Omelia nella V domenica di Quaresima

Miratoio (RN), 17 marzo 2024

“Due giorni” ACR Medie

Ger 31,31-34
Sal 50
Eb 5,7-9
Gv 12,20-33

Cari ragazzi, vi saluto con tanto affetto e saluto i vostri educatori, che hanno dedicato due giorni interi a voi. Saluto la nuova Presidente Diocesana dell’Azione Cattolica, Giulia Rinaldi.
Ho fatto il Liceo classico: per cinque anni la mia familiarità è stata con i greci, studiandone la letteratura, le vicende e gli eroi…
I greci, al tempo di Gesù, erano il top della cultura: sentire, allora, che alcuni di loro «vogliono vedere Gesù» mi ha emozionato.
I greci vogliono vedere Gesù. C’è un’anticamera molto concitata, perché quei greci non sapevano a chi rivolgersi. Si rivolgono a uno dei discepoli che è di Betsaida (a Betsaida si parlava il greco), Filippo (letteralmente “colui che ama i cavalli”), e poi ad Andrea (nome greco che significa “uomo/maschio”). Non vanno direttamente da Gesù, hanno bisogno di una mediazione. C’è sempre bisogno di qualcuno che favorisca l’incontro, che incoraggi, che aiuti ad osare come quando, davanti al portellone aperto dell’aereo, qualcuno dice al paracadutista: «Tocca a te!», e magari dà uno spintone. Anche noi, per conoscere Gesù, come i greci abbiamo bisogno di una mediazione: ad esempio la nostra comunità parrocchiale, il nostro parroco, i nostri educatori e soprattutto i nostri genitori.
Mettiamoci nei panni di Filippo e Andrea. Pensano: «Che bello, ci sono dei greci che vogliono vedere Gesù!»; è il momento del suo trionfo. Invece, Gesù li delude: racconta una mini-parabola piuttosto impegnativa: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto». Gesù ha davanti i greci, popolo che ha costruito sull’altura di Atene il Partenone, una delle meraviglie dell’antichità e di oggi. A loro e a tutti svela il vero segreto della vita, amare fino al dono totale di sé. Tuttavia, sbaglieremmo se mettessimo l’accento sul morire, mentre invece è sul portare molto frutto. È la legge del Vangelo: quando entri in relazione con un amico o un’amica, se gli vuoi veramente bene, gli fai spazio, fai un passo indietro perché lui possa donarsi a sua volta. Vi consegno questa regola, è importante la ricordiate: «Il chicco di frumento che accetta di morire (nell’immediato sembra una morte) produrrà una spiga carica di chicchi di frumento: è la legge della vita».
Chissà se i greci hanno dato ascolto a Gesù, se anche loro hanno scelto di far parte del gruppo… Il Vangelo non lo dice, dice solo che Gesù spiegò la mini-parabola e disse che quel chicco di frumento era lui, che, innalzato da terra (sulla croce) sarebbe diventato il punto di gravitazione universale, perché attirerà tutti (italiani, sammarinesi, congolesi, coreani…) a lui. Gesù è attrattivo!
Ieri sera ho incontrato, a Ravenna, un gruppo di giovani che hanno partecipato alla GMG di Lisbona. Si chiedevano: «Perché noi giovani, ricevuta la Cresima, ce ne andiamo dalla comunità?». Si possono dare tante spiegazioni, ma ho fiducia che Gesù, prima o poi, faccia breccia nei cuori. Ad esempio, mio nonno, prima di morire ha incontrato Gesù, lui che fino ad ottant’anni era lontano…
È necessario, però, che restiamo uniti. Voi avete la fortuna di far parte dell’ACR!
Perché mi piace l’ACR? Mi piace perché, nell’ACR, non solo si fa l’incontro con Gesù, ma si racconta l’incontro. Da questo nasce un “sociale”, un insieme, un gruppo: sono i ragazzi che raccontano l’incontro con Gesù, come avete fatto voi in questi due giorni.

Omelia nella Solennità del “Venerdì Bello”

Pennabilli (RN), Santuario della Madonna delle Grazie, 15 marzo 2024

Prv 8,22-31
Sal 44
Ef 1,3-6.11-12
Lc 1,26-38

Siamo riuniti per rinnovare la tradizione del “Venerdì Bello”. Era venerdì 20 marzo 1489, quando l’immagine della Vergine, qui custodita, fu vista versare lacrime. Il fatto, suffragato da molte testimonianze, fu riconosciuto e venne approvato dal Vescovo diocesano, Celso Mellini. Il fatto, da subito, fu interpretato come un segno di premura materna, sostegno, difesa della Beata Vergine delle Grazie verso queste nostre comunità.
La festa del “Venerdì Bello” coincide con l’arrivo della primavera, inizio di un nuovo ciclo, con lo sbocciare di nuovi germogli e gemme, con la gioielleria delle viole, delle primule e dei narcisi. Sono molto lunghi gli inverni di quassù, anche se quest’anno l’inverno è stato molto mite (purtroppo, per altri versi…). La celebrazione del “Venerdì Bello” sostiene i giorni decisivi della Quaresima e prepara alle solenni liturgie della Settimana Santa. Per noi sacerdoti costituisce una piccola sosta nelle fatiche pastorali che, in questo tempo, si fanno più gravose: visita e benedizione alle famiglie (esperienza bellissima!), catechesi, liturgie, formazione degli adulti (incontri, predicazioni, ritiri), Vie Crucis, Veglia missionaria. Una sosta, una pausa, un sollievo, ma dove? Ai piedi, anzi sulle ginocchia, ancora di più, tra le braccia della Madre. Amo pensare Maria nella casa di Giovanni: la Madre ceduta da Gesù al discepolo agapetos (“amato”); Maria, da allora, sta ad Efeso, accanto al discepolo. E noi? Siamo qui per prendere Maria nella nostra casa. Le lacrime sono il segno di una umanità, la sua, risorta, ma vera, coinvolta, emozionata. Maria ci sollecita ad avere con lei un rapporto altrettanto vero, profondo, corrispondente a quello che lei ha per noi. Non siamo troppo prudenti nell’abbandonarci anche al sentimento (la devozione non dev’essere un sentimentalismo, sia ben chiaro!), nella fede portiamo anche i nostri cuori: «Sotto la tua protezione cerco rifugio, Santa Madre di Dio, non disprezzare le suppliche di me che sono nella prova, ma liberami da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta».
Siamo qui questa mattina – mi rivolgo particolarmente ai miei presbiteri – per affidarle tre eventi che stiamo vivendo. Il primo: l’arrivo, nel nome del Signore, del nuovo Vescovo Domenico. Come vivere questa attesa? Con la contemplazione del dono della successione apostolica. Per noi il Vescovo Domenico non sarà un funzionario mandato dal Vaticano. È un apostolo, o meglio un successore degli apostoli. Lui stabilirà con tutti, ma soprattutto con noi sacerdoti, un legame sacramentale, occasione di rimessa a fuoco del nostro rapporto col Vescovo. È l’accoglienza del Vescovo anche come persona, con la sua storia, la sua cultura, il suo cuore, i suoi sentimenti. Mi ha sempre fatto impressione quanto disse san Giovanni Paolo II: «Non è senza un disegno della divina Provvidenza che sul soglio di Pietro siede un polacco, con tutto quello che questo comporta: la sua storia, la sua cultura…». Come vivere questo evento straordinario per la nostra Chiesa? Nella tensione alla comunione, sempre di più.
Un altro avvenimento che abbiamo vissuto in questi giorni è stata la Visita ad limina: vi ho portato tutti con me nelle quattro Basiliche Maggiori, sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo. Lì ho confermato la mia e la vostra fede sulla roccia di Pietro. Ho consegnato la vita della nostra Chiesa (70 pagine di relazione!), con trepidazione (c’erano molte domande!), e ho ricevuto incoraggiamento.
Il terzo evento che dobbiamo vivere è la Terza Giornata Eucaristica, il 7 aprile. Guai a chi manca! È stato bello, quest’anno, mettere al centro l’Eucaristia. Non importa il numero delle persone che siamo riusciti a coinvolgere. Abbiamo gustato i quattro “verbi eucaristici”: «Gesù prese il pane, benedisse il pane, spezzò il pane, lo diede». Poi, la peregrinatio dell’icona della Cena di Emmaus. In tutte le comunità è un avvenimento edificante e gradito. La Terza Giornata Eucaristica sarà la penultima tappa del Cammino Sinodale di quest’anno.

Oggi la liturgia ci fa spalancare orecchi, cuore, mente, su due stupendi inni, due liriche, che hanno la forza di rapirci al Cielo della Trinità.
La prima, dal libro dei Proverbi di Salomone, e la seconda di san Paolo nella Lettera agli Efesini.
Chi è la sapienza di cui canta Salomone? Di lei si parla altre volte nei testi biblici, come di un bene spirituale, desiderabile, prezioso, ma qui la sapienza è personificata, è lei stessa che parla di sé, racconta della sua origine: «Generata prima di ogni creatura, coinvolta come parte attiva nella creazione, incaricata di una missione da svolgere verso gli uomini: condurli a Dio». Quello contenuto nell’inno del libro dei Proverbi è un identikit appena sbozzato, ma, nel Nuovo Testamento, quell’intuizione avrà uno sviluppo nuovo e decisivo, diventerà rivelazione: la sapienza è il Verbo di Dio, Gesù Cristo.
La liturgia applica questo testo alla Vergine Maria; non è un’eccedenza, Maria è collaboratrice del Redentore come la sapienza lo è del Creatore, nella duplice veste di parte attiva, nel mistero della Redenzione, e per la sua missione verso di noi.
Alcuni anni fa dedicai una Lettera pastorale alla Madonna. Aveva questo titolo: «Maria Cielo di Dio». Con questo titolo non intesi formulare un’iperbole devozionale, né avere tantomeno la presunzione di attribuirle un privilegio nuovo. Maria, però, è il Cielo sul quale, per pura grazia, il Padre dona il suo splendore, l’irradiazione della sua gloria, il Verbo.
Che cosa deve fare Maria? Nulla. Soltanto accogliere l’iniziativa dell’Amante nel suo eterno generare l’Amato, il Figlio, e il reciproco donarsi che è lo Spirito Santo.
Il racconto evangelico dell’Annunciazione è la più significativa tra le pagine di Rivelazione trinitaria. Tutta la Trinità si affaccia sulla casa di Nazaret e vive in Maria il suo Cielo. In Lei, l’Eterno entra nel tempo. Il suo abbandonarsi è totale. Il senso vero della sua domanda: «Come accadrà questo?» equivale ad un «Signore, cosa vuoi che io faccia?». Maria lascia da parte tutte le ragioni, sicuramente valide: c’è di mezzo Giuseppe, che cosa dirà? C’è di mezzo il chiacchiericcio della gente: una ragazza incinta fuori dal matrimonio… C’è di mezzo la sua piccolezza, ma è proprio alla sua piccolezza che l’Altissimo rivolge lo sguardo. Trovo molto suggestiva la preghiera di san Bernardo davanti all’Annunciazione. L’angelo ha parlato. Maria ascolta. C’è un attimo di profondo silenzio. Cosa risponderà? Cosa dirà all’angelo? È come se il tempo si fermasse… Bernardo – è un’esegesi discutibile – entra sulla scena, si fa voce dell’umanità che implora quel “sì”. È Bernardo che prega, ma è voce della mia preghiera e di quella di ciascuno di noi. Mi piace immaginare sulla scena anche il lebbroso del Vangelo che chiede il “sì” di Maria. Sa che, se lei dirà “sì”, Gesù lo risanerà. Immagino la donna peccatrice che attende di essere liberata da sette demoni. Immagino Zaccheo, capo dei pubblicani, desideroso di farla finita col suo comportamento mafioso. Penso al ladrone che sulla croce chiede solo che Gesù si ricordi di Lui.
Riprendo le parole di san Bernardo: «Perché tardi? Perché temi? Credi all’opera del Signore, dà il tuo assenso ad essa, accoglila. Nella tua umiltà prendi audacia, nella tua verecondia prendi coraggio. In nessun modo devi ora, nella tua semplicità verginale, dimenticare la prudenza, perché se nel silenzio è gradita la modestia, ora è piuttosto necessaria la pietà della parola. Apri, Vergine Beata, il cuore alla fede, le labbra all’assenso, il grembo al Creatore. Levati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo “sì”». «Eccomi – risponde – sono la serva del Signore, avvenga in me quello che hai detto». Nostra Signora del “sì” insegnaci a discernere la volontà di Dio, ad accoglierla nella fede e a corrispondere alla grazia. Tu, la piena di grazia, dicci in che modo imitarti. Ci rendiamo conto che non possiamo essere cristiani se non essendo mariani». Chiediamo a Maria di farci altri “Cielo di Dio”, dimore della Trinità, grembi di Dio nella storia.
Al termine di questo anno eucaristico è cresciuta in noi sacerdoti la consapevolezza dell’analogia che ci lega a Maria. Anche noi, per così dire, mettiamo al mondo il Signore Gesù. L’Eucaristia è la continuazione dell’incarnazione del Verbo. Nell’intraprendere il cammino dell’anno liturgico – ricorderete – la nostra preghiera, i nostri sospiri erano rivolti all’avvenimento che poteva sembrare nient’altro che un sogno: «Che Dio squarciasse i cieli e scendesse tra gli uomini». Il sogno, nella pienezza dei tempi, è divenuto realtà e il Figlio di Dio è comparso tra noi, nostro Emmanuele, nato da una Vergine. E quel fatto non è relegato in un momento della storia, duemilaventicinque anni fa; l’incarnazione perdura, il nostro Dio è con noi, tutti i giorni, sino alla fine dei secoli.
L’Eucaristia costituisce la continuazione dell’incarnazione, la permanenza del Signore tra noi sino ad oggi, ma la sua entrata nella storia del mondo, allora, fu per tutta l’umanità passata, presente e futura, per tutta l’umanità in generale. L’Eucaristia, in un certo modo, presenta qualche cosa di più. L’Eucaristia è l’incarnazione del Signore in ognuno di coloro che credono in Lui e di Lui si cibano, della sua carne e del suo sangue. Non è lui che si trasforma in noi, ma siamo noi che veniamo trasformati in Lui (sant’Agostino). Ciascuno di noi, mediante l’Eucaristia diventa Cristo, può dire: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Noi siamo fatti membra di Cristo. Di più, noi siamo Cristo. In questo tutto è grazia, soltanto grazia. Rapiti da questa bellezza, facciamo nostro l’inno che apre la Lettera agli Efesini, l’inno che Paolo innalza mentre è in catene: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore Nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione nei Cieli in Cristo; in Lui ci ha scelti per essere santi e immacolati, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi, secondo il beneplacito del suo volere». Così sia.

Ordinazione episcopale di Mons. Domenico Beneventi

A tutti i fedeli della Diocesi
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Carissimi,
si avvicina la data della consacrazione episcopale del nostro vescovo eletto mons. Domenico Beneventi. La Diocesi sta organizzando una bella e, speriamo, numerosa partecipazione.
L’ordinazione si terrà sabato 20 aprile alle ore 10.30 nella splendida e grande Cattedrale di Acerenza (Potenza).
Il nostro Ufficio diocesano pellegrinaggi ha previsto due opzioni: un viaggio su 2 giorni e un viaggio su 3 giorni (cfr. Allegati).
Chi vuol raggiungere Acerenza con mezzi propri è indispensabile segnali la sua partecipazione in centro Diocesi (Chiara Ferranti cell. 335 227046; pellegrinaggi@diocesi-sanmarino-montefeltro.it).
L’arcidiocesi di Acerenza, dopo la solenne liturgia, offre a tutti il buffet.
La nostra presenza riempirà di gioia il nostro giovane vescovo Domenico. Sarà sicuramente un’esperienza spirituale ed ecclesiale indimenticabile.
Sono fiero di accompagnare e rappresentare la Diocesi, anche come vescovo conconsacrante. La preghiera, il viaggio insieme, i momenti di turismo (a Matera!), l’incontro con gli amici di Acerenza uniranno ancor più i nostri animi: il dono più bello e desiderabile per il Vescovo Domenico.
Vi aspetto in tanti!

Vescovo Andrea

Brochure “pacchetto” 2 giorni

Brochure “pacchetto” 3 giorni

Scarica l’invito alla partecipazione

Omelia nella IV domenica di Quaresima

Pietracuta (RN), 10 marzo 2024

2Cr 36,14-16.19-23
Sal 136
Ef 2,4-10
Gv 3,14-21

Un paradosso: Nicodemo, di notte, quando è buio, va da Gesù per un incontro personale che riguarda il senso della sua vita, e trova una luce abbagliante! Qualcuno pensa sia andato di notte perché si vergognava di farsi vedere: «Tu che sei un fariseo vai a trovare Gesù?», avrebbero potuto dirgli. Nicodemo “era nella notte”. Altre volte l’evangelista Giovanni ama evidenziare: «Era notte». Accade così, ad esempio, quando Giuda tradisce il Signore e, durante la Cena, prende il pane ed esce dal Cenacolo per contrattare la cattura di Gesù; in quel momento Giovanni ribadisce: «Era notte». Non è soltanto un’informazione cronologica, ma lo sfondo di quello che c’è dentro quella coscienza. Nicodemo è in un momento di oscurità, si sta domandando quale sia il senso della vita, tant’è vero che la discussione con Gesù riguarda «una nuova nascita»: Nicodemo, infatti, sente che la sua vita è su un binario morto e chiede come si fa a rinascere.
In questa situazione di buio c’è una parola luminosissima, accecante (ci abbiamo fatto l’abitudine, ma è straordinaria): «Dio ha tanto amato il mondo». Non sappiamo che cos’abbia capito Nicodemo, che cosa sia successo nel suo cuore, però ritroveremo Nicodemo nel racconto della Passione di Gesù, perché sarà tra quelli che avranno cura di Gesù deposto dalla croce. Il cuore di Nicodemo, avvolto dall’oscurità, viene attraversato da questo bagliore.
Ricordo l’esperimento che, al Deutsche Museum di Monaco di Baviera, fanno vedere ai visitatori: la formazione dei fulmini. Per guardare occorrono occhiali particolari. Questa l’intensissima luce che travolge Nicodemo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare suo figlio». Mi auguro che tutti voi siate nella luce, ma se per caso ci fosse una persona che sta attraversando un momento di buio, per i più svariati motivi: diagnosi infauste, delusioni nella vita affettiva, dispiacere per i propri peccati, fatti della cronaca, dopo questo annuncio torni a casa con questa luce e con questa certezza: «Dio mi ama immensamente».
Nella conversazione con Nicodemo, Gesù cita una pagina della Bibbia, presa dal Libro dei Numeri (uno dei cinque libri del Pentateuco), che riporta un episodio che Nicodemo conosceva benissimo (Giovanni presuppone la conosciamo anche noi lettori), l’episodio detto “dei serpenti velenosi”. Durante il cammino nel deserto gli ebrei vedono il moltiplicarsi di serpenti velenosi dove hanno posto l’accampamento. Si tratta di serpenti molto velenosi; il Vangelo precisa: «Serpenti brucianti», un’allusione alla febbre causata dal morso dei serpenti. Nelle tende si trovano serpenti, alla fontana ci sono serpenti, nel cortile dove i bambini giocano appaiono serpenti… Ma cosa sono, in verità, i serpenti? Gli ebrei sono insoddisfatti; avevano vissuto il passaggio del Mar Rosso, un fenomeno straordinario, però si lamentano per la fatica di camminare nel deserto; hanno visto l’acqua sgorgare dalla roccia, hanno ricevuto la manna, il «pane del cielo», ma lo giudicano addirittura nauseante. I serpenti stanno a significare la loro mormorazione, la scontentezza che avvelena la loro vita. Mosè compie, allora, un gesto simbolico, che Gesù descrive molto bene. Mosè fa costruire un serpente di bronzo e lo innalza in modo che tutti lo possano guardare. Chi guarda il serpente viene risanato.
Che cosa vuol dire? Si vorrebbero offrire al Signore virtù, esperienze edificanti, cose belle e invece non si hanno che limiti, inconsistenze, peccati e difetti, tutte cose che avvelenano la nostra vita. Allora sono invitato a non guardare me stesso, a non lamentarmi, a non mormorare per uscire da me e guardare il “serpente di bronzo”.
Gesù dice: «Quel serpente di bronzo sono io; guarda me, crocifisso e innalzato da terra, butta in me ogni negatività, tutto quello che avvelena la tua vita e sarai risanato».
Vi dico come faccio nei momenti di buio. Quando ho qualche dispiacere, ad esempio sono deluso da qualcosa, cerco di non restare nella piaga, nella ferita, nel veleno, nella delusione, ma dico: «Sei tu, Gesù, il deluso». Anche Gesù è stato deluso… A volte vivo dei fallimenti. Esco da quella situazione guardando il Crocifisso: «Gesù, sei tu il fallito». Gesù in croce è il fallito. Anche ad un vescovo può capitare di pensare, mentre celebra la Messa, davanti al pane: «Mio Dio, come puoi essere in questo pezzo di pane?». Questi dubbi sono una grazia, perché fanno fare uno scatto nella fede, permettono di uscire dall’abitudine. Anche Gesù sulla croce si è sentito abbandonato, anche se non era solo, e ha gridato: «Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?» (cfr. Mc 15,34). Gesù ha sentito nel suo cuore umano quello che provano quelli che sono in ricerca. Allora mi dico: «Sei tu, Gesù, l’abbandonato». Invito tutti a vivere questa alchimia interiore.
Nella settimana che sta per iniziare propongo questi due pensieri. Il primo, nella notte un lampo di luce: «Dio mi ama immensamente». Lo devo credere soprattutto nei momenti di buio, nella notte oscura. Tutti siamo mistici, chiamati ad un’esperienza forte di vita cristiana. Il secondo: quando attraversiamo situazioni difficili, cattive, “velenose”, guardiamo il Crocifisso; anche Gesù è stato provato e in Lui siamo stati salvati.

Report Veglia per la Giornata internazionale della donna

8 marzo, Giornata Internazionale della Donna. L’Ufficio di Pastorale Sociale e del Lavoro, in una Veglia di preghiera aperta a tutti, nella serata di giovedì 7 marzo, ha affrontato il tema: “Donna e pace: quale contributo?”. Per la Veglia, papa Francesco – condiviso attraverso un audio registrato dalla sua viva voce – ha unito il suo invito alle donne a quello del Vescovo Andrea, impartendo la sua benedizione all’iniziativa e ai partecipanti. La Veglia si è svolta nella chiesa parrocchiale di Borgo Maggiore, la chiesa disegnata dall’architetto Michelucci. «È la location più adatta – interviene mons. Turazzi – è stata pensata come una piazza al coperto con tanto di finestrelle, in alto i matronei». Il tema è dettato dalla situazione attuale: una guerra vicina e terribile. «Le prime immagini che si affacciano alla mente – afferma Fabio, membro dell’Ufficio diocesano – è quella delle madri che piangono i loro figli partiti per la guerra e quella delle spose che piangono per i loro mariti lontani. Impossibile farci l’abitudine quando al telegiornale vedi ragazze che stringono in grembo i loro bambini martoriati. La guerra è la smentita più eclatante della maternità». In effetti, la donna portatrice della vita oggi è quella che paga di più, con le sue lacrime, le sue sofferenze e i suoi “perché?”. «L’osservazione di Fabio – precisa il Vescovo – inquadra bene il tema e mostra la donna protagonista e passiva, nel senso che è la prima a subire le ferite e i sacrilegi della guerra». C’è chi fa riferimento anche alle donne violate e stuprate, alle donne impegnate in prima linea loro malgrado, ma soprattutto a donne messaggeri di pace, anzitutto col loro esserci, col loro “saper stare” in medias res. «Il mio pensiero – continua il Vescovo Andrea – va a due ragazze legate all’esperienza missionaria saveriana, presenti e coinvolte nella guerra negli anni ’90 tra Utu e Tutsi nello sconfinamento con l’allora Zaire: Paola Mugetti e Edda Colla. Hanno fatto la scelta di vivere in mezzo al popolo congolese condividendo le sofferenze e le speranze. Vicine alle famiglie, capaci di ospitare centinaia di profughi nella loro casa e nel cortile d’intorno, costantemente in dialogo tra le istituzioni e gli emissari dei signori della guerra, presenza profetica in mezzo a quella bufera, non con grandi cose, ma con quotidiano impegno di tessere rapporti, di animare la speranza, operatrici di pace». L’affermazione “quale il contributo delle donne alla causa della pace?” è stato posto in modo problematico. Ma è tutt’altro che uno slogan. È una domanda: come raccogliere la profezia di pace che scaturisce dai grembi delle donne? Una domanda aperta. Ci riguarda tutti.

Durante la serata si è provato a dare risposte, tramite testimonianze dal vivo e videoregistrate. Ha offerto un suo contributo la giornalista di Avvenire Marina Corradi, molto nota per le sue corrispondenze e per i suoi commenti sui drammatici eventi di questi giorni. Sono intervenute con un videomessaggio le monache della Rupe, le Agostiniane di Pennabilli, da vari anni impegnate nello studio della teologia della pace e nell’incontro con molti giovani per diffondere la mentalità di pace. In presenza hanno riferito le loro esperienze sul campo Alessandra Cetro, incaricata regionale “Giustizia, Pace e Non violenza” dell’Associazione Scout AGESCI e Giulia Zurlini, dell’Operazione Colomba, corpo nonviolento di pace promosso dall’Associazione Papa Giovanni XXIII. Dunque, non solo preghiera, ma anche studio e condivisione di pensieri e parole di pace. «Siamo certi – aggiunge Gian Luigi, il responsabile dell’Ufficio – che la riflessione possa muovere tanti cuori per compiere passi nuovi sulla via della pace. Noi ne siamo convinti: il genio femminile è una risorsa vincente, a partire dall’impegno culturale e diplomatico, dalla dedizione educativa a quella della comunicazione». Nella serata del 7 marzo è partita un’accorata preghiera a Colei che viene chiamata Regina della Pace.

IL VALORE UNICO DELLA VITA

28 febbraio 2024, Dichiarazione della Conferenza Episcopale dell’Emilia-Romagna circa il fine vita

Durante la Visita ad limina i Vescovi dell’Emilia Romagna si sono riuniti per valutare la necessità di intervenire con una presa di posizione in merito alle disposizioni emanate dalla Regione Emilia Romagna per quanto riguarda il suicidio medicalmente assistito. Ne è uscito un testo chiaro nei contenuti e semplice nella forma. I Vescovi sono sconcertati per la proposta di legittimare, con un decreto amministrativo, il suicidio medicalmente assistito. 

Nascere, vivere, morire: tre verbi che disegnano la traiettoria dell’esistenza. La persona li attraversa, forte della sua dignità che l’accompagna per tutta la vita: quando nasce, cresce, come quando invecchia e si ammala. Sperimenta forza e vulnerabilità, intimità e vita sociale, libertà e condizionamenti.
Gli sviluppi della medicina e del benessere consentono oggi cure nuove e un significativo prolungamento dell’esistenza. Si profila così la necessità di modalità di accompagnamento e di assistenza permanente verso le persone anziane e ammalate, anche quando non c’è più la possibilità di guarigione, continuando e incrementando l’ampio orizzonte delle “cure”, cioè di forme di prossimità relazionale e mediche.
Alla base di questa esigenza ci sono il valore della vita umana, condizione per usufruire di ogni altro valore, che costruisce la storia e si apre al mistero che la abita, e la dignità della persona, in intrinseca relazione con gli altri e con il mondo che la circonda. Il valore della vita umana si impone da sé in ogni sua fase, specialmente nella fragilità della vecchiaia e della malattia. Proprio lì la società è chiamata ad esprimersi al meglio, nel curare, nel sostenere le famiglie e chi è prossimo ai malati, nell’operare scelte di politiche sanitarie che salvaguardino le persone fragili e indifese, e attuando quanto già è normato circa le cure palliative. Impegno, questo, che qualifica come giusta e democratica la società.
Procurare la morte, in forma diretta o tramite il suicidio medicalmente assistito, contrasta radicalmente con il valore della persona, con le finalità dello Stato e con la stessa professione medica.
La proposta della Regione Emilia-Romagna di legittimare con un decreto amministrativo il suicidio medicalmente assistito, con una tempistica precisa per la sua realizzazione, presumendo di attuare la sentenza della Corte Costituzionale 242/2019, sconcerta quanti riconoscono l’assoluto valore della persona umana e della comunità civile volta a promuoverla e tutelarla.
Anche noi, Vescovi dell’Emilia-Romagna, pellegrini a Roma alle tombe degli Apostoli, non possiamo non esprimere con chiarezza la nostra preoccupazione e il nostro netto rifiuto verso questa scelta di eutanasia, ben consapevoli delle dolorose condizioni delle persone ammalate e sofferenti e di quanti sono loro legati da sincero affetto. Ma la soluzione non è l’eutanasia, quanto la premurosa vicinanza, la continuazione delle cure ordinarie e proporzionate, la palliazione e ogni altra cosa che non procuri abbandono, senso di inutilità o di peso a quanti soffrono.
Tale prossimità e le ragioni che la generano hanno radici nell’umanità condivisa, nel valore unico della vita, nella dignità della persona, e trovano sorgente, luce e forza ulteriore in Gesù di Nazareth che, proprio sulla Croce, nella fase terminale dell’ esistenza, ci ha redenti e ci ha donato sua madre, scambiando con Lei, con il discepolo amato, con chi condivideva la pena, parole e un testamento di vita unico, irrinunciabile, non dissimili a quelle confidenze che tanti cari ci hanno lasciato sul letto di morte.
Il suo dolore, crudelmente inferto, accoglie ed assume ogni sofferenza umana, innestandola nel mistero di Pasqua, mistero di Morte e di Risurrezione.

I Vescovi dell’Emilia Romagna

Omelia nella III domenica di Quaresima

Pennabilli (RN), Cappella del Seminario, 3 marzo 2024

Esercizi Spirituali con il Settore Adulti dell’Azione Cattolica

Es 20,1-17
Sal 18
1Cor 1,22-25
Gv 2,13-25

La Prima Lettura con la consegna dei dieci comandamenti è un inno epico per l’esodo in cui il Signore ha condotto fuori dall’Egitto il suo popolo, finalmente libero. Non dà i comandamenti come una “palla al piede”, ma come dono di libertà, segno dell’alleanza con Lui.
Nella Prima Lettera ai Corinti Paolo deve ammettere il paradosso cristiano: «Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso». Capiamo che l’impegno della Chiesa per la promozione umana è importante, ma deve scaturire e motivarsi a partire dall’annuncio di Gesù Risorto e dall’annuncio della pienezza di vita (la vita eterna): questo è il primo compito dei cristiani nel mondo. San Paolo afferma che questo annuncio, il kerygma, è «scandalo per i giudei (un Messia crocifisso!) e stoltezza per i pagani (cultori della gnosi)». Gli uni e gli altri devono fare i conti con un Dio che si è “voltato”, cioè si è fatto volto, in una comunità, a volte una comunità di poveri, che forma la Chiesa.

L’episodio della cacciata dei venditori dal tempio c’è in tutti i Vangeli, però nei Sinottici è posta alla fine, ultimo atto della vita pubblica di Gesù che poi sfocia nella grande crisi: si può dire che è l’elemento che fa scattare la cattura di Gesù e la Passione. Invece l’evangelista Giovanni inserisce l’episodio all’inizio del suo Vangelo, al capitolo 2, dopo il grande affresco del Prologo, la predicazione di Giovanni Battista, la chiamata dei primi apostoli e l’episodio delle nozze di Cana. Si potrebbe pensare che Gesù voglia moralizzare il comportamento dei fedeli che vanno al tempio, ma in realtà tutta la vita di Gesù è stata un progetto di purificazione del nostro rapporto con Dio. In fondo, quel mercanteggiare al tempio, quel vendere e comprare colombe e agnelli, quello scambiar monete erano necessari, perché al tempio non si potevano usare le monete con l’immagine di Cesare e certamente Gesù ha inteso fare questa purificazione, ma la purificazione che ha voluto realizzare è quella del nostro rapporto con Dio, che non sia un rapporto basato sul “do ut des”. Spesso, infatti, accadeva che gli uomini andassero al tempio, comprassero l’agnello, lo offrissero in sacrificio per “fare la loro parte”, come un atto di culto dovuto e interessato. Avendo fatto tutto quello che ritenevano di dover fare, si mettevano nell’atteggiamento di attesa: adesso toccava a Dio “fare per loro”. Gesù libera completamente da questa falsa mentalità: il rapporto con Dio è gratuità, dono.

Il Figlio di Dio si è fatto uomo per vivere sino in fondo l’incarnazione: sentire i battiti del cuore umano, provare il dispiacere, sperimentare il tradimento… Dio, in Gesù Cristo, ha voluto amare da uomo. Gli uomini hanno sempre desiderato offrire a Dio sacrifici, dare la lode e il culto che Dio merita, ma non è in loro potere. Come può l’uomo avere l’ardire di offrire qualcosa a Dio che sia degno di Dio? Dio si fa uomo perché l’uomo possa dare la lode a Dio (Gesù ci raccoglie tutti in Lui!). Per questo diciamo che Cristo è il sacramento dell’incontro con Dio. In Lui il Padre si fa visibile e si dona all’uomo, e l’uomo-Gesù si fa nostra risposta. Gesù è il Tempio vivo dove si celebra questa relazione. Questa non è una filosofia, un pensiero, una mistica astratta, ma la vicenda di una persona concreta, che si dona a noi e si offre al Padre per noi. E’ un mistero che si rinnova nel dono di un pane spezzato. Gesù spezza il pane per significare il dono totale di sé, ma anche perché tutti godano di quel pane. Nell’Eucaristia ci sono tutto l’amore e la condiscendenza di Dio per l’uomo e, nel contempo, il ringraziamento e la benedizione dell’uomo verso Dio. Tutto accade in Gesù, vero Tempio.
Concludo ribadendo le tre parole che ci stanno accompagnando in quest’anno eucaristico. L’Eucaristia è presenza. Se fossimo veramente convinti di questo, vivremmo questo momento storico con molta serenità e altrettanto coraggio.
L’Eucaristia è azione. Gesù non è immobile nel Tabernacolo come in una cassaforte: agisce, opera, “tocca”.
L’Eucaristia è autodonazione. Gesù non ha compiuto il dono di sé solo nell’Ultima Cena, continua sempre a donarsi, perché è nell’eterno.
L’Eucaristia è autodonazione di Cristo, che è sacramento dell’incontro con Dio. Dio si dà in Gesù, noi in Gesù possiamo salire a Dio.

Diario della Visita ad limina – 25/26 febbraio

FAMILIARITÀ E UNIVERSALITÀ DELLA CHIESA
25/26 febbraio 2024

Visita ad limina apostolorum: al di là delle parole sono chiamato a rinnovare la fede cattolica, a fare memoria degli apostoli di cui sono successore, a rinsaldare l’unità col Vescovo di Roma, il Papa, che presiede alla carità nella Chiesa.
Mi attendono ben sette giorni di incontri ai massimi livelli in Curia Romana: più di dieci Dicasteri o Uffici centrali. Ogni Vescovo, con i suoi collaboratori, si presenta con una relazione scritta sullo stato della Diocesi mettendo a confronto i dati di dieci anni prima (di per sé la Visita ad limina avverrebbe ogni cinque anni). Ci aspettano giorni di fraternità fra noi quattordici Vescovi o, come si dice propriamente, di collegialità episcopale.
Sono partito da Pennabilli col desiderio di portare tutti con me al centro della cristianità, sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo. Mi sento davvero piccolo davanti alla Chiesa universale, ma ho l’entusiasmo di “tirare la volata” per la mia gente in un rinnovato slancio di fede. Parto con ancora negli occhi il grande cerchio degli Scout sammarinesi che si sono dati appuntamento per la Giornata del pensiero: erano tantissimi, accompagnati dai loro Capi. Ho preso la parola e raccontato loro la cosa più semplice e più comune: il Segno della Croce, un segno inclusivo che unisce chi accoglie Gesù, un abbraccio della Trinità d’amore, una benedizione tracciata sul cuore, sulla mente e sulle braccia.

È domenica pomeriggio, 25 febbraio, mi affretto a preparare la valigia. Ci hanno detto di portare l’abito per le cerimonie e le vesti liturgiche. Come farci stare tutto?
Durante il viaggio – mi accompagnano Paola e Massimiliano – si riposa, si prega, si fa un po’ di lavoro d’agenda e soprattutto ci si prepara interiormente all’incontro con Papa Francesco, fissato per l’indomani di buon mattino.

26 febbraio: primo appuntamento con i Vescovi dell’Emilia Romagna sulla tomba dell’apostolo Pietro. Si comincia così: Messa e solenne professione di fede nelle Grotte Vaticane. Stiamo risalendo per l’incontro col Papa, sono emozionato. Ci raggela la notizia che il Papa non può riceverci: le informazioni sono un po’ imprecise e questo fa più male. Poi finalmente un chiarimento: il Santo Padre è solo stanco. Ci premuriamo di informare chi ci segue da casa e si prepara al pellegrinaggio per l’Udienza Generale del mercoledì. Non resta che uscire per una buona colazione, un giro in libreria e la registrazione del FlashdiVangelo, niente meno che in un angolo di piazza San Pietro.

Il pomeriggio è piuttosto impegnato. Siamo convocati al Dicastero della comunicazione. Il Prefetto introduce. Mi aspetto sia un importante Cardinale, invece no: è un laico che proviene dalla carriera giornalistica ed è attorniato da collaboratori e collaboratrici. Rivolgendosi a me, dopo la presentazione, mi dice che conosce bene il direttore della RTV sammarinese, il dottor Vianello. Prometto di portare i suoi saluti. Dopo l’introduzione del Prefetto, mons. Giovanni Mosciatti (Imola) legge una relazione introduttiva, a cui segue il racconto dei nostri piccoli-grandi sforzi nel campo della comunicazione. Il Prefetto ci spiazza: la comunicazione non si gioca tanto con le TV, i giornali (decisamente in crisi), i social, ma sulla capacità di tessere relazioni. E la Chiesa – aggiunge – ha in sé gli strumenti per fare comunicazione: sono le persone delle nostre comunità. I social e le altre forme di comunicazione cambiano continuamente. Occorre rendere tutti responsabili nel fare rete, a servizio del Vangelo. Un invito: coinvolgere i giovani e… i ragazzi.

L’incontro si prolunga. Non è assolutamente formale. Davanti a noi ci sono pannelli che illustrano il cammino della Santa Sede nel campo della comunicazione (dalla foto di Pio XI imbarazzato davanti alle telecamere alle trasmissioni di un Pio XII ieratico, dall’afflato spontaneo di Giovanni XXIII allo sguardo intenso di Paolo VI, dalla comunicazione travolgente di Giovanni Paolo II al parlare diretto di Francesco). Mi piace l’intervento del Vescovo Nicolò (Rimini): sottolinea come le parole di Vangelo debbano calarsi nella vita delle persone. Mons. Douglas (Cesena) invita tutti a ricordare come le notizie cattive fanno un gran rumore, le buone spesso sono sconosciute: val la pena farle girare.

L’incontro si conclude con grande cortesia. Si respira l’universalità della Chiesa, ma anche la familiarità.
Serata tranquilla. Siamo in attesa del pullman che porterà gli amici della Diocesi qui a Roma.

Vescovo Andrea

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Quaresima missionaria: “Adotta un Seminario!”

Comunità e persone singole del nostro territorio di San Marino e del Montefeltro sono celebri per la loro generosità e lo spirito di condivisione: mille ruscelli che vanno ad ingrossare il fiume della carità. C’è chi è coinvolto nel soccorrere le popolazioni provate dalla guerra, c’è chi si mobilita nelle realtà in via di sviluppo. Ma c’è anche chi è sensibile alle necessità di tante famiglie vicine a noi.

Per la Quaresima in corso, l’Ufficio missionario e la Caritas della nostra Diocesi propongono di aiutare concretamente una Chiesa sorella. Si tratta di concorrere alla costruzione di un Seminario destinato alla formazione dei futuri sacerdoti per la Diocesi di Bondo (Repubblica Democratica del Congo). Mi sia consentita una provocazione: ci preoccupiamo per chi non ha i mezzi per una vita dignitosa (guai se non ci preoccupassimo di questo!), ci impegniamo per la promozione umana – ed è ben giusto e necessario – ci disponiamo all’accoglienza verso chi bussa alla nostra porta (un insegnamento dei nostri padri). Si tratta spesso di opere compiute con il coinvolgimento del cuore, con spirito di sentita partecipazione. Opere tutte che il Signore ritiene fatte a sé: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Ma chi pensa all’anima? Chi pensa a sostenere le ragioni del credere? Chi offre con gratuità i motivi profondi della speranza? Chi accende i cuori della carità e fa sentire il perdono di Dio? È l’insostituibile missione del prete. Accade che, dalle nostre parti, ci siano Seminari grandi e attrezzati, ma non ci sono giovani che li abitano, mentre nelle Chiese sorelle nei territori in via di sviluppo vi sono tanti giovani disponibili alla missione, ma non si hanno ambienti per la loro formazione. Ecco come nasce la proposta per questa Quaresima2024: “Adotta un Seminario”!

Agli inizi del cristianesimo vi era una sentita fraternità fra le Chiese. Celebre la “colletta” che san Paolo propose alle comunità della Grecia per la comunità di Gerusalemme…

Invito tutti ad essere generosi. Suggerisco a tutti di “esserci” e concorrere alla preparazione di uomini dedicati al Vangelo ed alla spiritualità: «Non di solo pane vive l’uomo».

Vescovo Andrea

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Per informazioni e per offrire il proprio contributo:

Centro Missionario Diocesano (CMD)

Iban: IT 89 D 08995 68460 000000056419

Via del Seminario 5 – Pennabilli (RN)
Direttore: don Rousbell Parrado
E-mail: rousbelp@yahoo.com
Cell. 338 5765224