue esigenze e reclama i suoi diritti: i cuori di pietra ci sono stati tolti e sono stati sostituiti da cuori di carne (cfr. Ez 36,26).
Avremo modo di scambiarci confidenze, ricordi, memorie di chi ci ha lasciato, abbracci e, per quanto mi riguarda, richieste di perdono.

Carissimo don Mimmo, che cosa troverai qui? Anzitutto cuori e menti aperte all’accoglienza e alla collaborazione, l’esperienza della sinodalità vissuta: i Consigli diocesani, presbiterale, pastorale, sinodalità, economico e dei beni culturali (Museo, Biblioteca, Archivio: MAB); un clero secolare e religioso che si incontra tre volte al mese per la preghiera, lo studio, la conoscenza reciproca; quattro seminaristi, uno incamminato al ministero diocesano e tre alla vita religiosa; sette comunità contemplative e altrettante di vita apostolica; un’Azione Cattolica giovane e vivace, desiderosa di espandersi su tutto il territorio; movimenti vivaci e testimonianti (CL, RnS, Associazione Papa Giovanni XXIII, Milizia dell’Immacolata, Terz’Ordine Francescano, USTAL-UNITALSI, tutto il mondo dello Scoutismo, Carità senza confini); dodici Uffici Pastorali, non solo esecutivo del Vescovo, ma portavoce delle istanze delle comunità: esperienze, gioie e fatiche, per passare sempre di più dalla frammentazione all’unità; tante amicizie e collaborazioni, a partire dalle istituzioni civili, universitarie e scolastiche, alle forze dell’ordine, del servizio civile e del volontariato.
Ci aspettiamo un aiuto a riedificare il popolo cristiano, impedendogli di pensare, al di là di tutto, che la fede sia una cosa già assodata, immutabile. Invece, la fede deve essere di nuovo chiesta e richiesta al Signore e rivissuta in lui, nell’appartenenza al suo popolo che è la Chiesa.
Concludo, carissimo don Domenico, ricordandoti che, insieme a tante collaborazioni e aiuti, ci saranno momenti in cui sarai solo, quando dovrai governare, cioè decidere. Così è stato ricordato anche a me: la decisione non è un aspetto secondario; è, direi, lo strumento fondamentale della nostra santificazione. Il Vescovo si santifica perché nel governo gioca tutta la sua carità verso Cristo, verso le persone su cui decide e verso la Chiesa.
Il punto più faticoso è probabilmente quello di tenere insieme il rispetto e l’amore alla persona con il rispetto e l’amore alla Chiesa.
Troverai una Chiesa buona, una Chiesa benevola, una Chiesa che, nel cammino di questi anni, ha fatto un salto significativo.
Troverai soprattutto il percorso che abbiamo fatto per la recezione dell’Evangelii gaudium di Papa Francesco.
Su questa linea si è mossa l’azione pastorale, pur fra difficoltà e limiti. Di anno in anno si sono riproposte le dimensioni fondamentali della fede e solo di conseguenza i diversi ambiti: famiglia, giovani, lavoro, ecc.
È sembrato via via sempre più opportuno ripercorrere l’essenziale dell’esperienza cristiana: dal suo cuore e centro – l’incontro con Gesù Risorto – alla dinamica del Mistero pasquale, vita nuova; dalla gioia del Vangelo all’annuncio missionario con la forza dello Spirito; dalla comunità che accoglie il dono della comunione e lo esprime accogliendo il mistero eucaristico, fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa. È stata per tutti occasione per abbracciare, con uno sguardo semplice, l’intero mistero cristiano: il disegno di Dio Trinità d’amore, l’Incarnazione-Redenzione, la Chiesa e la missione. Fondamentali sono stati i momenti assembleari e comunitari del Mandato, all’inizio dell’anno pastorale, e la verifica nella Veglia di Pentecoste, a fine anno: tappe divenute ossatura del cammino pastorale diocesano. Insieme al “quaderno”, che sussidia il percorso, si è rivelato utile il calendario pastorale, uno strumento per far sentire l’unità della Diocesi piuttosto che l’elenco delle iniziative.
Un’altra convinzione, più volte richiamata, suona così: «Cristiani si diventa». Alla luce di questo, quasi spontaneamente, sono venuti in rilievo, in conseguenza del percorso pastorale, i sacramenti dell’iniziazione cristiana: Battesimo, Confermazione, Eucaristia. Una riscoperta valida per tutti e sempre (non solo per i piccoli e i ragazzi).
È stato un percorso fortemente segnato dalla Parola di Dio. Ogni anno hanno fatto da riferimento icone bibliche accompagnate da alcune note essenziali “per andare in profondità”, rinviando a letture e studi, sempre necessari. Ogni anno sono stati suggeriti spunti per la lectio divina comunitaria e personale. Gli Uffici Pastorali e i Consigli Pastorali Parrocchiali, con creatività, hanno potuto informare le scelte operative, i progetti e le risposte alle situazioni con la ricchezza dei contenuti.

Il suono delle nostre campane giunga fino a te. Ti accompagnino la Beata Vergine Maria delle Grazie e i nostri Santi Patroni, Marino e Leone.

La Diocesi di San Marino-Montefeltro accoglie il nuovo pastore

“Il cuore è il cuore”

Sapevo che prima o poi sarebbe accaduto. A inizio settimana, il Cardinale Tscherrig, Nunzio Apostolico, mi chiede se sarò in sede nei prossimi giorni. Non mi dice i particolari… «Non posso dirle niente di più al telefono». Intuisco. Verso fine settimana arriva la lettera con la quale il Papa accoglie la restituzione del mio mandato episcopale per il compimento dei miei 75 anni. Spalanco immediatamente cuore e braccia al Vescovo eletto: un sacerdote giovane e preparato, don Domenico Beneventi.
L’annuncio ufficiale è accaduto questa mattina alle ore 12 in contemporanea con la Sala stampa vaticana e la Cattedrale di Acerenza (PZ), antica sede arcivescovile.
All’assemblea diocesana sono intervenuti tanti fedeli, religiose e religiosi, presbiteri e diaconi. C’è un po’ di commozione. Non c’è dubbio, sento tutto l’affetto; nel contempo, la sorpresa e l’apertura verso don Domenico (nella sua parrocchia lo chiamano don Mimmo).
L’assemblea si era aperta con la lettura del Vangelo, dove il Signore dice al suo apostolo: «Mi ami tu? Allora pasci le mie pecorelle. Pasci perché ami!». L’assemblea si chiude con la preghiera e il suono delle campane a festa: la Chiesa è viva e gode per la successione apostolica, il dono più grande che il Signore Gesù le ha fatto.
Il Papa non ha soppresso né accorpato questa Diocesi: si fida di noi; vuole che accompagniamo la grande esperienza sociale, politica e comunitaria della più antica Repubblica di San Marino e del Montefeltro.
Il cuore è coinvolto verso chi parte e verso chi arriva. Anche i sentimenti fanno parte della trama della vita della Chiesa-comunione.
Invito tutti ad aspettare con gioia, a fare festa e a pregare per il Vescovo eletto Domenico

Vescovo Andrea

Scarica il Discorso del Vescovo Andrea all’assemblea diocesana

Scarica il Saluto del Vescovo eletto Domenico alla Chiesa di San Marino-Montefeltro

Il profilo biografico del Vescovo eletto Domenico

Nuovi corsi in partenza all’ISSR “A. Marvelli”

Al via i Per-corsi Aac (Ascolto attivo cercasi): una serie di proposte che sarà possibile frequentare anche in modalità online per arricchire il proprio bagaglio formativo

Scienze bibliche e teologia, ma anche musica sacra, improvvisazione teatrale, arte e architettura.

Sono davvero varie le proposte tematiche e formative previste nell’ambito dei Per-corsi Aac (Ascolto attivo cercasi), promossi dall’Istituto Superiore di Scienze religiose “A. Marvelli” delle Diocesi di Rimini e San Marino-Montefeltro.

I Per-corsi Aac sono pensati per chiunque, credente o meno, si senta interpellato dalle opportunità formative messe in moto dal cammino sinodale della Chiesa. Si possono frequentare in base al proprio specifico interesse, scegliendone uno o più tra quelli proposti, e ci si può iscrivere senza essere necessariamente già studenti/esse dell’Issr.

Ogni corso viene erogato online, ma sono previste alcune lezioni anche in modalità mista (in presenza e online).

Di seguito l’ampia e interessante rosa delle proposte, con un video di presentazione a cura dei docenti di ogni corso:

Percorso di improvvisazione teatrale: 1°Livello

Dal 22 gennaio al 6 maggio 2024 ogni lunedì dalle 20,30 alle 23

Dott. Sergio Sansone

Introduzione ai metodi teologici e alle loro questioni critiche

Dal 23 gennaio al 29 aprile 2024 ogni lunedì dalle 19,15 alle 20,45

Prof. Fabrizio Mandreoli

https://youtu.be/uXUQh9iXF0A

Segni, simboli e architetture delle diverse culture religiose

Dal 12 febbraio al 18 marzo 2024 ogni lunedì dalle 21 alle 22,30

Prof. Auro Panzetta

https://youtu.be/GwynV72H3zY

La sfida di un nuovo Umanesimo nel tempo della complessità

Dal 23 gennaio al 30 aprile 2024 ogni martedì dalle 21 alle 22,30

Prof.ssa Silvia Melandri

https://youtu.be/Gmp9LEisWfU

DABAR, La Parola di Dio che dice e dà. Laboratorio di annuncio della Parola coi metodi attivi

Dal 29 gennaio al 13 maggio 2024 ogni lunedì dalle 18 alle 20

Prof.ssa Claudia Baldassari

https://youtu.be/DNHme9VDLao

Quale teologia per la vita religiosa

Dal 23 gennaio al 23 aprile 2024 ogni martedì dalle 19,15 alle 20,45

Prof. Filippo Gridelli OFM Capp.

https://youtu.be/0RxNERHu804

Musica sacra

Dal 5 febbraio al 6 maggio 2024 ogni lunedì dalle 21 alle 22,30

Prof. Giovanni Cantarini

https://youtu.be/LT_JSZsVvNI

Alle radici della comunità cristiana. Lettura di testi biblici e riflessioni formative

Dal 5 febbraio al 13 maggio 2024 ogni lunedì dalle 19,15 alle 20,45

Prof. Ernesto Borghi

https://youtu.be/tJHnyO8vbLM

In allegato la locandina.

Per maggiori informazioni e per iscriversi è possibile contattare la Segreteria dell’ISSR “A. Marvelli” – Tel: 0541 751367 – email: segreteria@issrmarvelli.it

www.issrmarvelli.it

Omelia nella IV domenica del Tempo Ordinario

Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 28 gennaio 2024

Dt 18,15-20
Sal 94
1Cor 7,32-35
Mc 1,21-28

L’evangelista Marco ci fa entrare nella giornata tipo di Gesù, le sue “24 ore”, che incominciano con una scelta: entrare in città. La possiamo configurare come “strategia di ingresso”, da contrapporre alla “strategia della fuga” praticata dagli Esseni, comunità di uomini religiosi che hanno abbandonato la città, sono andati nel deserto di Qumran e là hanno organizzato la loro vita in attesa della Gerusalemme celeste. Gesù prende anche la distanza dagli zeloti, un gruppo operativo al tempo di Gesù, che adotta la “strategia della aggressione”: cacciata dei romani occupanti e liberazione della Terra Santa. Ecco, Gesù, invece, entra nella città e condivide la vita di tutti i giorni delle persone del suo tempo. Entra a Cafarnao, in Galilea, la cosiddetta “Galilea delle genti”, territorio abitato da una popolazione meticcia, di razze diverse, di credenti al Dio di Israele e credenti di altre religioni, luogo di confine e di confino. Cafarnao, nella Galilea, è l’agglomerato più consistente della Galilea. Ed è anche la città delle contraddizioni.
Resto sorpreso dalla scelta di Gesù. Ma sono ancora più sorpreso nel vedere che Gesù, nonostante le necessità di questa città, persone da curare, persone da soccorrere, ignoranti da istruire, malati da guarire, va in sinagoga. Mi aspetterei che il Messia, si prodighi da subito a curare ferite, a spezzare catene. Invece va in sinagoga. Si può pensare che sia normale, perché è sabato. Qualcuno dice che va in sinagoga perché sta insegnando il primato della preghiera. Ma forse c’è un altro motivo: Gesù, lo si evince dal racconto, va nella sinagoga perché è il luogo in cui può annidarsi una relazione ferita con Dio, dove ci può essere la divisione, dove può nascondersi il male e quindi c’è la necessità di una purificazione, di una liberazione. E in effetti è così. Gesù entra in sinagoga, dove tutto è tranquillo e in ordine, per favorire la preghiera, per il canto dei salmi, per la riunione, e salta fuori che, proprio lì, si annida il Divisore, il Diavolo. Mi sarei aspettato il primo incontro-scontro di Gesù con il Diavolo in qualche bettola di Cafarnao, oppure fra gli scaricatori del porto, oppure fra i soldati della guarnigione romana o al mercato in mezzo alle chiacchiere della gente. Invece no, in quel luogo così santo, così austero, si nasconde Satana. Quando Gesù entra, Satana non può che esplodere. La voce del Diavolo, cioè del Divisore, viene fuori proprio nella sinagoga, dove era nascosto inosservato. Sinagoga è una parola greca composta: syn, che sta per “con” e il verbo ago, che significa convocare, riunire, condurre. Quindi, la sinagoga dovrebbe essere per definizione il luogo dell’unità, invece lì si insinua la divisione della creatura dal suo Creatore. Che cosa fa Gesù in sinagoga? Gesù insegna e riempie di stupore i suoi ascoltatori. I rabbi, invece, insegnano e magari ricevono pure il battimano della gente, ma poi la gente torna a casa, per i fatti propri. Quando Gesù insegna, succede che si cambia vita (l’abbiamo visto, domenica scorsa, con le due coppie di fratelli chiamati da Gesù sulle rive del lago). Gesù, in sinagoga, denuncia la divisione e appare clamorosamente in quella creatura posseduta da Satana. Lo spirito impuro viene chiamato anche Satana, parola di derivazione ebraica che significa “accusatore”. Lo spirito impuro pronuncia due frasi che sono quasi un insegnamento al rovescio, paradossale. La prima: «Che vuoi da noi? Che c’è tra te e noi? Cosa c’entri con noi?»: desiderio di mantenere una distanza, come a dire «Ognuno stia a casa sua: tu sei il Santo di Dio e noi facciamo i fatti nostri». “Diavolo” – altro nome dato allo spirito impuro – da una parola greca, diabàllo, che significa divisione, rottura. L’altra frase che dice Satana è: «Sei venuto a rovinarci?». La domanda è conforme allo stile del diavolo che, come nel paradiso terrestre, insinua con Eva e Adamo, che Dio è concorrente dell’uomo, tarpa le ali e, con le sue “10 parole”, i comandamenti, impedisce alla nostra personalità di esprimersi, di essere veramente libera. È un inganno. In verità, Dio non rovina: chi segue Gesù ha il centuplo, il centuplo interiore e il centuplo di ciò di cui la sua vita ha bisogno (cfr. Mt 19,29). Ricordate quando Gesù, nelle prime battute nell’Ultima cena, parlando con i discepoli, fa questa domanda: «Da quando voi avete seguito me, vi è forse mancato qualcosa?». E gli rispondono: «Nulla, Signore» (cfr. Lc 22,35). Allora, se questo è rovinare, io dico: «Signore, rovinaci!».
A Gesù basta una parola: «Taci, esci da quell’uomo». C’è uno scossone in quella persona; la parola di Gesù lo rovescia, lo ribalta. Qui si vede l’entrare del Regno di Dio, della Signoria di Dio. Questo è il primo round di un combattimento corpo a corpo nel quale il Messia vince Satana. Chi legge deve pensare: «Non devo avere paura di Satana, perché Gesù l’ha vinto e lo vince, ma soprattutto non devo avere paura a mettermi nelle mani di Gesù, perché lui libera, salva». Questa, in fondo, è una pagina straordinaria di cristologia. C’è un racconto, un fatto di cronaca, un esorcismo, che ha suscitato grande stupore nella città di Cafarnao, però è eminentemente una pagina di cristologia: contiene “un discorso su Gesù”. Quando lui arriva, smaschera la divisione che c’è nel cuore umano, la divisione che l’uomo ha nella relazione con Dio, perché lo teme, ne ha paura. Sarà capitato anche a tanti miei colleghi di sentire persone che dicono: «Padre, è da tanto che non mi confesso, perché ho paura di Dio, ho paura del suo castigo». Ecco, Gesù è venuto per unire, per liberare, per spezzare catene, per smascherare le false immagini di Dio.
Compiuto il prodigio, le persone che sono in sinagoga non possono trattenere il loro stupore: «Ma chi è costui? Non parla come i nostri maestri, dà un insegnamento con autorità». La parola usata è exousia. L’autorità, infatti, può essere intesa in due modi: autorità come autoritarismo e autorità come autorevolezza, l’autorità che fa crescere, che fa sbocciare, che fa “venir fuori” (exousia significa “cavar fuori”). In quell’ossesso Gesù fa venir fuori una persona riscattata e libera: un figlio di Dio. Il Diavolo parla al plurale: «Che c’è fra noi e te, Gesù di Nazaret? Sei venuto a liberarci?». Invece Gesù usa il “tu”. Qualche autore ritiene che probabilmente Satana è entrato nell’ossesso con altri demoni.  Qualche altro dice che – questa forse è l’idea preferibile – parla a nome della sua vittima. Il diavolo è ingiusto aggressore e parla anche a nome dell’aggredito, perché gli toglie la libertà, lo possiede, lo schiavizza; Gesù sa distinguere l’ingiusto aggressore, che è Satana, dall’aggredito.
Invito a pensare, durante la settimana, a quelle zone di noi stessi che hanno bisogno di essere liberate, risanate e ad aprirci a Gesù senza paura, con confidenza, perché lui non cerca altro che la nostra gioia. Potrebbe anche essere formulata così la domanda: «Di che cosa ho paura?». Buon lavoro su noi stessi per migliorare la nostra relazione con Dio.