Pennabilli (RN), Cattedrale, 19 agosto 2022
Ap 21,1-5a.6b-7
Sal 121
Gv 17,24-26
1.
«Io Giovanni, vidi un cielo nuovo ed una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,1-2).
L’audacia e lo spazio della preghiera consentono di intravvedere l’invisibile: ecco don Lazzaro smarrito, pieno di stupore e finalmente felice, avvolto da questo splendore dell’Apocalisse. Uno “spettacolo” in senso etimologico! Come l’autore del libro sacro egli vede «un grande trono bianco e colui che vi si siede» (Ap 20,11), Dio.
Don Lazzaro piange di commozione e ride, come gli succedeva talvolta quando era tra noi. Ora non può sottrarsi a colui che l’ha amato da principio, l’ha scelto fin da ragazzo e gli ha affidato i tesori della sua casa da dispensare ai fratelli.
Grandezza del ministero sacerdotale e fragilità dello strumento come è per ciascuno di noi presbiteri: ricchi per la grazia che dispensiamo, poveri perché sono parole e gesti non nostri. Di nostro, nulla! Solo le nostre miserie!
Lazzaro, piccolo qui in terra e ora grande nella nuova Gerusalemme. Non più lacrime né lamenti: «Io, dice il Signore, sarò suo Dio ed egli sarà mio figlio» (cfr. Ap 20,12).
2.
Nei Vangeli (cfr. Lc 16,19-31) Lazzaro, protagonista della parabola, viene portato dagli angeli nel seno di Abramo e invocato perché attinga nell’acqua la punta del dito, «cuius una stilla salvum facere totum mundum quit ab omni scelere (una sola goccia di quell’acqua può salvare il mondo intero da ogni male)» (San Tommaso d’Acquino, Adoro te devote, Inno eucaristico). Il ministero di don Lazzaro continua: il carattere sacerdotale è indelebile; ministero in forma diversa, di preghiera e di intercessione.
Nei Vangeli Lazzaro è l’amico di Gesù, ospita con le sorelle Marta e Maria il Signore e siede a mensa con lui (cfr. Gv 12,1; cfr. Lc 10,38-42). La gente, quando vede Gesù piangere per la morte di Lazzaro, sussurra: «Vedi, come lo amava» (Gv 11,36), mentre qualcun altro dei presenti muove una critica pungente: «Costui che ha sanato il cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?» (Gv 11,37).
Il nostro don Lazzaro, «arguto e spassoso, disponibile alla famigliarità», ha svolto il servizio pastorale nelle comunità di Villagrande, Frontino, Maciano e Soanne. Gli ultimi anni, quiescente, li ha trascorsi in casa di riposo. Il suo assillo quotidiano era la Messa, un impegno divenuto gravoso per le manifestazioni di ansia, alle prese col nuovo Messale e i volumi per la Liturgia delle Ore. Grazie a mons. Vicario che l’ha seguito passo passo. Grazie al personale della Cooperativa che l’ha assistito con tanto amore, rispetto e pazienza. Grazie all’accolito Raffaele Guerra che l’ha accompagnato in questi ultimi mesi perché potesse celebrare l’Eucaristia.
3.
In questo momento riuniti davanti alla bara di un fratello presbitero, siamo richiamati alla tipica partecipazione del sacerdote alla celebrazione eucaristica in forza del dono ricevuto (don Lazzaro è stato consacrato il 3 luglio 1960 da mons. Antonio Bergamaschi); tale tipicità si esprime nella presidenza, non per propri meriti o qualità, né per un compito assegnato dalla comunità, ma per l’effusione dello Spirito Santo. Il presbitero viene formato dal suo presiedere l’assemblea che celebra.
Cari fedeli, avete il diritto di poter sentire nei gesti e nelle parole del sacerdote il desiderio che il Signore ha, come nell’Ultima Cena, di continuare a mangiare la Pasqua con noi. Il Risorto è dunque il protagonista.
Il presbitero stesso è sopraffatto da questo desiderio di comunione che il Signore ha verso ciascuno: è come se fosse posto in mezzo tra il cuore ardente d’amore di Cristo e il cuore di ciascuno di voi, oggetto del suo amore. Vedeteci così, cari fratelli, circondati di infermità e tuttavia immersi nella fornace dell’amore di Dio (cfr. Papa Francesco, Desiderio desideravi, Lettera Apostolica 2022).
Cari sacerdoti, la celebrazione stessa ci educa a questa qualità di presidenza. Chi presiede lo faccia con l’umiltà di chi serve. Non rubi la centralità dell’altare, segno di Cristo, dal cui fianco squarciato scaturiscono l’acqua e il sangue fonte dei sacramenti della nostra fede.
Nell’accostarci all’altare per l’offerta siamo educati all’umiltà e alla conversione: «Umili e pentiti accoglici, o Signore: ti sia gradito il nostro sacrificio che oggi si compie dinanzi a te». Con la prece eucaristica – nella quale anche i battezzati partecipano con riverenza e silenzio e intervenendo con le acclamazioni – chi presiede ha la forza, a nome di tutto il popolo di Dio, di «ricordare» al Padre l’offerta del Figlio suo, perché quel dono immenso si renda presente sull’altare. A quell’offerta partecipiamo, cari sacerdoti, con l’offerta di noi stessi. Non possiamo narrare l’Ultima Cena senza esserne partecipi. Non possiamo dire: «Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi» e non vivere lo stesso desiderio di offrire il proprio corpo, la propria vita per il nostro popolo. Vita santa, senza ambiguità, sforzo per migliorare la propria umanità e il proprio carattere, contegno appropriato dentro e fuori noi stessi…
4.
Noi presbiteri con le parole dell’offerta e della consacrazione, e voi fratelli con la proclamazione dell’Amen che suggella la grande dossologia: «Per Cristo, con Cristo e in Cristo», formiamo insieme una comunità eucaristica. Elemento fondante la comunione è Gesù tra noi: «Padre Santo, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io» (Gv 17,24). Voglio «che l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro» (Gv 17,26). Nella preghiera sacerdotale, di cui è stato proclamato un breve tratto dal diacono, Gesù sembra ingaggiare un gioco d’amore, una trama di relazioni: «Tu in me e io in te…», «loro in noi e noi in loro…». «Uniti perché il mondo creda» (Gv 17,21). Nessuno stia soltanto a guardare questo gioco d’amore, magari col pretesto della propria inadeguatezza. Don Lazzaro ora vede chiaramente tutto questo: con lui e tra noi una comunione vissuta, riprogrammata e rinnovata, tema del nuovo anno pastorale 2022/23.
Concludo con qualche riga di una vecchia canzone nella quale si allude alle vicende del cuore alle prese con desideri e delusioni, con slanci e cadute, un cuore di nuovo pronto a ricominciare.
«Sempre riaccendo il mio lume, sempre si spegne; perché?
[…] Volevo offrirti dei doni, un vaso colmar di virtù,
ma sempre vuoto è il mio vaso, è sempre spoglia la casa.
Prendi, Signore, il mio nulla, quel che io sono ti do.
Come un bambino che piange, poi guarda in alto e sorride…
Come in un gioco d’amore.
Vengo, continuo a giocare: questo mi basta perché,
so già che tu vincerai, solo m’importa d’amare […].
In questo istante so amare, cogli, Signore, questo fiore…
continuo il gioco d’amore».
Così sia.