Omelia nella XXIX domenica del Tempo Ordinario

Pennabilli (RN), Santuario B.V. delle Grazie, 16 ottobre 2022

Es 17,8-13
Sal 120
2Tm 3,14-4,2
Lc 18,1-8

Per due settimane avremo come tematica e come proposta di vita la cura della preghiera. Gesù, nel bel mezzo di un discorso escatologico (discorso sulle “cose ultime”, là dove arriva il disegno di Dio), inserisce una catechesi sulla preghiera: «Dovete pregare sempre senza stancarvi». Poi fa un discorso che può essere interpretato secondo due prospettive, una più ampia e una più intima, personale. La prima prospettiva è la seguente. I cristiani dicono: «Il Signore è venuto! È la parusia: con Gesù Risorto tutto è compiuto, ma non ancora completamente manifestato. Il Signore ritornerà». Sono già passati tanti anni – forse cinquant’anni quando Luca scrive – ma il ritorno di Gesù, lo splendore della sua regalità, ancora non si vede. Molti discepoli cominciano a stancarsi, a perdere la tensione verso Gesù. Anche le loro preghiere, un tempo fervorose, si “spengono” pian piano. Sono in difficoltà a causa del “ritardo del Signore”. Allora Luca racconta una parabola di Gesù che viene a proposito. I protagonisti sono due: un giudice di iniquità, che non ascolta, non prende sul serio le cause dei poveri, e una vedova che insiste per ottenere giustizia (Luca parla spesso delle vedove nel suo Vangelo). La bellezza dell’azione della vedova è che non molla, non lascia nulla di intentato, fino al punto che il giudice dice tra sé: «Questa vedova mi sta estenuando; non m’importa nulla di lei, ho già i miei clienti che pagano bene… ma se non le do retta mi fa un occhio nero (questa la traduzione letterale dal greco)». Con questa parabola è come se Gesù dicesse: «Siete una comunità affannata, che subisce le persecuzioni, con tanti problemi, vi potrebbe succedere di perdere l’entusiasmo. Invece, dovete avere fiducia, perché se un giudice di iniquità ha esaudito la povera vedova, figuriamoci se Dio non vi viene incontro e non lo fa prontamente». Il messaggio è per quella situazione, ma anche per noi oggi; anche noi viviamo situazioni di limite e di prova, sia a livello mondiale che nazionale, sia anche nell’esperienza di Chiesa: non dobbiamo perdere l’entusiasmo. Gesù vede, ascolta, sa. Se ascolta il giudice di iniquità, figuriamoci se non ascolta Lui!
Il secondo messaggio, più personale, di Gesù, tiene conto del contesto escatologico, in cui Dio è giudice, ma non un giudice di iniquità. Gesù vuole, se ce ne fosse bisogno, scalzare questa idea di Dio che tante volte abbiamo dentro di noi, l’idea di un Dio-giudice che non ascolta, che è più propenso verso chi è ricco piuttosto che alla povera vedova, un Dio severo, lontano, che si disinteressa al nostro grido. Qualche volta questo è il nostro pensiero su Dio, forse per l’educazione ricevuta. La condizione della vedova è anche la nostra: siamo tutti, in qualche modo, nella vedovanza. La vedova è una che ha perso la ragione della sua vita, la bellezza della sua esistenza. Allora Gesù dice: «Ricordatevi bene che io non sono quel giudice che forse immaginate; al contrario io vado di corsa verso di voi per soccorrervi; vi sono vicino». Torna il grande discorso della preghiera: «Non stancatevi di pregare, pregate sempre senza cessare…». Ciò sembra in contraddizione col Vangelo di Matteo in cui è scritto: «Non sprecate parole quando pregate, non fate come i pagani…» (cfr. Mt 6,7). Gesù intende dire che la preghiera continua è vivere alla sua presenza. Abbiamo la grazia di poter vivere questa dimensione della preghiera praticando “la Parola di vita”. Abbiamo bisogno di alfabetizzarci con la Parola, anche prendendo una frase alla volta: «Ogni scrittura è divinamente ispirata» (2Tm 3,16), è Dio che parla.
Concludo con un racconto dei padri del deserto. Un discepolo va dal maestro di preghiera e gli chiede: «Insegnami a pregare. Come faccio per raggiungere il vero raccoglimento?». Il maestro risponde: «Vedi queste montagne. Dove si raccolgono le acque? Giù in valle, nel profondo. Quindi ti dico di andare in profondità». Il discepolo obietta che ha saputo di un suo compagno che ha posto la stessa domanda e il maestro gli ha risposto che doveva salire sul monte, andare in alto, nella solitudine e negli spazi infiniti. «Allora devo andare in profondità o in alto?», replica il discepolo. Il maestro lo guarda e dice: «C’è un luogo dove la profondità e l’altezza si combinano? È il momento presente». Nel momento presente vai in profondità e c’è il raccoglimento totale; nello stesso tempo il momento presente è la vetta; è proprio lì, nel momento presente, che devi essere una cosa sola col tuo Signore: vivere il Vangelo nel momento presente.

Roverino CUP Diocesi

La “Roverino Diocesi Cup” è ormai diventata un appuntamento fisso ed è segnata col cerchietto rosso da parte di tutti i giovani del nostro territorio, che non vedono l’ora di passare un pomeriggio di festa ed amicizia, senza però rinunciare a quel sano agonismo necessario ogni volta che si partecipa a questo evento, con tutte le squadre che puntano a portarsi a casa l’agognata coppa da mettere in bella mostra nella propria saletta parrocchiale.

Quest’anno la data prescelta dalla Pastorale Giovanile, che cura l’organizzazione della giornata, è il 16 ottobre e dopo che l’anno scorso la competizione si è tenuta in Repubblica (per la precisione a Murata, nella sede dei Salesiani) quest’anno sarà nella Valmarecchia, al “Torricella Stadium”. Per chi non avesse mai sentito parlare di Roverino, è un gioco nel quale i componenti di una squadra hanno l’obiettivo di passarsi una corda chiusa a cerchio e lanciarla affinché si infili in un bastone, tenuto in mano da un compagno posizionato nell’area situata alla fine del campo avversario. Ovviamente, al termine del tempo stabilito chi ha più punti vince la partita.

Le sfide sono molto sentite, dato che si “accende” molto campanilismo grazie al fatto che ogni Parrocchia può schierare la propria squadra (anche di più per quelle realtà che hanno al proprio interno più gruppi giovanili: ad esempio Novafeltria si presenta solitamente con la squadra dell’Azione Cattolica e quella degli Scout). La competizione rende frizzante la giornata tra incontri all’ultimo lancio e spareggi finali. Il tutto si conclude con la consegna del roverino d’oro al giocatore che più si è distinto durante le partite.

Come in tutti gli incontri organizzati dalla Pastorale Giovanile al centro però c’è la voglia di incontrarsi, di divertirsi insieme e riconoscersi fratelli nella fede, abbattendo la distanza geografica e le diversità date dal gruppo di appartenenza: quale modo migliore se non giocando insieme?!

Anche quest’anno non esitate a creare la vostra squadra, indossare una maglietta colorata per distinguervi e dare il via al gioco, in ogni caso la merenda è assicurata!

Simon Pietro Tura

Nel X anniversario di don Agostino Gasperoni

Il 12 marzo 2012 don Agostino Gasperoni entrava nel definitivo di Dio, dopo un lungo percorso di malattia vissuto con fede e speranza. Presbitero della Chiesa di San Marino-Montefeltro, parroco della parrocchia di Santa Maria Maddalena e docente di Sacra Scrittura presso l’Istituto Teologico Marchigiano e l’ISSR “A. Marvelli”, ha acceso un debito grande di riconoscenza presso la nostra comunità accademica-formativa.

Tra i suoi primi fondatori e sostenitori, ha ricoperto presso l’Istituto “A. Marvelli” anche ruoli direttivi per diversi anni, diventando una delle “colonne” portanti della sua architettura. Per oltre trent’anni don Agostino ha servito con impareggiabile dedizione e fedele premura questo piccolo “vivaio” della formazione teologica e spirituale delle nostre Chiese. È stato davvero decisivo ed esemplare il contributo da lui offerto alla crescita della conoscenza biblica, in termini scientifici e nondimeno nella sua declinazione pastorale e spirituale, come pure all’educazione del rapporto con la Parola di Dio dentro la vita della Chiesa. Egli ha consegnato a diverse generazioni di laici, diaconi, seminaristi e religiosi, un rigoroso criterio metodologico di studio della Bibbia, insieme all’amore, la passione e l’arte della relazione ecclesiale e personale di amicizia in Cristo mediante la sacra Scrittura. Nel corso degli anni, molti di noi hanno gustato la bellezza e la faticosa dolcezza dell’incontro con il Dio biblico e con la storia della salvezza grazie soprattutto alla competenza e alla passione di questo nostro maestro e fedele amico, umile, esigente e amorevole, che riusciva a tenere insieme in modo armonico fermezza e dolcezza, rigore interpretativo e premurosa attenzione alla persona.

In occasione del decimo anniversario della morte di un così caro amico e collega, il nostro ISSR interdiocesano “A. Marvelli” vuole riconvocare la figura di don Agostino Gasperoni, fedele seguace della amatissima Parola “spezzata”, secondo questo duplice versante – teologico/accademico e teologale/pastorale. Nel luogo costituito dalla sua esistenza intera essa si è infatti data come premurosa seminagione e condivisione, in una dedizione senza limiti, con generosità e gratuità senza calcolo e misura, neppure di tempo. Desideriamo dunque onorare con sentimenti di gratitudine il debito verso lui contratto facendo quello che la Scrittura ci comanda: ricordare e narrare.

Si svolgerà pertanto

Nella memoria di Lui
don Agostino Gasperoni – uomo biblico
mercoledì 26 ottobre 2022ore 18
Maria Annunziata della Scolca (S. Fortunato)

Programma:

  • ore 18,00: Celebrazione eucaristica presieduta da Mons. Andrea Turazzi, Vescovo di S. Marino-Montefeltro e Vice-moderatore dell’ISSR.
  • a seguire (ore 19,00 circa): la memoria dell’uomo biblico Agostino Gasperoni, secondo un duplice versante formativo – accademico, grazie al profilo tracciato dal prof. Luca Spegne (ISSR “A. Marvelli” e STM); spirituale, secondo il ricordo di Elisabetta Manuzzi (Caritas Rimini).
  • Momento conviviale (ore 20.15 circa): un buffet offerto a tutti i convenuti, presso i locali del Seminario Vescovile.

Per informazioni ed opportuna prenotazione contattare la segreteria organizzativa dell’ISSR: 0541.751367, segreteria@isrmarvelli.it.

“Leone, il santo dalmata. Storia, memoria e culto”

E’ stata pubblicata di recente una monografia di Studi montefeltrani dal titolo: “Leone, il santo dalmata. Storia, memoria e culto” a cura del prof. Roberto Monacchi.
Sabato 29 ottobre alle ore 15:30, nella Cattedrale di San Leo, si terrà la presentazione del volume.
Saranno presenti gli autori con la moderatrice Cristina Ravara Montebelli. Saluto del Vescovo Andrea Turazzi.
È una nuova e opportuna occasione per approfondire la conoscenza del Santo Patrono della nostra Diocesi.
Siamo tutti invitati

Iscrizioni all’Istituto di Scienze Religiose “A.Marvelli”

Sono gli ultimi giorni utili per iscriversi all’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli” (Istituto Teologico delle Diocesi di Rimini/San Marino-Montefeltro).
È una grande opportunità in vista di una Laurea spendibile non solo nell’insegnamento di Religione Cattolica nelle scuole italiane e sammarinesi, ma in altri ambiti (giornalismo, turismo religioso, consulenza etica, ecc.).
Per molti, al di là del riconoscimento accademico, è un percorso che qualifica la propria formazione teologica anche in vista di un servizio pastorale tanto necessario nell’oggi della nostra Chiesa.
Anche quest’anno è consentita la presenza online in quasi tutte le discipline: non una scorciatoia, ma un aiuto per chi è molto lontano da Rimini e per chi avrà modo di dedicare più tempo allo studio personale.
Propongo. Caldeggio. Raccomando. Questo messaggio è per tutti. Anche per chi è in ricerca e si pone domande.
Per informazioni e dettagli: https://www.issrmarvelli.it/servizi-agli-studenti/iscrizioni/

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

Offerta formativa

Laurea in Scienze Religiose

Scuola di Alta Formazione in Arte Sacra e Turismo Culturale Religioso

Corso di Alta Formazione in Dialogo interreligioso e Relazioni internazionali

Percorso di Teologia Pastorale

 

Omelia nella XXVIII domenica del Tempo Ordinario

Miniera (RN), 9 ottobre 2022

Sante Cresime

2Re 5,14-17
Sal 97
2Tm 2,8-13
Lc 17,11-19

Inizio con alcune premesse che servono alla nostra meditazione. Prima premessa: chi erano i samaritani? I samaritani erano un piccolo popolo all’interno della Palestina, composto di persone “trapiantate”. Durante l’occupazione assira della Palestina – siamo nell’800 a.C. – furono portati via da Gerusalemme il re, i ministri, le persone di cultura e vi furono importati degli stranieri, quasi una colonia. I samaritani erano “meticci”, essendosi uniti con i pochi ebrei rimasti nelle campagne, poi non praticavano il culto a Dio secondo la liturgia del tempio. I samaritani erano ritenuti eretici, pertanto erano disprezzati, odiati…
Seconda premessa. Nel Vangelo di Luca tutti i racconti, le parabole, i miracoli compiuti da Gesù si trovano nei primi otto capitoli; dal capitolo 9 in poi viene raccontato il viaggio che Gesù fa verso Gerusalemme. Gesù non va a Gerusalemme da turista o da pellegrino; è consapevole che là devono compiersi i giorni della sua morte e risurrezione. Alla fine del capitolo 8 si dice che Gesù «indurì la sua faccia» e si incamminò decisamente verso Gerusalemme. Lungo la strada, Gesù ci fa capire, e ha fatto capire ai Dodici e ai discepoli che lo seguivano, che la sua è una strategia di ingresso (anche Gesù aveva una strategia pastorale!). Gesù va per le strade, si ferma nei villaggi e nei piccoli borghi. Non fa come alcuni gruppi spirituali del suo tempo che si ritiravano dalla città e avevano preso dimora nel deserto di Giuda: abitavano nelle grotte, avevano costruito dei monasteri, avevano in programma di fuggire il mondo e aspettavano la Gerusalemme celeste. Si chiamavano Esseni. Al tempo di Gesù c’erano anche gruppi di fervorosi che, in nome di Dio, si armavano per contrastare i pagani, perché l’origine dei mali – dicevano – era la presenza in Palestina dell’Impero Romano. Gesù non apprezza la loro strategia di aggressione.
Il programma di Gesù è un programma di incontro, di vicinanza, di prossimità, dunque di ingresso. Nella pagina evangelica appena proclamata, Gesù, prima di entrare nel villaggio, passa accanto ad un lazzaretto dove vivono dei lebbrosi, emarginati ed esclusi per motivi igienici e religiosi. Da lontano gridano: «Gesù, Maestro, abbi pietà di noi», così come noi preghiamo all’inizio della Messa: «Kyrie, eleison» (sono stati loro i primi a cantare così!). La lebbra era ritenuta una malattia “maledetta”. Un lebbroso è un morto che cammina; la necrosi avanza in tutto il corpo, il volto si sfigura… Gesù li ascolta e si avvicina. Dobbiamo immaginare che quei lebbrosi siamo noi e la nostra umanità di oggi, bisognosi di purificazione. Gesù si ferma, li guarda, li accoglie; fa loro una proposta quasi incomprensibile: «Andate in città e presentatevi ai sacerdoti». Si fidano. Sono ancora ammalati e si mettono in cammino; mentre camminano, succede a loro come ai discepoli di Emmaus: guariscono. Immaginate la loro gioia! Corrono. Cantano. Finalmente possono riabbracciare (un lebbroso non poteva toccare nessuno). Abbiamo provato qualcosa di simile con il Covid… Molti di noi non hanno potuto abbracciare i loro cari ammalati.
Uno dei lebbrosi torna indietro per ringraziare Gesù. Lui che aveva cantato l’atto penitenziale, kyrie eleison, ora intona il Gloria. Il lebbroso interrompe il viaggio verso la città per andare dove lo porta il cuore: da Gesù. Torna sui suoi passi: è il dietrofront dell’amore. Canta per la strada, si butta ai piedi di Gesù, dice grazie per il dono non meritato della guarigione. L’evangelista Luca sottolinea che l’unico che è tornato indietro è un samaritano: emarginato perché lebbroso ed emarginato perché samaritano, però è l’unico che prende questa iniziativa e vuole guardare Gesù negli occhi. Quei nove hanno fede in Gesù – sono guariti! –  ma il decimo ha qualcosa di più: il desiderio di guardare Gesù, di essere in intimità con lui, vuole amarlo.
Dico a ciascuno: «Il Signore aspetta proprio te, perché ti ama immensamente». Vorrei fiorisse nel cuore la preghiera di riconoscenza, anche con parole nostre, anche solo con uno sguardo.
Mettendo in evidenza il samaritano, Luca voleva incoraggiare la missione. Dopo la risurrezione, gli apostoli e i discepoli sono andati in tutto il mondo ad annunciare il Vangelo di Gesù. Anche ai pagani. Luca dice che i pagani possono dare risposte inimmaginabili. È, dunque, uno sguardo ottimista sulla missione. A volte, in parrocchia, capita di perdersi d’animo e di non voler seminare temendo di non raccogliere. Luca incoraggia a spargere la semente dappertutto. A questo racconto darei questo titolo: «Storia di un samaritano riconoscente». Questa settimana invito a ricordare la parola “grazie”, da rivolgere al Signore e alle persone che vivono accanto a noi. Così sia.

Omelia nella XXVII domenica del Tempo Ordinario

Ponte Cappuccini (PU), 2 ottobre 2022

Sante Cresime

Ab 1,2-3;2,2-4
Sal 94
2Tm 1,6-8.13-14
Lc 17,5-10

Le prime due letture appena proclamate preparano alla lettura del Vangelo: pongono la domanda fondamentale che riguarda il più giovane fra noi fino al più grande: che cos’è la fede? Serve la fede? È necessaria per la vita? Emergono tre pensieri.

  1. Il primo pensiero è una provocazione: cos’ha a che fare la fede con i problemi enormi e le sofferenze grandi che ci troviamo a vivere? La Prima Lettura è di Abacuc, un antico profeta. Da lui parte un grido di dolore, una vera e propria imprecazione verso Dio. È un santo in collera con Dio, in difficoltà con la sua fede perché Gerusalemme è stata distrutta e le popolazioni attorno a Gerusalemme sono annientate. Abacuc dice testualmente: «Signore, imploro aiuto e non mi ascolti; a te alzo il grido “Violenza!” e tu non salvi? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione?». Che coraggio! Prendere Dio per il collo e dire: «Che fai?». È una provocazione per la fede. Ai ragazzi che stanno per ricevere la Cresima ho confidato, durante un incontro, che ho avuto periodi della vita, uno in particolare, in cui sono stato in difficoltà con la mia fede. «Dove sei Signore? Cosa fai? Signore, resti spettatore?», mi chiedevo. La fede è interpellata dai nostri dubbi. Pensate che dovrei dirvi solo certezze? No, vi dico la domanda perché mobilita la mente e il cuore. Bisognerebbe che andassimo a casa tutti con la domanda (se uno si pone la domanda vuol dire che prende sul serio la fede, e che la fede per lui non è solo una cerimonia…).
  2. Il secondo pensiero: la fede va custodita, perché la si può perdere, oppure la si può tenere talmente sotto la cenere che pian piano si spegne. Allora bisogna soffiare sulle braci e, appena riappare una fiammella, mettere alcuni tizzoni di legna. Racconto un’esperienza. Quando studiavo all’università a Bologna, avevo un professore che era molto apprezzato in Italia (era un opinionista del Corriere della Sera, cattolico). Questo professore venne chiamato dal Presidente del Consiglio per una consulenza; era, infatti, un famoso economista. Al termine della riunione il professore si alzò in piedi, salutò e, mentre era sulla porta, il Presidente lo richiamò e gli disse: «Se lei sapesse come la invidio…». Non era per l’età (il professore era molto giovane) o perché era un grande economista, ma per la fede che avrebbe voluto avere anche lui. Un altro episodio. Nel capitolo XXIII dei Promessi Sposi l’Innominato è sconvolto nel vedere la forza e il coraggio di Lucia Mondella, la ragazzina insidiata da don Rodrigo. È tormentato e si fa tante domande sulla fede. Dopo una notte insonne sente suonare le campane (abitava nel suo castello) e vede tanta gente che arriva alla chiesetta del paese. Quel giorno c’è il Cardinale di Milano; allora va, vorrebbe parlare con lui. Rompe ogni indugio, chiede il colloquio. Il segretario dissuade il Cardinale dall’incontrare l’Innominato, spiegando che è un delinquente. Invece, il Cardinale gli va incontro e lo abbraccia. L’Innominato si ritrae… Il Cardinale gli dice: «Ero io che avrei dovuto venire da te, invece tu sei venuto da me; ero io che avrei dovuto portarti la pace di Dio». Allora l’Innominato sbotta: «Dio, Dio, se lo vedessi, se lo sentissi!». Il Cardinale replica: «Dio è quel tormento che ti lascia inquieto, che ti mette in cammino…». L’Innominato si sente capito e amato e si converte.

Ecco, vengo a dirvi che quel tormento che sentiamo dentro è proprio Lui che bussa al nostro cuore.

Quando la Bibbia parla del mare, lo pensa come qualcosa di terribile e terrificante, paragonabile al male. Eppure, Gesù dice: «Se aveste fede come un granello di senape (il più piccolo dei semi), voi potreste dire ad un gelso (una pianta presente in Palestina, famosa per le sue radici, ramificate e profonde) “sradicati e vatti a trapiantare nel mare”». Gesù usa questa immagine che è paradossale per dire: «Se tu hai fede, puoi affrontare anche le cose impossibili». Al profeta Abacuc risponderebbe: «Stai tranquillo, abbi pazienza, io ci sono. Non venirmi a chiedere bacchette magiche, ma sono con te nella prova e ti farò resistere».

  1. Il terzo pensiero: la fede va testimoniata. Mi riferisco alla Seconda Lettura. Cari ragazzi, con la Cresima il Signore vi darà uno spirito di forza, non di timidezza. Un mio alunno aveva fatto il proposito, durante il mese di maggio, di dire il Rosario tutti i giorni; una mattina, a scuola, mentre era alla lavagna, tirando fuori il fazzoletto, gli uscì la corona dalla tasca… I compagni iniziarono a deriderlo, ma lui rispose con tranquillità: «Sì, vado in chiesa, non si può?» Dimostrò a tutti di avere personalità, di essere un ragazzo in gamba. Al posto della derisione si guadagnò la stima di tutti. Ma quello che importa è che è stato testimone coraggioso della fede.

Avere fede. Conservare la fede. Testimoniare la fede.

Omelia nella XXVII domenica del Tempo Ordinario

Macerata Feltria (PU), 2 ottobre 2022

Sante Cresime

Ab 1,2-3;2,2-4
Sal 94
2Tm 1,6-8.13-14
Lc 17,5-10

Il tema delle tre letture è la fede.
Ho avuto un giovane professore che era un celebre economista, cattolico. In quel periodo in Italia c’era un “governo tecnico” guidato da un “laico”. Il professore ci raccontò in classe che era stato chiamato dal Presidente del Consiglio per le sue competenze. Alla fine del colloquio, mentre si congedava, il Presidente gli confidò la sua invidia: non era per la giovane età del professore, ma per la sua fede. Quante persone ci invidiano questo tesoro!
Voi ragazzi pensate di avere tutta la vita davanti, pensate di essere belli, simpatici, forti, intelligenti… Talvolta, inspiegabilmente, può succedere di sentire una grande malinconia. L’adolescenza è il periodo delle grandi domande, anche sulla fede. A me capitò di non avere il coraggio di confidarmi; non erano argomenti che volevo trattare con i miei genitori e non mi sentivo di parlarne neppure con il mio padre spirituale. Man mano che si va avanti nella vita si fa l’incontro con il dubbio, ci si pone in prima persona davanti alle grandi domande dell’esistenza. Se poi in famiglia capita una disgrazia, ci si chiede il perché della sofferenza e del dolore innocente…
La Prima Lettura che è stata proclamata è un testo del 600 a.C. Il profeta Abacuc critica Dio con un certo coraggio: «Ecco il grido “Violenza” e tu non salvi? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione?» (Ab 1,2-3). Il profeta va giù pesante con Dio. Tante volte nei Salmi c’è la preghiera dell’uomo che protesta davanti a Dio. Abacuc, che scriveva nel 600 a.C., aveva visto la violenza delle potenze mondiali di allora, che avevano distrutto Gerusalemme, la città santa, e avevano sterminato popolazioni intere.
Cosa risponde Dio ad Abacuc? Lo incoraggia a mantenere la fede, a pazientare con fiducia nelle prove della vita. Oltre alle guerre, ci sono tante altre disgrazie che accadono: terremoti e alluvioni, anche dentro i cuori. La fede soccorre in queste difficoltà. La fede è un dono, ma anche una decisione. È qualcosa che viene trasmesso, dai nostri genitori, dai nonni, dagli antenati. Basti pensare a questa chiesa: qualcuno l’ha costruita pietra su pietra, con arte, perché ha creduto.
Viene il momento in cui la fede è una nostra decisione personale. Siamo davanti a Gesù. Il suo Vangelo è cosa concreta. Gesù ci dice: «Credi? Ti fidi di me?». Rispondiamo: «Sì, Signore. Mi fido di te perché ho visto che quando vivo le parole del Vangelo si realizzano». Agli apostoli che, come noi, dicono: «Signore, aumenta la nostra fede!», Gesù dà una risposta che sembrerebbe insensata, paradossale: «Se aveste fede quanto un granello di senape…», cioè non è una questione di quantità, ma di qualità, «… potreste dire a questo gelso, sradicati e trapiantati nel mare e vi ascolterebbe». Il gelso è una pianta palestinese famosa per le sue radici, che sono articolate e vanno molto in profondità, una pianta difficilmente sradicabile (ci sono gelsi che hanno radici di seicento anni!). Gesù afferma che la fede è capace di sradicare un gelso e addirittura di trapiantarlo nel mare. Alberi trapiantati nel mare non se ne vedono… Gesù usa un’iperbole per dire una cosa forte: la fede è capace di compiere l’impossibile.
La Bibbia parla varie volte di alberi o legni nel mare. Ad esempio, l’arca di Noè, la barca di Gesù e degli apostoli durante la tempesta sul lago, l’albero della croce, piantato per terra, ma in verità radicato in un oceano di dolore, di peccato. Nella fede di Gesù quel legno ha trasformato il mare, che per gli antichi è simbolo delle potenze oscure del male. La croce piantata nella fede ha cambiato la situazione.
Ho conosciuto tanti alberi piantati nel mare, persone concrete. Una carissima amica ha lasciato tutto, è diventata una Piccola Sorella di Gesù e ora si trova ad Hong Kong, dove i cristiani sono pochissimi. Vive in un piccolo appartamento e fa la commessa in un supermercato: non fa altro che tessere relazioni per dire che dietro ad ogni rapporto di amore c’è Gesù. Per il resto della giornata prega. Ho conosciuto una mamma della mia parrocchia, che aveva una figlia gravemente disabile (era completamente immobile, respirava artificialmente, muoveva solo i suoi splendidi occhi). La ragazzina si chiamava Fidelia. Quando andavo a trovarla si sentivano le grida gioiose dei ragazzi che giocavano nel cortile della parrocchia. Ho chiesto alla mamma se la infastidivano quelle grida, pensando a sua figlia che invece era immobile nel letto. Mi rispondeva che era felice della presenza dei ragazzi, era felice della loro felicità! A ripensarci mi commuovo ancora. Quella mamma era come un “albero trapiantato nel mare”.
Cari ragazzi, tra poco si compirà su di voi qualcosa di straordinario. Ho parlato di alberi trapiantati nel mare, ma pensiamo agli apostoli, dodici pescatori, impauriti, che quando hanno ricevuto lo Spirito Santo nella Pentecoste sono diventati inaspettatamente coraggiosi. Il libro degli Atti degli Apostoli dice che erano «plebei illetterati» (At 4,13), ma dopo l’effusione dello Spirito hanno cominciato a testimoniare la loro fede in Gesù e hanno avuto l’audacia di presentarsi all’areopago di Atene…
Nel silenzio dite dentro di voi: «Vieni Spirito Santo. Questa mattina ti dico la mia fiducia, mi affido a te. Ho bisogno di te. È un momento importante della mia vita, devo prendere decisioni, devo fare i conti con i sentimenti che esplodono dentro di me, devo decidere ciò che è male e ciò che è bene. Vieni, Spirito Santo».

Omelia nell’ordinazione presbiterale di don Larry Johan Jaramillo Londono

Pennabilli (RN), Cattedrale, 1° ottobre 2022

Ab 1,2-3; 2,2-4
Sal 94
2Tm 1,6-8.13-14
Lc 17,5-10

1.
Ecco, oggi un giovane è eletto al ministero presbiterale, in un tempo di grande prova. La liturgia ci ha fatto ascoltare il grido del profeta Abacuc, un grido che viene da lontano, non ancora spento; viene da cuori che soffrono e gridano: «“Violenza!” e non salvi, Signore?».
Abacuc è testimone degli eccessi commessi dagli invasori che hanno devastato Gerusalemme e massacrato popolazioni (siamo intorno al 600 a.C.). Le immagini delle guerre di oggi ci fanno ben comprendere l’imprecazione e il pianto del profeta. Allo stesso modo profeti e Salmi hanno alzato grida di dolore e richieste d’aiuto. Anche Gesù ha gridato al Padre il suo abbandono durante la Passione. L’eco di queste implorazioni ci insegna come anche noi possiamo riversare davanti a Dio l’onda delle nostre angosce, delle nostre paure e persino delle nostre proteste: «Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti?».
Ma Dio risponde con caratteri indelebili scolpiti sulla pietra. Egli invita ad una fiduciosa e paziente attesa. Manda suoi messaggeri a rincuorare, a fasciare piaghe, ad asciugare lacrime, ad essere accanto ai fratelli nella prova. Questi sono vivi e resistono per la loro fede!
Caro Larry, il Signore ti manda per un ministero di consolazione. Ispirati al “buon samaritano”. Sii uomo di fede.

2.
«Ravviva il dono di Dio che è in te mediante l’imposizione delle mie mani», sono le parole di Paolo a Timoteo. Tra i riti dell’Ordine sacro il gesto principale è l’imposizione delle mani, accompagnato da una preghiera che ne indica la portata.
Questo gesto sul capo di Larry sarà compiuto dal vescovo e da tutti i presbiteri presenti, i suoi nuovi fratelli. La preghiera consacratoria è costituita da una solenne invocazione allo Spirito Santo – una epiclesi – proprio come nella preghiera eucaristica sul pane e sul vino che diventano Corpo e Sangue di Gesù per la vita del mondo. Allo stesso modo sul nulla di Larry si china la potenza dell’Altissimo e Larry sarà trasfigurato. Ma non verrà allontanato dai suoi fratelli, al contrario, è per loro questa sua santificazione. Ricordate le parole di Gesù: «Io per loro santifico me stesso» (Gv 17,19).
Il neoconsacrato non viene innalzato, ma è il Signore che si abbassa su di lui. La sacralità di cui viene rivestito sta tutta nell’essere dono che genera vita. Gesù gli domanda di renderlo visibile per essere sua parola viva per chi è smarrito, suo cuore perché possa manifestare a tutti il suo amore, per essere i suoi piedi per camminare tra i fratelli e le sorelle a cui dare speranza.
Quando Larry tornerà dalla cattedrale, dallo splendore di questa santa assemblea, ne percepiremo il “cambiamento”. Accadde anche agli ebrei quando videro Mosè scendere dal Sinai, ma non dobbiamo vivere questa percezione come disagio.
Se il Signore trasforma non è per staccare, ma per unire. Se il Signore prende e avvolge una persona è per renderla più vicina, più amica, più… Lui!
Se il Signore chiama qualcuno – è il mistero dell’elezione divina – è per risvegliare in tutti la dimensione vocazionale.
Torno alla Seconda Lettura. Timoteo rappresenta i pastori succeduti agli apostoli. Questa successiva generazione di responsabili di comunità non ha conosciuto Gesù prima della risurrezione. Di conseguenza la loro fede si fonda sulla testimonianza degli apostoli, che è “l’insegnamento solido”, il “deposito del Vangelo”.
Caro Larry, è su questa tradizione di fede che dovrai formulare il tuo insegnamento. Per far ciò non sei scoperto e disarmato, perché lo Spirito Santo abita in te! In ogni incontro – anche casuale – lascia un seme di Vangelo. Non esitare per l’aridità del terreno. Non vergognarti di dare testimonianza al Signore. «Custodisci il bene prezioso che ti è stato affidato».

3.
«Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso sradicati e vai a piantarti nel mare».
Le Scritture ci parlano di legni sul mare che hanno reso un servizio veramente utile grazie alla fede. Lo furono, ad esempio, l’arca di Noè, la barca di Gesù e dei discepoli e, soprattutto, lo fu il legno della croce, sì piantato in terra, ma innalzato su un oceano di odio e di peccato. La fede di Gesù nel Padre ha capovolto la situazione. La fede è la forza che Gesù assicura ai discepoli sbigottiti davanti alla missione e agli ideali che propone loro. Loro ne chiedono “di più”: «Aumenta la nostra fede», ma la fede non si acquista “a pacchi”! È questione di qualità piuttosto che di quantità. Ne basta quanto un granello di senape: un seme piccolissimo che rende capaci di cose grandi. Prova decisiva della fede sono le opere del servizio. Attenzione: per Gesù il servizio non è un titolo di credito davanti a Dio. Il vero discepolo non cerca vantaggi per sé, non ha secondi fini. Le opere che nascono dalla fede sono soltanto amore, amore gratuito. Servire, voce del verbo amare.
Nella conclusione della parabola ci stupisce l’espressione usata da Gesù: «Siamo servi inutili, servi qualunque». In verità, Gesù sa che ciascuno di noi è unico agli occhi di Dio. «Inutili» perché non indispensabili. Dio potrebbe fare a meno degli uomini. Ma non lo fa! Dio ci chiama come suoi collaboratori e messaggeri. Per di più non ci chiama come servi, ma come amici (cfr. Gv 15,15). Fa esattamente al contrario del padrone della parabola perché lui stesso in persona ci fa sedere alla sua mensa, quella dell’Eucaristia, e passa a servirci!
Secondo alcuni autori la traduzione italiana del testo evangelico non rende bene l’idea di Gesù e non fa un buon servizio alla comprensione del testo. Nessuno è inutile per il Signore che ha detto per mezzo del profeta: «Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno ti stima e io ti amo» (Is 43,4).

Caro Larry, ripeto anche a te: «Quando cominci pensi al “per sempre”». Ho scritto queste parole aprendo le Sacre Scritture alla prima pagina: «Bereshît bara’ Elohîm (All’inzio Dio creò)» (Gn 1,1). Ogni opera di Dio è eterna, fedele, salvifica. La Parola di Dio ci fa conoscere infiniti eventi di creazione, di liberazione, di salvezza. Lo fa per educarci a comprendere come Dio è sempre all’opera nella nostra vita e come ogni inizio è sotto la sua volontà di benedizione. Il “per sempre” è perché lui ha iniziato in te. Ogni chiamata, ogni giorno, ogni ora, partecipa di quell’inizio: «Tu sei fedele, perché lui è fedele!».
La piccola Teresa di Lisieux, di cui oggi facciamo memoria, ti accompagni e ti sia guida nella “piccola via” della confidenza e dell’amore.
Ricordati di tutti noi, in particolare della tua famiglia, e anche di me, all’Altare del Signore.

Omelia nella S. Messa di Insediamento degli Ecc.mi Capitani Reggenti

San Marino Città (RSM), Basilica del Santo Marino, 1° ottobre 2022

Sap 9,1-6.9-11
Sal 126
Mt 7,24-27

Eccellenze,
Signori Ambasciatori, Autorità, e amici che siete presenti a questa celebrazione, un saluto cordiale.
Nel Primo Libro dei Re si legge che il Signore Dio apparve in sogno durante la notte a Salomone, il grande re d’Israele. Gli disse: «Chiedimi ciò che io devo concederti». Salomone non chiese né una lunga vita, né la ricchezza e neppure la morte dei suoi nemici; desiderava e chiedeva la sapienza. Il Signore Dio gli disse: «Ecco, siccome non hai chiesto nessuna di queste cose, ma un cuore docile e che sa ascoltare, ti concedo sapienza e intelligenza» (cfr. 1Re 3,4-14).
“Sapienza” viene da “sapere”, nei due significati: il significato transitivo, “sapere” qualcosa e il significato intransitivo “sapere di” qualcosa, dunque un sapere che ha sapore.
La Prima Lettura che è stata proclamata si basa sulla preghiera di Salomone. L’autore sa che la sapienza è un dono di Dio, per questo diviene l’oggetto della sua supplica. Due sono i motivi per cui invocare con fiducia questo dono: da un lato il Creatore vuole che l’uomo governi il mondo con intraprendenza e con giustizia (sapienza in riferimento alle decisioni) e dall’altra l’uomo non sembra essere in grado, per la sua debolezza, di realizzare un compito così difficile senza l’aiuto della sapienza (qui la sapienza è avvedutezza).
Il Dio della Bibbia vuole l’uomo come suo impresario e collaboratore; ne ha stima, «l’ha fatto poco meno di un dio» (cfr. Sal 8,6), può contare su di lui, gli affida la creazione e la sua famiglia. Questa la responsabilità dell’uomo: da una parte rispondere a chi lo chiama, dall’altra rispondere di quanto gli è stato affidato. Solo con la sapienza è possibile compiere questa missione.
La sapienza è la risorsa più necessaria, più utile e più desiderabile. Ecco alcune caratteristiche della sapienza secondo il testo sacro.
La sapienza siede accanto al trono di Dio: è famigliarità con Dio. Conosce le opere di Dio: sa vedere il suo disegno d’amore e discernere ciò che gli è conforme. Il testo sacro dice che la sapienza era presente e ordinava la sinfonia della creazione: la sapienza dà gusto e sapore, come il sale, a ciò che l’uomo è chiamato a fare. Ahimè, la sapienza è un valore poco apprezzato nel mondo: siamo frettolosi, sbadati e continuamente scavalcati dagli avvenimenti, pertanto in affanno; siamo condizionati da ciò che è più appariscente, che ci conviene e ci gratifica, insomma siamo tentati dall’egoismo.
Non resta che, come Salomone, invocare la sapienza: «Dammi la sapienza, che siede in trono accanto a te. Le parole con cui il testo sacro descrive la sapienza nel Nuovo Testamento sono riprese e rilette come rivelazione di colui che è il Verbo, il Figlio di Dio, Gesù Cristo: Lui è la Sapienza. Allora ascoltiamolo.
Nella pagina evangelica abbiamo ascoltato come Gesù tracci il profilo di due architetti. Ambedue sono abili costruttori. Hanno a disposizione in egual misura progetti e materiali. A nessuno dei due vengono risparmiate verifiche esigenti: nubifragi, alluvioni, tempeste… Non è così anche nella vita? Non è così anche nella società?
La differenza tra i due sta nell’accortezza e nella sapienza del porre fondamenta. Il primo architetto è sapiente perché costruisce sulla roccia dei valori trascendenti della carità e della verità. Il secondo architetto è stolto: costruisce castelli di sabbia, cioè costruisce sull’immanenza senza spiritualità.
La solidità del cantiere si vede nei tempi duri, ad esempio questi. Allora una società costruita e governata sapientemente reggerà l’urto degli eventi. Per quanto riguarda i “castelli di sabbia” è sufficiente una mareggiata per distruggere tutto!
Ben a ragione abbiamo proclamato nel Salmo: «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori» (Sal 126,1).
«Nel nostro servizio non contano i risultati – diceva madre Teresa di Calcutta – ma quanto amore metti in ciò che fai». Chi non costruisce le relazioni sull’amore non avrà, per questo, una vita più facile o una società senza problemi: «Strariperanno fiumi, soffieranno venti» per gli uni e per gli altri. Il saggio non avrà una vita semplificata, ma un’esistenza nella consistenza, con più gioia, con radici salde che combaciano con la roccia.
«O Signore, dammi la sapienza che siede in trono accanto a te»!