Giornata di preghiera e riflessione per i politici

Giovedì 22 giugno alle ore 21.00 presso la Casa San Giuseppe a Valdragone (RSM) la Diocesi promuove una tavola rotonda dal titolo “Pacem in terris? Attualità dell’enciclica di San Giovanni XIII”, come espressione dell’anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi alla pace.

Il 22 giugno la Chiesa ricorda San Tommaso Moro, avvocato, scrittore e uomo politico inglese noto soprattutto per il suo rifiuto di accettare la rivendicazione di Enrico VIII di farsi capo supremo della Chiesa d’Inghilterra. Una decisione che mise fine alla sua carriera politica e che lo condusse nel 1535 alla pena capitale con l’accusa di tradimento. Nel 1935 fu proclamato santo da papa Pio XI e nel 2000 patrono degli statisti e dei politici da papa Giovanni Paolo II, quale testimone della dignità inalienabile della coscienza.

La comunità diocesana celebra per l’occasione la “Giornata di preghiera e riflessione per i politici”, con lo scopo di far sentire la sua vicinanza a coloro che hanno scelto di servire il bene comune attraverso l’impegno politico e per riaffermare la considerazione che la Chiesa ha della politica quale alta forma di carità.

Quest’anno la Giornata focalizzerà il tema della pace in occasione della ricorrenza del 60° anniversario della lettera enciclica Pacem in Terris, stante la drammatica situazione di guerra nel cuore dell’Europa che si aggiunge ai molteplici conflitti che sul pianeta costituiscono la “terza guerra mondiale a pezzi” denunciata più volte da papa Francesco.

Scarica la scheda per la preghiera 

Omelia nella Solennità del Corpus Domini

San Marino Città (RSM), Basilica del Santo Marino, 8 giugno 2023

1.
«I bambini domandavano il pane, ma non vi era chi lo spezzasse loro» (Lam 4,4). Gesù avrà pensato a questo grido del libro delle Lamentazioni quando si è trovato di fronte alla grande folla che lo aveva seguito affascinata dalla sua persona e dalle sue parole. Allora compie il segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Giovanni, l’evangelista, volutamente non lo chiama miracolo, ma segno; nel segno c’è della compassione, ma soprattutto c’è la sua autorivelazione: «Ecco chi sono io!». «Io sono il pane della vita, non come quello che mangiarono i vostri padri e morirono» (cfr. Gv 6,48).
Gesù è la risposta alla promessa – valida oggi come allora – del profeta: «Ecco, verranno giorni – dice il Signore – in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma d’ascoltare la parola del Signore. In quel giorno appassiranno le belle fanciulle e i giovani per la sete» (Am 8,11.13).
Quel giorno, sulle colline attorno a Cafarnao, si manifesta colui che sazia la fame e la sete esistenziale. Ma quella gente si ferma al dono, all’ammirazione per il miracolo – non si è mai sazi di miracoli! – e non va al Donatore. Se lo cerca, è per avere ancora di quei pani.
Evidentemente c’è un equivoco!
Sappiamo dal racconto evangelico che Gesù si sottrarrà a questa strumentalizzazione: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (Gv 6,26).

2.
Gesù riprende il discorso nella sinagoga di Cafarnao. Un discorso che sconcerta nemici ed amici. Un tratto di quel discorso l’abbiamo udito poco fa: «Mangiate la mia carne, bevete il mio sangue». Frase ripetuta almeno sette volte, accompagnata da una motivazione sempre più chiara, sempre più incalzante: «Per vivere, semplicemente per vivere, per vivere davvero»; la vita è il perno di tutta la spirale argomentativa di Gesù.
Gesù è consapevole di possedere qualcosa che può cambiare la direzione dell’esistenza; noi, talvolta, la sentiamo in discesa, verso il basso, verso il meno, verso il vuoto e la disperazione. Gesù non ci sta! Capovolge questo piano inclinato: «Mangia la mia carne, bevi il mio sangue per avere la vita». Qui sta la genialità del cristianesimo: «Dio viene dentro le sue creature come lievito dentro il pane, come pane dentro al corpo, come corpo dentro l’abbraccio» (E. Ronchi). Viene per dare speranza e senso, per dare capacità di amare, per dare una socialità aperta e nuova.
Gesù ci affida il compito di entrare nella sua ora: l’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Verbo incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione. Ci attira dentro sé! «L’ammirabile conversione del pane e del vino nel suo Corpo e nel suo Sangue pone dentro la creazione il principio di un cambiamento radicale (…) nel più intimo dell’essere, un cambiamento destinato a suscitare un processo di trasformazione della realtà» (Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, 11).

3.
Oggi festeggiamo il Corpus Domini: una festa di luci, di ostensori raggianti, di tabernacoli aperti, di petali di rose che i più piccoli gettano al passaggio dell’Ostia consacrata. Ma centro e motivo della festa è il donarsi del Signore in quel pane spezzato in cui ha scelto di abitare: mistero della fede! Presenza, azione e donazione di Cristo.
C’è di più: festeggiamo il fatto che possiamo e dobbiamo mangiare questo pane se vogliamo vivere. Notate il verbo semplice, concreto, realistico: letteralmente masticare e quindi assimilare, assorbire, metabolizzare. Sorprendente e affascinante il dono che Gesù fa di sé quando prende il pane, lo benedice, lo spezza e lo dà… Ma ancora più grande il fatto che mangiamo quel Pane e lui viene in noi e noi diventiamo lui: oggi è la solennità del Pane preso e del Pane mangiato.

4.
Nel Pane preso e mangiato c’è un duplice frutto: il primo la comunione-dono con Cristo, il secondo, la comunità tra quanti si nutrono di lui. La Chiesa fa l’Eucaristia, ma è più fondamentale che l’Eucaristia fa la Chiesa e le permette di essere la sua missione, prima ancora di compierla. Questo è il mistero della comunione: ricevere Gesù perché ci trasformi da dentro e ricevere Gesù perché faccia di noi l’unità e non la divisione. Il primo effetto, diciamo, è mistico o spirituale. Il secondo effetto è quello comunitario: «Poiché vi è un solo pane – ci ricordava san Paolo nella Seconda Lettura – noi siamo, benché molti, un solo corpo» (1Cor 10,17). Si tratta della comunione reciproca di quanti partecipano all’Eucaristia. Siamo comunità, tutti nutriti dal Corpo e dal Sangue di Cristo. Non si partecipa all’Eucaristia senza impegnarsi in una fraternità vicendevole e sincera.

5.
È necessario, cari sammarinesi, che ci interroghiamo sulla qualità delle nostre relazioni sociali, sulle nostre responsabilità educative, sull’accoglienza della vita nascente e anche nei momenti della sua fragilità. Torno a ricordare che altro è ciò che è riconosciuto legale e altro ciò che è veramente morale. Abbiamo perso un’occasione per affermare la nostra originalità, la nostra significatività tra le nazioni. Dio non voglia abbiano prevalso condizionamenti esterni. Noi non possiamo pensarci fuori dall’Italia, fuori dall’Europa, ma partecipi essendo noi stessi, con la nostra originalità.
È importante per i fedeli una ripresa della partecipazione alla Messa domenicale.
È indispensabile per noi sacerdoti fare della celebrazione eucaristica il centro della nostra vita; non possiamo celebrare la Messa secondo i nostri gusti e il nostro individuale criterio, semmai è la liturgia a normare noi. Papa Francesco, con serenità e chiarezza, «ci guida alla comprensione dello sviluppo e dei cambiamenti liturgici dal post Concilio fino ad oggi, alla ricerca della comunione e dell’unità nella Chiesa. I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II in conformità ai decreti del Vaticano II sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano» (DD 31).
Ai sammarinesi, ai fedeli, a noi sacerdoti la perseveranza nella preghiera perché il Signore doni degni ministri dell’Altare e a tutti uno stile di vita eucaristico. Così sia.

Omelia nella Solennità della SS. Trinità

Carpegna (PU), chiesa di San Nicolò, 4 giugno 2023

Sante Cresime

Es 34,4-6.8-9
Dn 3,52-56
2Cor 13,11-13
Gv 3,16-18

La pagina evangelica proclamata oggi conta solo due versetti. In questi due versetti mi soffermerò su tre parole. La prima è la parola “mondo”: ricorre ben quattro volte (è il perno del ragionamento dell’evangelista Giovanni). La seconda parola è il verbo “donare”: «Dio ha tanto amato il mondo da donare il Figlio». La terza parola è il verbo “salvare”.

Mentre facevo meditazione ho pensato all’universo nella sua immensità, nelle sue dinamiche, nelle molteplici forme che lo percorrono e lo abitano: viene da smarrirsi! di fronte alla sua infinità viene da smarrirsi. Giacomo Leopardi, nella poesia “L’infinito”, canta degli «interminabili spazi e sovrumani silenzi» e poi conclude: «Tra questa immensità s’annega il pensier mio e il naufragar m’è dolce in questo mare». L’universo è amato da Dio.
Nell’universo c’è un piccolo pianeta azzurro che è la terra (forse non è l’unico pianeta abitato). Il Signore ama questo mondo che, a volte, a noi non piace. Il mondo è come una foresta piena di sorprese, fa paura, mette ansia. «Dio ha tanto amato il mondo…». Nel mondo ha amato la terra, nella terra ha amato gli esseri umani. In che modo li ha amati? Li ha amati facendosi Lui uomo come loro. Gesù è il Verbo di Dio. Dio non dona “qualcosa”, perché in Dio «tutto è Lui». In Gesù si è dato all’uomo: Lui è la pienezza dell’essere.
Dio da sempre ha voluto l’uomo e l’ha creato capace di amare, di rispondere al suo amore. Rubo un’espressione a sant’Agostino: «Dio ci ha amato per amarci». Significa che Dio ama per veder accendere l’amore nella creatura che ama. Donando se stesso fa in modo che, liberamente e consapevolmente, l’uomo ami a sua volta. Se la creatura corrisponde all’amore, Dio può amarla ancora di più; se l’uomo si lascia prendere nel gioco di amore, Dio lo amerà infinitamente di più, come in una spirale infinita. Tutto in una reciprocità che ci sorprende e ci affascina. «Dio ha tanto amato il mondo», anche il mondo che a noi non piace, anche quello che a noi non piace di noi stessi!

La seconda parola è “donare”. «Dio ha tanto amato il mondo… da donare il suo Figlio». Il “tu” di Dio, il Verbo, si è fatto uomo, Gesù di Nazaret venuto in mezzo a noi. Dio l’ha donato a noi. La relazione più intima, più cara, più preziosa la partecipa a noi. Il dono di Dio è irrevocabile: è per sempre! È un dono totale: si dà tutto! È un dono gratuito: lo si accoglie stupefatti! È mistero, mistero grande. Ed è realtà, realtà che noi viviamo, che noi godiamo, che noi vediamo già grazie agli occhi luminosi e illuminanti della fede (cfr. Ef 1,18), grazie all’intelligenza che ci viene dall’amore, per cui crediamo e conosciamo (cfr. 1Gv 4,16) «finché egli, il Signore, ritorni» (1Cor 11,26).

La terza parola è “salvare”. Salvare non è semplicemente estrarre dalla melma o impedire la caduta nell’inferno. Salvare vuol dire custodire per sempre, conservare, mantenere; è un po’ come quando il computer ti chiede: «Vuoi salvare?». Quando si salva, quel file rimane, non va perduto, non cade nell’oblio.
«Dio ha tanto amato il mondo, ha tanto amato ciascuno di noi, per salvare, perché non vada perduto nulla». Ci vuole la fede: attorno a noi, vediamo realtà caduche e dimenticanze; vediamo la morte. L’annuncio della fede è questo: «Dio ha tanto amato il mondo da mandare il Figlio per salvare»: come? Assumendo tutto in sè.
Se scriviamo una serie di note su un cartellone restano mute, ma, se tracciamo il rigo musicale, quelle note segnate una dopo l’altra formano una melodia. La fede ci svela la melodia di questo mondo e la vocazione di questo mondo. Lodiamo il Signore, diciamo grazie. Vogliamo entrare in questo gioco d’amore: Dio è Trinità d’amore e da sempre ci ha pensati partecipi della sua vita.
C’è un momento della Messa che ogni volta mi emoziona: è quando alzo il calice con il vino e il piatto con il pane e pronuncio parole che sembrano uno scioglilingua: «Per Cristo, con Cristo, in Cristo, a te Dio Padre la lode». In quelle parole è racchiusa la nostra destinazione: essere proiettati nel seno del Padre. Figli nel Figlio ci avvolge una forza ascensionale: lo Spirito Santo. «Per Cristo, con Cristo, in Cristo, a te Dio Padre la lode nello Spirito Santo».

Cari ragazzi, tra poco riceverete il sacramento della Cresima. Verrete davanti all’altare e risponderete ad alcune domande. In questi anni vi siete preparati per rispondere in modo più consapevole. Poi stenderò le mani per invocare la discesa dello Spirito Santo su di voi e sulla comunità. Attraverso di me è Gesù che vi guarda negli occhi, vi vuole bene e vi dona il suo Spirito. Lo Spirito è raffigurato da un profumo, il crisma, con cui vi ungerò la fronte dicendo: «Ricevi il sigillo dello Spirito Santo». E voi risponderete: «Amen». Vi darò un piccolo schiaffo per incoraggiarvi: «Hai ricevuto lo Spirito, adesso devi essere un cristiano coraggioso».
L’olio profumato svanirà subito, ma il segno spirituale della Cresima si imprimerà in voi, rimarrà per sempre, molto più di un tatuaggio: rimarrà per l’eternità: appartenete al Signore.

57° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

Oggi, domenica 21 maggio, si celebra la solennità dell’Ascensione ed è anche la Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali. È una iniziativa nata con il decreto Inter Mirifica del Concilio Vaticano II.
Come Chiesa, siamo chiamati a pregare per gli operatori dei media, che svolgono un compito fondamentale nella nostra democrazia. Si tratta anche di sostenere i mezzi di comunicazione della Chiesa nel suo operare a dare cittadinanza a Dio nel continente digitale.
Cosa possiamo fare nel nostro piccolo ? Riassumo le nostre azioni in due verbi: seguire e abbonarsi.
Seguire i canali e le pagine social della diocesi:
Abbonarsi alla rivista diocesana:
5) Rivista diocesana “Montefeltro” al costo di 30€ o di 50€ per amicizia. Si può contattare il numero seguente : 0541 913 780 o l’indirizzo mail : ufficio.stampa@diocesi-sanmarino-montefeltro.it

Omelia nella VI domenica di Pasqua

Romagnano (RN), 14 maggio 2023

Cresime a Romagnano

At 8,5-8.14-17
Sal 65
1Pt 3,15-18
Gv 14,15-21

Una premessa. Ci troviamo nel Cenacolo. È l’ora nella quale Gesù annuncia che sta per lasciare i discepoli. I discepoli rimangono sbalorditi. Scende un velo di tristezza su tutti. Uno degli apostoli – l’abbiamo letto domenica scorsa –chiede a Gesù: «Dove vai? Come si fa a venire con te?» (cfr. Gv 14,5).
Nel Cenacolo è avvenuta l’Ultima Cena, la lavanda dei piedi, l’annuncio del “comandamento nuovo” («amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato»), l’istituzione dell’Eucaristia e la promessa della discesa dello Spirito Santo. Poi, nel Cenacolo, cinquanta giorni dopo la Pasqua, l’effusione dello Spirito Santo. Con la forza dello Spirito gli apostoli si lanciano sulla piazza e gridano a tutti: «Gesù è vivo!». La morte è stata vinta. Gesù aveva detto: «Vado a prepararvi un posto. Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi e là dove sono io voi vivrete per sempre» (cfr. Gv 14,2-4). Questa è la nostra fede.
La settimana scorsa ho celebrato il funerale di una giovane mamma. Eravamo tutti sconvolti. Lascio immaginare il dolore dello sposo, dei genitori, della figlia e degli amici. È scesa questa Parola di Gesù e abbiamo pregato: «Gesù, crediamo in te, ci fidiamo di te. Tante volte nel Vangelo hai detto parole che, vissute, sperimentiamo vere. Allora perché non dovremmo credere a questa che è la più importante: «Vi prenderò con me?».

All’inizio del Vangelo di oggi ci sono tre parole: amore, comandamento, Spirito Santo. Sembrano estranee l’una all’altra, eppure formano una sorta di costellazione.

Amore. Che cos’è l’amore? È un sentimento, che va e viene? È anche un sentimento, ma soprattutto è una decisione. Ad esempio, un fidanzato può dire alla fidanzata: «Ho trovato in te qualcosa di speciale, di unico, per cui decido di vivere per te e ti chiedo di vivere per me». Poi, nell’amore c’è senz’altro una evoluzione. Proprio perché una decisione, ogni volta che decidi di amare, decidi di scegliere: ogni volta che si ama, si sceglie di nuovo. Io sono un sacerdote, ho scelto di essere di Gesù. Lui mi ha sposato, è la pienezza della mia vita. Ogni giorno lo riscelgo, prendo la decisione di essergli sposo e ogni scelta è anche una Pasqua. La parola “Pasqua” in ebraico significa “passaggio”. Quando amo faccio spazio in me per accogliere l’altro, perché sia a casa sua in casa mia. Questo vale in tutte le relazioni, nell’amicizia, fra colleghi di lavoro… Il fare il vuoto perché l’altro si doni a me è un passaggio, c’è una Pasqua: c’è una morte e una risurrezione.

Comandamento. Cosa c’entra un comandamento con l’amore? Come fa Gesù, la sera in cui c’è tanta tristezza nel gruppo dei discepoli, a parlare di comandamenti? Eppure, senza comandamento non c’è amore, perché l’amore, per sua natura, chiede fedeltà. Allora si impone a se stesso, in virtù della decisione di amare, anche un “comandamento”. Il comandamento aiuta il cuore ad amare. C’è una circolarità fra l’interiorità e l’esteriorità. Si dice: «L’importante è il cuore, non sono tanto i gesti o le parole o i regali…». È vero, il cuore è il centro degli affetti, ma è pur vero che dobbiamo educare il cuore. Noi collochiamo i comandamenti nell’ambito della morale (i “dieci comandamenti”). Non sarebbe così. Gesù sapeva che i comandamenti rinviavano il pio israelita all’esperienza pasquale del passaggio attraverso il mar Rosso verso la libertà. Quando gli ebrei sentivano la parola “comandamento”, non pensavano anzitutto al dovere, ma all’evento della loro liberazione: «Io sono stato salvato da Dio; eravamo una tribù schiava d’Egitto e il Signore ci ha liberati, siamo un popolo libero e anche noi abbiamo avuto il dono di una legge, non più la legge del Faraone o di Nabucodonosor o di Hammurabi, ma la nostra legge». Quando un pio israelita osservava i comandamenti poteva dire: «Signore, credo che tu mi ami, che sei il mio liberatore, il mio Salvatore, sei il mio Tutto». Gli ebrei praticavano 613 precetti legati ai comandamenti, perché ogni momento della vita fosse sotto lo splendore della liberazione e dell’amore del Signore. Prima di pranzare, prima di dormire, prima di andare al mercato, prima di studiare, c’erano piccole osservanze che rinviavano all’amore di Dio.

Spirito Santo. Gesù lo chiama Paraclito, che significa Consolatore ed Avvocato. Lo Spirito Santo è Consolatore. «Non dire che sei solo, non lasciarti prendere dalla paura», dice Gesù. Puoi contare sullo Spirito, che viene dentro di te e sarà sempre con te. Lo Spirito Santo è Avvocato. Immagina di essere dentro ad un processo; c’è uno spirito cattivo, Satana, che parla contro di te, che ti suggerisce il pensiero che sei solo, che il Padre è lontano. Questi pensieri sono all’origine di ogni peccato. Lo Spirito, che è Avvocato, parla bene di te, parla in tuo favore.
Concludo con un’esperienza che ho vissuto alcuni anni fa. Sono stato convocato a Verona a fare da testimone in un processo. Appena entrato nell’aula del tribunale ho notato subito la scritta: «La legge è uguale per tutti». La mia causa veniva rinviata continuamente, perché non era ancora arrivato un altro testimone, così ho avuto modo di seguire vari processi. Ad un certo punto è entrato un giovane, con le manette ai polsi, accompagnato da due carabinieri. Vicino a lui si è seduto l’avvocato difensore. Dall’altra parte c’era il Pubblico ministero, l’accusa, e poi la corte che ascoltava. C’è stato il dibattito. La giudice si è ritirata con gli avvocati per formulare la sentenza. Finalmente, dopo trenta minuti, la corte è rientrata ed è stato proclamato il verdetto: «In nome della Repubblica, con i poteri conferitimi… dichiaro che il signor… è assolto per non aver commesso il fatto». Il giovane ha abbracciato l’avvocato difensore, il “paraclito”, e in fondo alla sala si è sentito un timido applauso (forse si trattava della sua mamma). Si è alzato in piedi e ha porto i polsi ai carabinieri, come per riprendere le manette per essere condotto fuori. Gli hanno risposto: «No, adesso sei libero!». Quando penso allo Spirito Santo mi sovviene questa esperienza: lo Spirito Santo è l’Avvocato difensore, che parla bene di noi. Allora portiamolo con noi, come amico, anche nei momenti della prova, del dubbio, quando ci chiediamo: «Faccio bene a parlare o è meglio stare zitti? Faccio bene ad andare o è meglio restare?». Sant’Agostino è arrivato a dire: «Ama e fa’ ciò che vuoi».

Assemblea diocesana di verifica

IL “POMERIGGIO DEL MAGNIFICAT”
Con stile sinodale

Da un pezzo sulle nostre agende è ben evidenziata la data del 27 maggio prossimo, vigilia di Pentecoste: l’Assemblea diocesana di fine anno pastorale è entrata finalmente nella nostra tradizione e nella nostra prassi ecclesiale. L’Assemblea è certamente uno spazio per la verifica, un tempo per rinsaldare rapporti, un luogo di convergenza ecclesiale. Ma è soprattutto riconoscimento grato per quanto il Signore è andato operando nella comunità e in ciascuno: dunque una celebrazione festosa e solenne. È invalso l’uso di chiamare questo appuntamento: “Il pomeriggio del Magnificat”.

Quest’anno l’Assemblea sarà caratterizzata dallo stile e dalla prassi sinodale. Infatti, un tempo significativo sarà dedicato all’ascolto in piccoli gruppi per il confronto sulle priorità emerse nel Cammino Sinodale.

L’invito è rivolto a tutti, con particolare considerazione ai giovani. Una parte di loro sta preparando la partecipazione alla Giornata Mondiale della Gioventù che questa volta si celebra a Lisbona in Portogallo con la presenza di papa Francesco. Sarebbe bello che i giovani potessero avere uno spazio, seppur breve, per partecipare a tutti il loro entusiasmo, per raccogliere l’incoraggiamento della Diocesi e “portarla” con loro.

L’invito, si diceva, è rivolto a tutti. I momenti diocesani unitari in fondo sono pochissimi e per questo particolarmente preziosi, da difendere gelosamente: la “domenica del Mandato pastorale” e il “pomeriggio del Magnificat”. Se nel giorno di apertura si lancia il Programma annuale, nel “pomeriggio del Magnificat” è necessaria la verifica. Il primo ambito di verifica sarà cogliere l’opera che Dio compie nel suo popolo, ma è necessaria anche la sosta per interrogarsi con schiettezza sui punti critici nel rapporto fra la società e la proposta cristiana. In particolare, questa volta ci si chiede: «Che cosa abbiamo imparato sul “camminare insieme” in questi due anni di Sinodo?». Verrà chiesto di condividere idee, proposte ed esperienze.

Dopo il Covid-19 torna l’invito ad una “cena frugale” in cui ognuno porta qualcosa (non solo dolci!) e il tutto viene “spezzato” e condiviso. Esperienza già effettuata in passato, riuscita e sorprendente, una sorta di “moltiplicazione”.
Dopo la “cena frugale”, spazio importante anche per rinsaldare conoscenze e amicizie, si vivrà il passaggio in chiesa per la celebrazione dell’Eucaristia della Vigilia di Pentecoste; un ritorno al cenacolo come spazio spirituale e atmosfera pasquale: comandamento nuovo, istituzione dell’Eucaristia, effusione dello Spirito Santo.

—-

Domanda-guida per il lavoro nei gruppi

Che cosa abbiamo imparato sul “camminare insieme” in questi due anni?
Elencare due aspetti rilevanti ed eventualmente una esperienza.

Scarica la lettera-invito del Vescovo Andrea

Visiona il videomessaggio

La notte dei Santuari

UNA LUCE NELLA NOTTE: PRESENZA E INVITO
Lettura notturna del Vangelo secondo Matteo a Valdragone (RSM)

Sul tessuto l’esperta ricamatrice, annodando filo a filo, disegna il suo ricamo. Nel cielo di notte l’occhio esperto scorge costellazioni fra le stelle… Allo stesso modo anche il territorio della Diocesi di San Marino-Montefeltro vede una sorta di costellazione che collega tra loro quei punti luce che sono i santuari. Sono otto: Santuario della Madonna di Romagnano, del Crocifisso di Talamello, della Madonna del Faggio, della Madonna della Consolazione in Borgo Maggiore (RSM), della Madonna delle Grazie a Pennabilli, del Beato Domenico Spadafora a Montecerignone, dell’Immacolata Concezione a Sant’Agata Feltria e del Cuore Immacolato di Maria a Valdragone (RSM). Ben sei sono dedicati alla Madonna, uno al Crocifisso ed uno al Beato Domenico Spadafora. Ognuno di questi luoghi porta un messaggio per il fatto che ripresenta “un evento fondatore” che continua a parlare ai pellegrini. Si tratta a volte di tenui storie tramandate da una comunità, come la vicenda della piccola pastorella di Romagnano che indica il luogo di un’apparizione della Vergine; altre volte è un luogo attorno al quale il popolo si è stretto nei momenti difficili o si tratta di luoghi scelti per il raccoglimento e la preghiera come il Santuario della Madonna del Faggio alle pendici del monte Carpegna, o santuari che racchiudono una venerata immagine come quella del Crocifisso a Talamello. L’evento fondatore si intreccia con l’esperienza di fede quotidiana che trova nel santuario momenti di intensa spiritualità, di intercessione per i propri guai, di riconciliazione per i propri problemi. Gli ex voto testimoniano i favori e le grazie ottenute.
Questi sono brevi accenni necessari per tratteggiare una “geografia” della devozione che comprende i luoghi cari al popolo di Dio, luoghi nei quali il pellegrino cerca nell’incontro con la Madonna o coi santi il consolidamento della propria fede.
Di per sé non sempre i santuari sono parrocchie, ma hanno comunque un’importante “vocazione” all’interno della comunità cristiana. La visita ad un santuario è per qualcuno occasione di riavvicinamento alla fede, per altri l’affidamento a Dio di una preoccupazione o di un dolore. C’è chi arriva al santuario da lontano e il viaggio stesso è tempo di preparazione e di grazia. Il pellegrinaggio è un’espressione di fede praticata da sempre nel cristianesimo. Del resto, non dice la Scrittura: «Beato chi decide nel suo cuore il santo viaggio»? Non si nutriva il pio israelita dello struggente desiderio di salire alla città santa o di sostare dove il Signore aveva scelto di manifestare la sua gloria?
I pellegrini che salgono con fede ai santuari ricordano alla Chiesa la sua indole peregrinante, un richiamo a camminare nel mondo come chi è di passaggio e a non attaccarsi alle cose terrene. La strada che si percorre per raggiungere il luogo santo è dunque simbolo della vita e del cammino che ogni persona fa verso Dio, un cammino reale e concreto: partenza, fatica, attesa, salite e finalmente la meta. Fuori di metafora, la partenza inizia con le grandi domande che ognuno si pone: chi sono? Qual è il senso della mia vita? Da dove vengo? Dove vado? Che cosa è importante per la mia vita? Domande enormi, ma che ogni persona in cammino si fa.
I santuari della Diocesi, come tutti i santuari italiani, hanno tra loro un vero e proprio Collegamento con lo scambio di notizie, esperienze e aiuti col desiderio di tenere viva e potenziare una vera e propria pastorale dei santuari.

Da qualche anno il Collegamento lancia una bella iniziativa: “La notte dei Santuari”. Si invitano i rettori a tenere aperti i loro santuari nella notte perché, anche visivamente, siano luce che invita, ma anche luce che indica una presenza che veglia su tutti. In Diocesi i rettori hanno fatto la scelta di indicare un santuario in particolare che resterà aperto tutta la notte fra il 1° e il 2 giugno. È stato scelto il Santuario del Cuore Immacolato di Maria in Valdragone (via delle Felci, 3 – RSM). Durante la notte il Santuario sarà aperto per l’adorazione eucaristica e ad ogni ora vi saranno suggerimenti per la preghiera. Allo scadere della mezz’ora verrà letto un capitolo del Vangelo secondo Matteo. Appuntamento allora al Santuario del Cuore Immacolato: una staffetta di preghiera per tutti.

Sussidio per il mese di maggio

Vivere la Pasqua con Maria
e con lei attendere la Pentecoste

Sbaglierebbe chi pensasse che la pratica del mese di maggio dedicato alla Madonna distolga dalla celebrazione pasquale di queste settimane. Al contrario: la pratica del mese mariano si inserisce a pieno titolo nel Tempo pasquale e aiuta a gustarne la ricchezza. Con la Madonna sperimentiamo la gioia della risurrezione e la sorpresa di una vita nuova che rinasce!
Anche noi, come i primi discepoli, torniamo al Cenacolo insieme a Maria, la mamma di Gesù che, da quel Venerdì Santo, è data anche a noi come madre. Insieme a lei ci prepariamo a ricevere l’effusione dello Spirito Santo, per uscire poi dal Cenacolo “carichi” per la missione. La Madonna ci è maestra e guida nel vivere due tempi di un unico movimento: ritorno al Cenacolo ed uscita dal Cenacolo per la missione, due tempi che si richiamano a vicenda. È stato così anche per lei, la fanciulla di Nazaret: «conservava nel suo cuore» le parole e i fatti attraverso i quali il Signore le si comunicava (cfr. Lc 2,19.51) e poi si «incamminava in fretta verso la montagna» per l’incontro premuroso con Elisabetta (cfr. Lc 1,39-40). È il suo stile: silenzio e dono di sé, ritta ai piedi della croce e attiva ad Efeso col discepolo che Gesù amava.
Auguro che sia per tutti un mese di maggio ricco di preghiera e di ascolto, certo che da parte della Madonna sarà un mese ricco di grazie.
Ci viene messo in mano questo fascicolo per accompagnarci nei 31 giorni di maggio, con catechesi eucaristiche e suggerimenti per la preghiera. Siamo tutti protesi verso la Pentecoste, l’effusione dello Spirito Santo, dono di Gesù Risorto…
Appuntamento all’Assemblea diocesana di fine anno e alla Veglia di Pentecoste sabato 27 maggio a Pennabilli, culmine del nostro cammino con Maria.

+ Andrea Turazzi

Scarica il Sussidio per il mese di maggio

Omelia nella Festa del Lavoro

Gualdicciolo (RSM), 1° maggio 2023

Gen 1,26-2,3
Sal 89
Mt 13,54-58

Oggi festeggiamo san Giuseppe Lavoratore. Ci piace pensare che l’aureola che lo avvolge incoroni il lavoro e i lavoratori. Tutti i lavori e tutti i lavoratori.
Festa del Lavoro. Sappiamo come è nata questa ricorrenza: da grandi sofferenze e da grandi tensioni agli inizi dell’industrializzazione (il 1 maggio come festa dei lavoratori è nato negli USA nel 1887: commemorazione delle vittime dei sanguinosi scontri di Chicago; in Italia è entrato ufficialmente tra le festività civili nel 1946; la festa è stata ripresa anche dalla Chiesa nel 1955; fu Pio XII che istituì il 1 maggio la memoria di san Giuseppe Lavoratore, perché tale data potesse essere condivisa a pieno titolo dai lavoratori cattolici). La Chiesa ha visto nella questione operaia un segno dei tempi (un kairòs, un tempo di grazia) ed ha avviato un dialogo importante per lei e per ogni lavoratore, suggellato da una lettera enciclica, la Rerum novarum di Leone XIII (quest’anno, proprio in questi giorni, si ricorda il 60° di un’altra enciclica, di respiro universale, scritta da san Giovanni XXIII, la Pacem in terris, indirizzata ai cattolici, ma anche a tutti gli uomini di buona volontà).

La Chiesa ha ripreso a sfogliare il “Vangelo del lavoro”, segnato dal peccato ma redento dal Signore, il “figlio del carpentiere”: così chiamavano Gesù (cfr. Mt 13,55; Mc 6,3; Lc 4,22; Gv 6,42).
Oggi si fa festa al lavoro, che in questi giorni apprezziamo ancor più. Il lavoro, benché costi fatica e sudore, ancorché debba misurarsi con la resistenza che gli fa la natura, nonostante l’attrito della materia che non si lascia piegare facilmente, è per l’uomo possibilità di trasformazione del mondo, di modificazione della realtà, di esplorazione in ogni campo. Con l’onesto lavoro l’uomo produce quello che serve alla sua vita, traffica i talenti che ha ricevuto, trasmette cultura, prolunga le possibilità della comunicazione. «Dio disse – così le parole della Genesi – facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla faccia della terra» (Gn 1,26).
La Genesi prosegue raccontando come il Creatore affidi all’uomo il giardino: «Riempite la terra, soggiogatela…».
Sì, proprio nel lavoro, nell’iniziativa, nell’impresa l’uomo esprime uno dei profili che lo rendono “a somiglianza di Dio”, gran lavoratore: Dio è sempre all’opera! Come non festeggiare il lavoro? Come non metterne in evidenza, oltre alla necessità e utilità, la bellezza? Perfino i bambini, quando giocano, fanno mestieri. Conosco bambini camionisti straordinari e… bambini che giocano a fare il prete! Conosco anche uomini e donne che lavorano con tanta passione: il loro lavoro sembra un gioco.

Il lavoro non è soltanto utile e necessario, ma anche bello, perché in esso si manifesta la vocazione dell’uomo creato “ad immagine di Dio”, somigliante a Dio. Ecco perché ogni uomo ha diritto al lavoro. Una delle piaghe più gravi della nostra società è la mancanza di lavoro. È calata la disoccupazione (secondo dati recenti), ma si tratta di un lavoro inclusivo e sicuro? La mancanza del lavoro offende la dignità della persona, perché smentisce la vocazione dell’uomo, creato ad immagine di Dio Creatore.
C’è una parola che in questo giorno mi sembra importante. Ci riguarda tutti. È da mettere in luce: è la parola solidarietà. A noi è più congeniale la parola carità: siamo fratelli, i nostri destini sono intrecciati. Io posso stare bene se anche tu stai bene: principio dell’economia sociale. L’economia liberista, in cui ognuno fa tutto per sé, scientificamente non è una buona economia. Un’economia buona è quella che fa crescere gli altri e, di conseguenza, la propria impresa. C’è interdipendenza nei nostri destini.

Festa del Lavoro, ma anche giornata di intensa preghiera. L’intensità della preghiera è segno di responsabilità, solidarietà e partecipazione. Pregare per dare un senso umano-divino al lavoro, per dare un’anima alla fatica di ogni giorno, perché sia assicurato e tutelato il lavoro di tutti. «Rendi salda, Signore, l’opera delle nostre mani»: così abbiamo cantato nel Salmo e così continuiamo a fare!

Consentitemi un ultimo passaggio. Ciò che Iddio Creatore manifesta fin dal principio, e cioè la connessione persona-lavoro, viene messo in risalto in modo unico da Gesù Cristo, come dimostra la pagina evangelica appena letta: Gesù, il Figlio di Dio, ha lavorato. Il lavoro non è disdicevole. Gesù appartiene al mondo del lavoro, del lavoro artigiano, come Giuseppe, suo padre putativo. Questa testimonianza resa da Gesù al lavoro trova conferma particolare nell’insegnamento e nella pratica di uno dei più grandi apostoli, san Paolo, che si faceva un vanto del suo lavoro e grazie ad esso poteva svolgere liberamente il ministero (cfr. 2Ts 3,8).
Vorremmo che questo 1° maggio parlasse davvero a tutti e dicesse la verità. Una Festa del Lavoro è davvero tale solo se si accresce il grado di dignità delle persone, se si accompagna con strumenti solidali chi non ce la fa, se non ci si arrende ad un’occupazione povera e precaria. Ecco cosa vorremmo sentirci dire domani; ecco cosa speriamo davvero per il 1° maggio; ecco perché continuiamo ostinatamente a festeggiarlo.
Concludo con la preghiera a san Giuseppe: «Salve, custode del Redentore, sposo della Vergine Maria. A te Dio affidò il suo figlio. In te Maria ripose la sua fiducia. Con te Cristo diventò uomo. O santo Giuseppe, mostrati padre anche per noi, e guidaci nel cammino della vita. Sostienici nella fatica del lavoro quotidiano. Ottienici grazia, misericordia e coraggio, e difendici da ogni male. Così sia».

Sinodalità: la relazione e il dialogo per costruire la comunità

In queste settimane di primavera piovono gli inviti, le segnalazioni di eventi, le opportunità da cogliere. Ma questa è, per quanto possibile, veramente da non perdere: per il tema, il relatore e l’attualità.

Giovedì 11 maggio alle ore 21 presso l’aula magna di Palazzo Carboni a Pennabilli (via G.B. Mastini, 7) mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, terrà una conferenza su: “Sinodalità: la relazione e il dialogo per costruire la comunità”. Mons. Bruno Forte è uno dei teologi più ascoltati in Italia e all’estero. Sono particolarmente apprezzate le sue opere. Ha ricoperto incarichi importanti alla CEI e presso la Santa Sede. Anche la Diocesi di San Marino-Montefeltro si sta preparando all’evento del Sinodo dei Vescovi, che si terrà nel prossimo ottobre, partecipando attivamente al Cammino Sinodale che sta appassionando molte comunità.
Si tratta di comprendere che la sinodalità è ben più di un evento: è una dimensione permanente della vita della Chiesa.
L’invito alla conferenza è aperto a tutti ed è una preziosa occasione di approfondimento con un maestro di grande valore.