Terremoto: sempre più drammatica la situazione in Turchia e Siria

La Caritas Diocesana di San Marino-Montefeltro, in contatto con Caritas Italiana, segue gli sviluppi del catastrofico terremoto che ha colpito il sud-est della Turchia ed il nord della Siria. Le necessità umanitarie sono enormi. “Manca acqua potabile, elettricità, le vie di comunicazione sono interrotte”: queste le parole del Vescovo Paolo Bizzeti, Vicario apostolico dell’Anatolia e Presidente della Caritas in Turchia.

In tutta l’area colpita dal sisma le condizioni meteo, con neve e temperature sotto lo zero, rendono i soccorsi più complicati.

In Turchia la Caritas, in coordinamento con le autorità locali, sta accogliendo gli sfollati in luoghi sicuri all’aperto. Ha già distribuito 400 coperte e 100 pasti caldi per le persone sfollate a Iskenderun. Presso l’episcopio sono stati messi a disposizione spazi all’aperto che al momento restano i più sicuri.
In Siria, la Caritas locale era già attiva in gran parte del territorio con programmi di assistenza umanitaria, sanitaria e riabilitazione economica. Si tratta di un’area particolarmente complessa che accoglieva già molti sfollati di una guerra che ha ancora focolai di conflitto.

Caritas Italiana ha espresso vicinanza, solidarietà e cordoglio alle Chiese locali ed è in costante contatto con Caritas Turchia, Caritas Siria e la rete Caritas Internazionale per sostenere l’organizzazione degli aiuti ed il coordinamento. Grazie al contributo della Conferenza Episcopale Italiana è stato predisposto un primo stanziamento di fondi per il sostegno degli interventi.

Considerata la difficile situazione socio-politica dei territori colpiti, nonché il delicato equilibrio in cui operano le Chiese, è necessario il massimo coordinamento. Si chiede di non effettuare raccolte di beni materiali e di non inviare beni all’estero. La forma di aiuto più opportuna resta la colletta in denaro, sostenendo Caritas Italiana per gli interventi che si stanno attivando in loco.

Per sostenere Caritas Italiana si può effettuare una donazione alla Caritas Diocesana attraverso i C/C seguenti:

Per l’Italia: DIOCESI SAN MARINO-MONTEFELTRO – IBAN: IT59D0306968481100000000471

Per San Marino: DIOCESI SAN MARINO-MONTEFELTRO – IBAN: SM57L0854009805000050188430

la cui raccolta sarà inviata a Caritas Italiana.

Il Direttore Caritas Diocesana
Luca Foscoli

Il Vescovo Andrea ha indetto per sabato e domenica prossima 11/12 febbraio una speciale giornata di solidarietà spirituale e materiale per le persone colpite da questa grave prova da celebrarsi in ogni parrocchia e in ogni chiesa.

Scarica la lettera del Vescovo

Omelia nella Festa di Sant’Agata

San Marino Città (RSM), Cripta di Sant’Agata, 5 febbraio 2023

Sir 51,1-12
Sal 33
1Pt 3-14-17
Mt 10, 28-33

Eccellenze,
carissimi tutti,
le motivazioni di un culto così sentito e affettuoso in San Marino alla vergine sicula e martire Agata sono ben note. Questa festa contiene messaggi importanti per il nostro presente.

1.

Agata è una giovane vergine. Con la sua sola esistenza è testimonianza di un equilibrio che il cristianesimo ha ristabilito: l’uguaglianza fra l’uomo e la donna. Pari dignità. Come fiore in primo sboccio, reciso e offerto all’altare, la vergine canta la grandezza dell’anima umana, fatta per l’assoluto, per il Cielo, quel Cielo in cui saremo non tanto come uomini o donne, ma come angeli. Celebre la pagina evangelica che riporta la disputa di Gesù con i sadducei a proposito della risurrezione dei morti (cfr. Lc 20,27-40). I sadducei presentano la donna come oggetto appartenente ad un uomo. Dicono: «Ben in sette l’hanno avuta in moglie». Ma per il Signore Gesù non è proprietà di nessuno, perché è figlia di Dio. Nel Regno dei cieli nessuno è proprietà di un altro, dal più piccolo al più grande, uomo o donna, siamo uguali agli angeli, ed essendo figli della risurrezione, figli di Dio.
La testimonianza evangelica della vergine ancora oggi deve essere apprezzata, direi quasi prima delle opere sociali. Questo lo era ancora più nei primi tempi del cristianesimo, quando lo stile di vita nuovissimo della vergine costituiva un’irruzione del divino in un mondo in disfacimento.

2.

La vergine Agata è una martire. Le letture del Proprio della nostra Diocesi di San Marino-Montefeltro ci offrono un percorso molto significativo. Come Prima Lettura ci vien dato di rileggere l’epilogo del libro del Siracide. È un canto di lode. La struttura e lo stile sembrano quelli di un Salmo in cui si esprime un ringraziamento personale. Chi ringrazia, paradossalmente, è un orante molto provato, vittima di grandi calunnie, una persona ormai vicina alla morte (si direbbe un martire). La preghiera l’ha salvato, è per questo che ringrazia il Signore. Prima di chiudere il suo libro – il libro del Siracide – afferma che durante la sua vita ha cercato la sapienza percorrendo una strada lunga, difficile, che tuttavia porta davvero alla felicità. Il Salmo che abbiamo cantato insieme riecheggia questo tema: «Ho cercato il Signore, da ogni paura mi ha liberato».

3.

Nella Seconda Lettura Pietro scrive alle comunità dell’Asia Minore, comunità spesso sottoposte a persecuzioni: «Niente e nessuno può fare del male a chi fa il bene. Meglio soffrire per fare il bene che per aver fatto del male». Egli presenta un ideale da raggiungere: essere fieri di affrontare, se necessario, la sofferenza a causa della giustizia. La giustizia ha un prezzo. Di fronte a chi non capisce, contrasta, la fedeltà al proprio credo, ai propri valori, ai propri ideali, si esprime nel «rendere ragione della propria speranza», con dolcezza e rispetto, con le opere più che con le parole. Ed è anche il modo migliore per convincere altri, compresi gli avversari.

4.

Il Vangelo ci parla di un Dio che si prende cura perfino dei passeri e che – ingenuità dell’amore – conta i capelli che abbiamo in testa. Eppure, vorremmo replicare al Vangelo, i passeri continuano a cadere. Fuori di metafora, gli innocenti a morire, i bambini ad essere violati. Gesù rassicura: «Non temete neppure per un passero che cadrà, ma non cadrà senza il volere del Padre vostro». Ma è Dio che fa cadere? È lui che spezza le ali? No. Il Vangelo non dice questo. Assicura, invece, che neppure un passero cadrà a terra al di fuori, all’insaputa, di Dio: questa la traduzione esatta del testo greco. Nulla accadrà nell’assenza di Dio. Dio è presente e tuttavia nel mondo troppi cadono a terra contro il volere di Dio. Penso ad ogni forma di odio, ad ogni guerra, ad ogni ingiustizia. Nulla accade al di fuori di Dio. Egli si china su ognuno, intreccia la sua speranza con la nostra, il suo respiro con il respiro dell’uomo.

5.

«Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo…». Il corpo non è tutta la vita. Lo ritroveremo. Neppure un capello andrà perduto. Sì, desideriamo essere salvati e vogliamo essere salvati interamente, con tutto il nostro mondo, con le nostre relazioni. Lo saremo, perché nulla c’è in noi di autenticamente umano che non trovi eco nel cuore di Dio. L’immagine dei passeri e dei capelli contati, di queste creature effimere, mi riporta ai più fragili tra i fratelli, a quelli che vengono ingoiati dal mare (penso ai profughi), ai disabili, agli anziani, ai malati, penso a chi è disoccupato e si sente inutile… A loro e a noi Gesù ripete: «Non temete, valete di più». Anche se la vostra vita fosse leggera come quella di un passerotto o effimera come quella di un capello, voi valete di più. Mi sembra di dire con sant’Agata, proprio in questa giornata, la “Giornata della Vita” in Italia e a San Marino, in cui si fanno preghiere e si riflette sulla preziosità della vita, questo messaggio, riecheggiando il Vangelo: «Valete di più», non perché producete, lavorate, avete successo, ma perché esistete, ci siete e ci siete nelle mani di Dio. A ciascuno sussurra in modo convincente sant’Agata: «Tu sei amato, voluto». Dio si intreccia con la tua vita e dove tu finisci comincia Lui.

Giornata della Vita consacrata

Oggi, giovedì 2 febbraio, festa della Presentazione del Signore, si celebra la Giornata della Vita consacrata.

In questo anno pastorale incentrato sull’essere “costruttori di comunità” valorizzando doni e carismi, la preghiera per le vocazioni si fa più fervorosa del solito e ci si sente tutti collaboratori nella dedizione per l’evangelizzazione.

Ad ogni comunità è stato chiesto di sottolineare la gratitudine per il dono della vita consacrata, di pregare per i religiosi e le religiose e di rinnovare il proposito di andare incontro, con le luci accese, al Signore che viene nel suo Tempio, con l’adesione alla sua sequela

Alle ore 17 si terrà una solenne liturgia nella Cattedrale di Pennabilli (processione dal Seminario vescovile alle ore 16.45) con la presenza delle nostre religiose e dei nostri religiosi.
La celebrazione sarà trasmessa in diretta sul Canale YouTube della Diocesi San Marino – Montefeltro

https://www.youtube.com/live/BGdzBQvYmTg?feature=share

Scarica la lettera del Vescovo Andrea alle consacrate e ai consacrati

Preghiera insieme per la Vita

Nei lunedì del mese di febbraio (6-13-20-27), in occasione della 35° Giornata Nazionale per la Vita (5 febbraio), l’Azione Cattolica diocesana organizza un momento di preghiera (Compieta) online per la Vita nascente.

Gli incontri si terranno su piattaforma Zoom utilizzando i seguenti codici per il collegamento:

ID riunione: 912 196 8689
Passcode: 25240908

Nuovi percorsi di formazione socio-politica

“Il cristiano si interessa alla realtà sociale e dà il proprio contributo…Il punto di partenza è perciò uscire da sé stessi per aprirsi agli altri e andare loro incontro” (Papa Francesco).
Accogliendo la sollecitazione del Papa, le diocesi di San Marino-Montefeltro e di Rimini insieme propongono venerdì 9 giugno 2023 ore 21.00 presso la Sala Montelupo del Castello di Domagnano una conferenza pubblica sul tema “Cittadini, cittadinanza, democrazia”.
Porteranno il loro saluto:
– S.E. Mons. Andrea Turazzi (vescovo di San Marino-Montefeltro)
– S.E. Mons. Nicolò Anselmi (vescovo di Rimini)
Relatore sarà il Prof. GIOVANNI MORO, sociologo politico, professore associato al Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Sapienza, responsabile scientifico di Fondaca, Fondazione per la cittadinanza attiva, autore di numerose pubblicazioni e saggi sul tema della cittadinanza attiva.

Omelia nella III domenica del Tempo Ordinario

Pietracuta (RN), 22 gennaio 2023

Domenica della Parola

Is 8,23-9,3
Sal 26
1Cor 1,10-13.17
Mt 4,12-23

Prima di partire da casa ho ricevuto un messaggio che mi ha colpito e rincuorato. Vi racconterò! Il brano di Vangelo proclamato oggi è un pezzo forte per chi è in ricerca vocazionale. Ma prima c’è il discernimento che Gesù fa sulla sua vocazione. Insieme alla preghiera e alla lettura delle Sacre Scritture, si è messo in ascolto di Giovanni Battista e si è fatto battezzare da lui; poi è andato nel deserto, quaranta giorni e quaranta notti, nella solitudine in compagnia del Padre: voleva capire cosa il Padre volesse da lui, in che modo dovesse fare il Messia.
Preciso: Gesù non ha mai abbandonato il seno del Padre, ma era anche pienamente uomo: in lui, come ci insegna la nostra fede, è l’unità delle due nature, umana e divina, senza confusione. Come uomo ha dovuto compiere un cammino ed è stato sottoposto alle tentazioni del diavolo.
Ad un certo punto, “la voce che gridava nel deserto”, Giovanni Battista, è stata zittita: Giovanni è stato incarcerato, perché le autorità non ritengono politicamente corretto quello che dice. Dunque, Gesù è venuto da Nazaret, ha ascoltato Giovanni Battista, è stato nel deserto e tutto questo nel territorio della Giudea, dove Giovanni battezzava. Adesso Gesù torna in Galilea. Ma non è una fuga! Gesù non è esente da prove e anche da paure, vive tutta la gamma dei sentimenti umani, ma non è la paura a farlo tornare. «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce»: un incipit solenne. Gesù torna in Galilea per adempiere questa Parola, per compiere la Scrittura. Gesù è la luce che viene nelle tenebre, proprio là, a Cafarnao. Cafarnao era una città di confine, un po’ come certe metropoli in cui si trova di tutto; era abitata da una popolazione meticcia (non era una popolazione ebrea doc). Gesù comincia il suo ministero proprio da lì, “luce che brilla nelle tenebre”.
Permettete questa applicazione del Vangelo alla nostra vita: anche ciascuno di noi ha la sua Galilea… È come se Gesù volesse dirci: «Non ti smarrire, non buttarti via, perché non desidero altro che cominciare da te».
Qual è il messaggio di Gesù? «Convertitevi, il Regno dei cieli è vicino». Il centro della frase è «il Regno dei cieli è vicino», allora convertiti, cioè “girati”, prova a vedere il Regno di Dio nella tua vita: il Signore opera concretamente nella tua vita. Domani parteciperò ad un incontro regionale e dovrò trattare come tema “le costanti del modo di agire di Dio”. Di solito nella vita dei santi, nella vita di noi cristiani, nella vita dei profeti, nella Bibbia ci sono delle modalità ricorrenti attraverso cui Dio è agisce. La fede non è altro che riconoscere Dio all’opera nella nostra vita. Abituarsi a chiedere in ogni situazione: «Signore, cosa mi vuoi dire?». Poi, si può sbagliare nell’interpretare la risposta, a parte il caso della volontà di Dio significata (i dieci comandamenti, i doveri del proprio stato di vita…). Sapere cosa il Signore vuole da me, cosa mi vuole far capire, è un’impresa: bisogna pregare molto, stare in ascolto, esercitarsi a fare la volontà di Dio significata per abituarsi a preferire e scegliere sempre la volontà di Dio.

Gesù lungo le rive del mare vede una coppia di fratelli, Simone e Andrea. Pensiamo allo sguardo di Gesù. Gesù vede due uomini di mare e di acqua e li fa diventare roccia per la Chiesa. È una creazione. Sulle rive del mare c’è l’acqua e c’è l’asciutto, come, nella Genesi, Dio separa la terraferma dalle acque: la vocazione è una creazione. Bisogna avere molta fiducia: tutti abbiamo una vocazione. Dobbiamo avere fiducia che il Signore ci ha dato le risorse, le capacità, i “muscoli” adatti per quella vocazione. Bisogna essere fedeli “al principio” (più che ai principi): «In principio Dio creò» (Gn 1,1).
Finalmente arrivo al messaggio di questa mattina: «Buongiorno caro Vescovo, oggi è un giorno veramente pieno di luce. La neve ci ha regalato una giornata molto luminosa e pensavo non fosse un problema per le persone del paese venire a Messa facendo una passeggiata. Io abito un po’ distante e sono arrivata con l’auto. Ho trovato il mio parroco sulla porta che aspettava noi parrocchiani. Nessuno si è presentato e così lui mi ha detto: “Andiamo Graziella, andiamo a pregare per chi non è potuto venire”. Io ho pensato subito a lei, vescovo Andrea, alla sua costanza, alla pazienza che ha avuto nei confronti del mio parroco. La sua determinazione nel voler credere in lui ha portato ottimi risultati. Ora, se è un bravo parroco, sempre presente e attento, è veramente grazie a lei, perché non lo ha mai abbandonato. In chiesa mi sono seduta al fianco dell’altare; poi è arrivata un’altra signora. È stato emozionante quando ci siamo sentite dire che non eravamo solo in due, perché Gesù era accanto a noi. Ci tenevo davvero ad informarla di questa bellissima giornata. Mai arrendersi, mai abbandonare i sacerdoti e credere fino in fondo alla conversione».
Mi sono commosso per questa testimonianza. Sapete cosa c’è nel cuore di un sacerdote? Quando accompagnavo i ragazzi all’ordinazione presbiterale ero felice ed ero inquieto contemporaneamente. Fiducioso nella fedeltà di Dio e nella loro preparazione. Pensoso per le difficoltà che avrebbero incontrato e forse per la freddezza della comunità. A consacrarmi prete è stato il sacramento, ma – lo ripeto spesso – ho avuto la grazia di sentirmi “generato” dalla mia gente. Amiamo i nostri sacerdoti.
Sia lodato Gesù Cristo.

Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

La preghiera per l’unità dei cristiani è assolutamente necessaria e si unisce a quella di Gesù nel cenacolo: «Ut omnes unum sint»!
In tutte le comunità si terranno momenti di riflessione e di preghiera dal 18 al 25 gennaio.
Agli occhi del mondo e della storia i cristiani offrono ancora lo scandalo della divisione. Ragioni storiche pesano sulle relazioni fra noi cristiani. Si tratta per lo più di situazioni che i cristiani di oggi si ritrovano come eredità non voluta direttamente.
Il lungo cammino di divisione dentro la storia ha portato a divaricazioni sempre più vistose, arrivando talvolta alla incomprensione e persino a pregiudizi e ostilità.
Il Signore ha suscitato un vasto movimento spirituale con una forte tensione all’unità: si chiama “movimento ecumenico” ed è presente pressoché in tutte le Chiese.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha vivamente promosso e incoraggiato l’impegno della Chiesa in questo ambito promuovendo il dialogo, la preghiera e la conoscenza reciproca. Siamo uniti nel comune Battesimo, nelle formule antiche della fede (il simbolo), nella testimonianza della carità reciproca.
C’è un ecumenismo di popolo che travolge le barriere ma va guidato. C’è un ecumenismo teologico che affronta questioni delicate. C’è un ecumenismo dei leader che, da una parte richiama alla fedeltà delle tradizioni e dall’altra compie passi che esprimono questa tensione. È un ambito nel quale ci si muove tra mille difficoltà e nel quale giova la chiarezza. C’è, a volte, la tendenza a confondere il desiderio dell’unità con la confusione delle posizioni.
Ogni confessione cristiana ha percorso un tratto di strada valorizzando aspetti della dottrina e della prassi ecclesiale: un giorno saranno una ricchezza per tutti, dono che ognuno porterà alla comunione. È pur vero che ogni Chiesa ha bisogno di purificazione e di un riesame della propria fedeltà alla comune fede. E che dire poi dei condizionamenti della storia e della società? Nel nostro ambiente, nella nostra Diocesi, non c’è una presenza significativamente grande di altre Chiese, diverse da quella cattolica; questo non significa che dobbiamo ignorare o non appassionarci all’ecumenismo: sarebbe una mancanza grave.
A ben vedere, accanto a noi, in molte delle nostre case, abbiamo collaboratrici famigliari cristiane di altra confessione. I nostri giovani studenti sono fianco a fianco con amici ortodossi o protestanti; allo stesso modo succede nel mondo del lavoro. Va sempre precisata la distinzione fra ecumenismo, che riguarda le diverse confessioni cristiane che hanno in comune il Battesimo, e dialogo interreligioso fra religioni diverse. Tutti siamo mossi dallo splendore della verità e tutti desideriamo farne dono all’umanità!

+ Andrea Turazzi

Omelia nella II domenica del Tempo Ordinario

Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 15 gennaio 2023

Is 49,3.5-6
Sal 39
1Cor 1,1-3
Gv 1,29-34

Ci è familiare – lo ripetiamo diverse volte nella Messa – il grido: «Ecco l’Agnello di Dio!».
Giovanni Battista presenta le “credenziali” di Gesù Cristo e Giovanni, l’evangelista, cent’anni dopo, le presenta a noi. Chi è Gesù Cristo? Giovanni risponde: è l’Agnello di Dio, l’Agnello di Dio mandato per togliere il peccato del mondo, l’Agnello immolato, sacrificato e ne annuncia la preesistenza: «Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me». In pochi versetti abbiamo una concentrazione cristologica straordinaria: c’è tutto lo sviluppo del quarto Vangelo.
La liturgia interrompe la lettura del Vangelo di Matteo, che riprenderemo per una lettura continuata, e leggiamo la presentazione del mistero di Cristo che ne fa l’evangelista Giovanni.

Gesù è l’Agnello di Dio. Gli ascoltatori di Giovanni pensavano sicuramente all’Agnello pasquale (cfr. Es 12,1-14) e questo raccontavano ai loro bambini: «Quella notte eravamo schiavi in Egitto… Il Signore venne a liberarci, ci chiese di immolare un agnello e, col sangue dell’agnello, di segnare gli stipiti delle nostre porte, perché l’angelo potesse passare oltre e non colpire». «Ecco l’agnello di Dio», l’agnello da mangiare nella notte di Pasqua: Gesù è l’Agnello pasquale.

Gesù è l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Il riferimento al Servo di Jahvè era sentito nella prima comunità cristiana. Nel libro di Isaia ci sono quattro carmi (cfr. Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12) che descrivono questo misterioso personaggio, che viene chiamato servo, ma che si può anche tradurre con agnello (è la stessa parola nella lingua aramaica): un servo che è mandato a portare la luce al mondo intero. Purtroppo, questo servo si imbatte nell’ostilità del suo popolo e viene percosso, trafitto, ma al Signore piace il suo sacrificio, lo gradisce e lo risuscita. Dunque, nelle parole servo e agnello due “faglie” di Antico Testamento, con armoniche sublimi, mistiche, si incontrano in Gesù. Gesù, l’Agnello sacrificale e pasquale, è pure il capro espiatorio: tutti erano invitati ad imporre le mani su di lui per scaricare simbolicamente i peccati e poi veniva abbandonato nel deserto. Il Servo sofferente, nel quarto carme (cfr. Is 53), è l’agnello che viene cantato come colui che porta sulle spalle, e porta via, il peccato che è nel mondo: noi veniamo risanati dalle sue ferite. Gesù prende su di sé i nostri fallimenti, le nostre inconsistenze, i nostri peccati, perché da soli non possiamo salvarci. La salvezza viene da fuori di noi. Nessuno che sta annegando può tirarsi fuori dall’acqua da solo, pur con tutti gli sforzi. Dire salvezza significa riferirsi alla relazione con un Altro, con un Tu. La parola servo – «Mio servo tu sei, Israele» (Is 49,3) – per noi può avere un’accezione negativa, ma per gli ebrei era un’aspirazione diventare servi di Dio. Essere servo significava essere “servibili”, utili, capaci. Il pio israelita amava poter essere servo di Dio, non era disdicevole, svantaggioso per lui. Gesù è agnello ed è servo di Dio. Anche noi possiamo essere servi e “servi inutili” (cfr. Lc 17,10), che fanno con gratuità, senza ricompensa.

Grünewald, uno dei più grandi pittori tedeschi a cavallo del 1400-1500, ha dipinto con una grande drammaticità il mistero della croce del Signore; di fianco al Crocifisso ha inserito Giovanni Battista che lo indica col dito. Sul fondo la scritta: «Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo».
Mentre nelle mitologie religiose antiche le divinità vengono raffigurate nella pretesa di voler prendere qualcosa dagli uomini, di aspettarsi qualcosa da loro, nella fede cristiana è esattamente il contrario: è Dio che si avvicina allo scorrere della loro vita, perché vuol dare tutto, dando se stesso.
Un’altra sottolineatura. Si parla del peccato che viene “tolto dal mondo”. Nei Vangeli si parla del peccato solo come di una realtà che viene tolta. Vedremo Gesù incontrare peccatori, pubblicani, persone prigioniere del male ma finalmente risanate e liberate. Sfogliando il Vangelo, si direbbe quasi che il peccato non ci sia più, l’ha preso Gesù, se l’è caricato sulle spalle. Questo dà molta fiducia, perché impariamo che il peccato che è in noi è una ferita dalla quale possiamo guarire, un incidente che possiamo superare. Come dicevo recentemente, nelle feste del Natale, il mondo è guaribile.
Ritorna il tema dell’acqua, l’acqua che, ad un tempo, purifica e affoga, allusione ad un’acqua, quella del Battesimo, dove si cedono i peccati e si risorge rinnovati. Quello che è concentrato nel rito è qualcosa che si sviluppa, si irradia.

Il Gesù indicato da Giovanni Battista, che viene dopo di lui cronologicamente, perché compare lungo il fiume, in verità è prima di Giovanni. Si afferma la preesistenza di colui che nel Prologo è stato cantato come il Verbo di Dio, che è presso Dio e che è Dio; il Verbo che si fa carne e viene ad abitare in mezzo ai suoi. Dunque, anche qui c’è un richiamo esplicito al mistero di Gesù e della Trinità.
Gesù viene descritto come Colui che dà lo Spirito, la sua umanità è uno strumento dello Spirito. Giovanni Battista dice che a battezzare lungo il fiume è stato mandato da Dio, affinché potesse individuare fra tutti i pellegrini colui che è il Messia: «Ma come lo riconoscerà?». Lo riconoscerà perché su di lui scenderà lo Spirito, la terza Divina Persona, raffigurata con un’immagine dell’apocalittica, come colomba. Lo Spirito si ferma su Gesù e Gesù diviene colui che dona lo Spirito. Non è un dettaglio secondario; in fondo, tutta la storia della salvezza non ha di mira altro che questo, che i figli dell’uomo, tutta l’umanità, siano pervasi dalla santità di Dio, dal suo Spirito. L’effusione dello Spirito, la Pentecoste, è il punto d’arrivo di tutta la storia della salvezza, perché gli uomini possano essere messi a parte della stessa vita di Dio, possano avere in loro lo Spirito, il respiro di Dio (cfr. 2Pt 1,4). La realtà del peccato è drammatica, ma è bellissima la notizia che non solo il peccato è vinto, ma ci è data la pienezza della vita di Dio. «Vieni, Spirito Santo, riempi il cuore dei tuoi fedeli». Così sia.

Riprende il Cammino Sinodale

Al via la seconda fase del Cammino Sinodale: tutti costruttori nei Cantieri di Betania (Lc 10, 38-42)

Questa domenica, 15 gennaio, segna il lancio della Seconda fase del Cammino Sinodale nella nostra Diocesi. Infatti, preti e referenti parrocchiali del “Cammino sinodale” si troveranno presso il Seminario di Pennabili, via del Seminario, 5.
Si ricorda che, dalla sintesi delle varie relazioni delle Diocesi della CEI, sono emersi tre cantieri consegnati al discernimento delle comunità cristiane e chiamati a diventare vere strategie pastorali. I cantieri fanno risuonare tre domande per la scelta di ogni comunità: Come il nostro camminare insieme può creare spazi di ascolto reale della strada e del villaggio? Come possiamo “camminare insieme” nella corresponsabilità? Come possiamo camminare insieme nel riscoprire la radice spirituale (“la parte migliore”) del nostro servizio?
«È emozionante pensare che la Chiesa ha bisogno di ascoltare proprio noi! È una grande opportunità di rinnovamento per tutti», sostiene il Vescovo Andrea rivolgendosi ai referenti parrocchiali ed ai facilitatori del Cammino Sinodale.
Questa seconda fase diocesana si vive in concomitanza con la fase continentale che sfocerà nell’Assemblea Sinodale dei Vescovi attorno a Papa Francesco a Roma in ottobre 2023.

Lettera del Vescovo Andrea ai referenti parrocchiali e ai facilitatori 

Programma dell’incontro dei referenti 

Domenica della Parola

A differenza di quanto si era inizialmente preventivato, quest’anno il momento diocesano di celebrazione della “Domenica della Parola” non si farà nel pomeriggio del 22, bensì nella serata di venerdì 20 gennaio alle ore 20.45 presso la chiesa parrocchiale di Novafeltria. Questo per dar modo, a quanti volessero, di partecipare all’inaugurazione del ministero apostolico di mons. Nicolò Anselmi quale 111° pastore della Chiesa sorella di Rimini e successore di mons. Francesco Lambiasi, di cui abbiamo imparato a conoscere la profondità teologica e l’amore per la Scrittura.

Ma questo cambio di data, in realtà, è stato provvidenziale, da un certo punto di vista, perché ci ha fatti interrogare sulla modalità attraverso la quale poteva apparire più consono celebrare la Parola di Dio. Infatti, quest’anno abbiamo deciso di dare più spazio alle Parrocchie: l’Ufficio liturgico si occuperà di preparare un Sussidio pastorale con alcuni suggerimenti, anche rituali, da attuare nelle S. Messe di quel week-end, affinché ogni fedele possa meglio rendersi conto di che cosa significa che la Parola di Dio è motore propulsore della vita della Chiesa.

Accanto a ciò, vivremo insieme, però, a livello diocesano un momento di preghiera, nella forma della veglia sinodale. Dopo un momento di preghiera, con l’invocazione dello Spirito Santo, il nostro Vescovo ha piacere di interrogare la sua Chiesa – cioè noi tutti, nessuno si senta escluso! – su una domanda molto semplice e concreta: “Che posto occupa la Parola di Dio nelle nostre Comunità? Cosa suggeriamo in proposito?”. Sì, perché se è vero che la Parola è motore propulsore della vita della Chiesa, dobbiamo chiederci in che considerazione noi la teniamo e soprattutto come essa sta agendo nella nostra vita. Sia che la Parola già stia occupando un posto importante nell’orizzonte della nostra fede, sia che essa sia ancora “sconosciuta”, desideriamo aprire un confronto su di essa perché le “buone pratiche” si diffondano e ciascuno possa tornare a casa con qualche idea o proposta in più. Il profeta Isaia ci ha detto che «come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55,10-11).

La Parola, dunque, che è il Signore Gesù in persona, agisce, è efficace, non viene meno a se stessa. Essa è la buona notizia, la nostra liberazione, il punto di novità che può cambiare il nostro modo di vivere. Per questo un uomo o una donna che non si lascino cambiare, direi proprio “scavare” dalla Parola, non possono dirsi cristiani. La Parola necessariamente ci modifica, ci fa muovere, ci sposta dalle nostre posizioni granitiche nelle quali normalmente ci arrocchiamo, perché zone di confort. Anche perché la Scrittura continuamente ci comunica cose nuove e diverse, in un approfondimento sempre maggiore, al punto tale che chi anche legga una volta tutta la Bibbia non potrà mai dire di averla finita: bisogna ricominciarla di nuovo e poi ancora, dal momento che essa non smetterà mai di parlarci e dirci cose nuove. E per fortuna che è così!

La questione, credo che sia evidente per tutti, non consiste nel moltiplicare momenti di ascolto, quanto imparare a vivere più in profondità gli istanti in cui la Parola già ci viene donata. Molte delle nostre Comunità vivono da tempo, oltre alla Liturgia della Parola, momenti di Lectio divina o catechesi bibliche; sempre più fedeli partecipano ai corsi presso l’Istituto di Scienze Religiose “Marvelli” o proposti dalla Scuola base di Vita cristiana. La questione capitale è, allora, la qualità del nostro ascolto: quanto ci lasciamo modellare da Dio che ci ha donato la sua Parola non come un bel testo da tenere nelle nostre librerie, bensì come persona vivente, della quale è possibile innamorarsi in una costante sequela? Ogni fedele si senta interpellato da questo interrogativo.