XXV Domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Petrella Guidi

21 settembre 2014

È un giorno importante per il nostro borgo. Si fa festa per l’avvenuto restauro della chiesa, luogo dell’incontro fra noi per la preghiera, ma soprattutto luogo nel quale il Signore ci fa dono di una sua particolare presenza.
«Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? – pregava Salomone nel giorno della dedicazione del tempio a Gerusalemme – Ecco i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruita! (…) Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: là sarà il mio nome! Ascolta la preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo» (1Re 8, 27-29).
Quando Giuda Maccabeo, dopo la profanazione avvenuta con l’occupazione pagana, rientrò nel tempio lo trovò «desolato, l’altare profanato, le porte arse e cresciute le erbe nei cortili come in un luogo selvatico e gli appartamenti sacri in rovina», lui e i suoi uomini «si stracciarono le vesti, fecero grande pianto, si cosparsero di cenere, si prostrarono con la faccia a terra e alzarono grida al cielo». Allora coi suoi uomini e i sacerdoti restaurò, purificò e consacrò di nuovo il tempio. Ci fu grande gioia: «Tutto il popolo si prostrò con la faccia a terra e adorarono e benedirono il Cielo… celebrarono la dedicazione dell’altare per otto giorni e offrirono olocausti con gioia (…). Poi ornarono la facciata del tempio con corone d’oro e piccoli scudi» (1Mac 4, 36ss).
Da Gesù in poi si adora Dio in spirito e verità (cfr. Gv 4, 23). Bastano due o tre riuniti nel suo nome per godere della sua presenza (cfr. Mt 18, 20). Tuttavia, il luogo della preghiera, il luogo dove si celebra l’Eucaristia e – quando è possibile – con onore la si conserva, è santo.
Le pietre che lo formano sono il segno del tempio vivo che è la Chiesa e di cui noi siamo le pietre vive (cfr. 1Pt 2, 5), cimentate dal nostro comune riferimento a Cristo che è il capo e noi sue membra, riunite in fraternità.
Sì, in questa prospettiva la chiesa di pietra è anche relativizzata. Infatti «Del Signore è piena la terra» (cfr. Sal 119, 64). Il Signore abita nella nostra interiorità. Che dire poi della presenza del Signore nella nostra famiglia: la famiglia è la “piccola Chiesa domestica” (cfr. LG 11). E tuttavia, la chiesa di pietre (il tempio) è come un sacramento, cioè un segno efficace della grazia divina; segno efficace del suo desiderio di stare con noi e di attirarci a lui.
Il tempio è segno esterno, visibile, bello, aperto, accogliente, perché tutti sono candidati all’incontro col Signore. I nostri padri hanno voluto questo tempio, hanno scelto il luogo più attraente possibile, hanno impegnato risorse e, soprattutto, l’hanno frequentato con fede. Ce lo hanno lasciato perché sia un segno per noi, una eredità che ci responsabilizza. Questa chiesa sopravvivrà a noi e continuerà ad essere testimonianza. Ci sovviene una frase di Gesù non senza una qualche amarezza: «Quando il Figlio dell’Uomo verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8).
Che sia oggi per tutti noi una occasione per un riesame della nostra vita e delle nostre convinzioni. Che ne è della nostra fede? La nutriamo con la preghiera quotidiana? La fortifichiamo con la partecipazione domenicale all’Eucaristia, santificando il giorno del Signore? La approfondiamo facendo un serio cammino di fede (formazione e lettura della Parola di Dio)? Dal restauro della chiesa di pietra alla riforma della nostra vita cristiana.

XXIII Domenica del Tempo Ordinario – Omelia S.E. Mons. Andrea Turazzi

Savignano Monte Tassi, 7 settembre 2014
“Sono forse il custode di mio fratello?” Sono le infelici parole che ha ucciso il fratello e ha peggiorato la situazione smarcandosi dal dovere dell’assistenza fraterna. L’invito di Gesù alla correzione fraterna ci responsabilizza e ci illumina proprio su questo: “se tuo fratello pecca…”. Gesù vuole che ci prendiamo cura gli uni degli altri anche spiritualmente.
Sull’insegnamento di Gesù è sintonizzata anche una delle sette opere di misericordia: ammonire i peccatori. Chi non lo fa pecca di omissione. Anche nella società civile c’è un reato – perseguibile penalmente – che si chiama omissione di soccorso. Il profeta Ezechiele diceva d’essere stato chiamato da Dio come sentinella per il suo popolo, quindi corresponsabile della sua salvezza. Intendiamoci: sentinella, non spione dei fatti altrui, né inquisitore ma un amico che protegge, che comprende, che perdona, che corregge. La nostra indifferenza e il nostro individualismo sono la causa prima dell’abbandono dei più deboli ai tranelli dei “predatori”. La correzione fraterna è una espressione della carità; è carità raffinata a patto che sia proposta come un sincero atto d’amore: schietto, ma rispettoso. E’ un dovere dei genitori verso i figli, degli educatori verso gli allievi…
Ma Gesù propone qualcosa di più. Propone di guadagnare un fratello! Per questo dobbiamo accostarci agli altri ricordando che tra noi c’è una fraternità che il peccato e l’errore non annullano. Sorprende, l’espressione usata da Gesù: “guadagnare un fratello”; può significare varie cose: prima di tutto la premura che “nessuno di questi piccoli vada perduto” (Mt 18,14) o resti emarginato o estraneo o travolto dal male. “Guadagnare un fratello “è obiettivo di chi vuole spalancare le porte ed allargare il cuore alla accoglienza; “guadagnare un fratello” è un vantaggio anche per se stessi, si è più ricchi! E’ bello chiudere la giornata tenendo stretto nelle mani il grappolo di vita che il Signore ci ha dato. Se manca qualcuno, chiediamo al Signore di offrirci altre chances per riallacciare rapporti. E se questo non sembra realizzarsi affidiamo ogni fratello, ogni sorella, al Signore: nessuno è lontano da lui!
Il peccato altrui rimanda alla nostra personale condizione di peccatori. Non siamo santi che si piegano su un peccatore; ma peccatori che prendono un altro per mano. Non si tratta di togliere la pagliuzza dall’occhio altrui, né di regolare i conti in sospeso… Senza amore sincero, senza umiltà e pazienza, si ottiene il risultato opposto: si perde un fratello anziché guadagnarlo!
Il peccato del fratello può essere motivo di uno slancio di solidarietà. Riflessioni di questo tipo ci aiutano a stare in una condizione di parità e non di giudizio. Ci sono santi che – come Gesù – hanno amato fino al punto da prendere su di sé l’espiazione dei peccati altrui e si sono offerti per essere “membra di redenzione”. La strategia proposta da Gesù ci suggerisce di non lasciare il fratello isolato. Uno degli effetti del peccato è appunto quello di recidere la relazione con gli altri e con Dio. Allora proviamo a creare le condizioni perché il fratello senta la nostalgia e il desiderio della famiglia, della comunità e della relazione.

Solennità di San Marino – Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Fondatore della Città
Compatrono della Diocesi

Sir 14, 20 – 15, 4
Sal 47
At 2, 42-48
Mt 5, 13 – 16

Santa Messa
con la presenza dei Reggenti e delle autorità

Basilica del Santo, 3 settembre 2014

Saluto gli Eccellentissimi Capitani Reggenti, le autorità civili e militari; saluto i miei fratelli sacerdoti, i diaconi e le sorelle consacrate presenti o presenti spiritualmente; saluto tutti voi cari amici venuti in questa splendida basilica per onorare Santo Marino, fondatore della nostra città e repubblica, compatrono della diocesi insieme a San Leo.
La solennità di San Marino è anche un appuntamento festoso, una sosta salutare prima di riprendere il cammino dopo l’estate. Un’estate, questa, tremenda, per i fatti di cronaca nazionali e per gli eventi internazionali di cui non siamo semplicemente spettatori, ma, in qualche modo, coinvolti. Alludo soprattutto alla questione morale di casa nostra, agli sbarchi di migliaia di uomini in fuga da altrettanti inferni, alle guerre dimenticate ma ancora crudeli nella regione dei grandi laghi nel Congo, alle guerre vicine come quella nell’Ucraina, a quella interminabile nella terra di Gesù, e all’assurda avanzata dell’Isis che profana il nome di Dio, perseguita ed opprime minoranze cristiane presenti da duemila anni in quelle terre ed altre minoranze, altrettanto meritevoli di rispetto.
Quindici giorni fa, partendo dalle nostre parrocchie, siamo saliti all’Eremo di Carpegna per pregare la Madonna, la Madonna del Faggio, come là viene chiamata. Abbiamo messo nel suo cuore, insieme alle nostre personali urgenze, l’urgenza più grande: quella della pace.
Avevamo già aperta l’estate con una grande preghiera per e con i politici nel giorno di San Tommaso Moro per far sentire loro la nostra vicinanza e partecipazione, perché tutti mettessimo in cuore l’urgenza del bene comune come servizio e per favorire nei giovani la vocazione all’impegno politico.
La preghiera è un fiducioso antidoto all’impotenza di fronte alle sorti della intera società; è il primo servizio che possiamo rendere all’umanità, perché la preghiera è l’altra faccia della fede, abbandono nella custodia di Dio e poi esercizio di amore e di con-passione.
L’abitudine di molti – credenti e anche, più spesso di quanto si creda, non credenti – di chiedere agli uomini di Dio che li ricordino nelle loro preghiere dovrà forse essere rivalutata.
La preghiera è l’esatto contrario della rassegnazione; toglie la scena all’arroganza delle potenze del male.
Ogni volta che il silenzio e la musica della preghiera – possente e corale come oggi qui in Basilica, o struggente e intima come nelle case o nelle pievi che trapuntano il nostro territorio – si leva ad avvolgere la comunità degli uomini, i delusi e gli oppressi della terra drizzano le orecchie, perché la preghiera custodisce la speranza per tutti.
Gli uomini e le donne che hanno servito e servono Dio in spirito e verità non pregano soltanto per i buoni, ma per tutti noi peccatori.
E se non ci si è ancora spenta l’anima è perché i santi non ci hanno escluso dalla loro preghiera.
Affidiamo al Santo Marino questi nostri giorni, le nostre ansie e i nostri deficit di speranza. In Santo Marino riconosciamo le radici della nostra Repubblica, i suoi valori, il suo genio, così da duemila anni! Quando il pellegrino – dice un proverbio africano – beve al torrente, pensa alla sorgente. Una sorgente che ancora zampilla, altrimenti non saremmo qui. Questo nostro riunirci non è folklore; questa assemblea non è una ricostruzione di epoche lontane. Qui accade per noi l’incontro con una persona viva: Gesù Cristo, di cui Marino fu geniale discepolo e intraprendente testimone.
La prima lettura (dal Siracide) – che vediamo realizzata in Santo Marino – gronda di una serie di verbi che descrivono l’instancabile corteggiamento alla verità. Ne ho contati almeno quindici! Il sapiente si dedica, riflette, medita, penetra, insegue, si apposta, spia, ascolta, sosta, fissa la sua tenda, vi riposa, vi mette i suoi figli, vi soggiorna, si protegge, l’abita… Verbi che dicono la fatica del cammino, l’onestà della ricerca, la fedeltà nella perseveranza, la custodia della verità che il sapiente non abbandona più. Penso alle sfide che, oggi, siamo chiamati ad affrontare, all’aggiornamento di antiche consuetudini, ai valori da trasmettere intatti alle nuove generazioni. Nella festa di San Leo, l’altro nostro patrono, avevo sottolineato – quasi parafrasando un’affermazione di Dostoevskij – che “la bellezza della famiglia salverà il mondo”. Consideravo San Leo l’architetto evangelico (cfr. Mt 7, 24-25) che costruisce sulla roccia: “Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sulla roccia”. La famiglia è la solida roccia su cui è fondata la nostra società, la famiglia fondata sull’amore fra l’uomo e la donna e aperta alla vita.
Oggi chiediamo allo scalpellino di Arbe, Santo Marino, di custodirci nella sacralità della vita e di aiutarci ad assumere la sua intangibilità come criterio delle nostre scelte civiche riguardanti la vita umana dal momento del suo sbocciare al suo tramonto. (Alla sacralità della vita si rifanno anche tutte le altre scelte politiche che promuovono la dignità di ciascuno).
Il breve, ma intramontabile passo degli Atti degli Apostoli appena letto, ci tramanda un quadro ideale a cui ispirare la ricerca del bene comune. Ieri sera dicevo ai circa cinquecento giovani che si preparavano alla festa di oggi, che non solo è bello tutto questo, ma che è possibile. Aggiungevo poi che Gesù non dice: “sforzatevi di essere sale della terra, di essere luce del mondo”, ma “voi siete il sale, la luce…”. Guai se il cristiano perde la sua identità, la sua differenza specifica. Ma dico a chi ancora non ha incontrato il Signore Gesù: guai se per indulgenza o per rinuncia all’esercizio della ragionevolezza non trasmettiamo ai giovani punti fermi, evidenze e valori sicuri. Questa è per tutti la lezione, la profezia racchiusa nella nostra storia. San Marino, piccola repubblica e grande nella sua libertà e originalità.
Una luce, anche se piccola, si vede da lontano!

VEGLIA DEI GIOVANI – Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi –

Testimonianza di SIMONA ATZORI

Fondatore della Città
Compatrono della Diocesi

Sir 14, 20 – 15, 4
Sal 47
At 2, 42-48
Mt 5, 13 – 16

Santa Messa nella veglia
con la presenza dei giovani e dei loro educatori

Basilica del Santo, 2 settembre 2014

1. La Parola di Dio che abbiamo ascoltata sfida la vostra giovinezza. Sorpassa l’audacia tipica della vostra età. Indica mete fuori dalle righe.
Lasciamoci provocare dal quadretto – ideale, ma così sperimentato – che descrive l’originalità di vita dei primi cristiani: “Tutti quelli che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune”, e conclude: “frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore”. Una socialità basata su rapporti fraterni, su una libertà sorprendente dalle cose, su una disponibilità alla condivisione, su un comune centro ispiratore, anzi, una Persona realmente incontrata che tutti li unisce: Gesù, il Signore!
Che bella, che giovane, che attraente la vita dei primi cristiani.
Noi, questa sera, vogliamo testimoniare che non solo è bella, ma possibile. La si può vivere da subito, qui, adesso. Quando sei attento nell’ascolto del Vangelo e pronto al perdono, quando sei un entusiasta della vita e dei sogni più belli; quando sei disposto ad uscire da te stesso per stringere legami autentici e deciso a dare un taglio a ciò che non è puro, non è vero, non è giusto.
2. Il breve tratto di Vangelo poi è entusiasmante, propositivo. Gesù non dice: “Sforzatevi di essere sale; sforzatevi di essere luce”, ma “voi siete il sale; voi siete la luce”. Tanta è la considerazione che ha di voi. E’ una Parola pronunciata su di voi!
Non tiratevi indietro per falsa modestia: “Io? Come posso? Io che mi vedo così limitato, così mediocre?” Non avete un’idea della fortuna che vi è capitata di averlo incontrato… Anche i limiti possono rappresentare un punto di partenza.
Non tiratevi indietro per viltà: per paura della derisione, per quieto vivere, per evitare grane, per sfiducia in voi stessi.
Non tiratevi indietro per il pregiudizio secondo il quale il Vangelo, con la sua carica rivoluzionaria (di rinnovamento) e la testimonianza della sua tradizione sarebbe ormai sbiadito, poco più che acqua santa, santino ingiallito, nostalgia… Oggi sembra sia al tramonto un certo cristianesimo sociologico, ma questo tempo può essere davvero l’inizio del cristianesimo della grazia e della libertà. Chi può misurare le sorprese che lo Spirito prepara alla sua Chiesa?
Sale e luce voi siete. Sale e luce indispensabile per oggi e per la nostra società. Voi non siete soltanto una parte del futuro del mondo e della Chiesa, siete una parte necessaria del presente! Sale e luce reclamati, attesi. Ma ci vuole coraggio, intraprendenza, voglia di vivere. La vita è il dono più bello!
Durante l’estate sono stato – almeno per qualche ora – in molti campeggi e campi scuola. Di entusiasmo e di intraprendenza ne ho vista assai.
3. Santo Marino, figura lontana nel tempo, ma testimone e genio di cristianesimo vissuto, ha saputo realizzare un sociale cristiano, ancora smagliante. La liturgia lo vede come innamorato della sapienza e, più ancora, della ricerca della verità che insegue come fa il cacciatore: “insegue… si apposta sui suoi sentieri”. Il Siracide poi continua: “spia alle sue finestre e sta ad ascoltare alla sua porta”. E conclude: “Fa sosta vicino alla casa della sapienza… e alza la propria tenda presso di essa… e metterà i suoi figli sotto la sua protezione”. Sì, sotto quella tenda siete custoditi.
Ricordo, a questo proposito, quanto vi disse papa Benedetto nell’incontro con voi a Pennabilli nel giugno del 2011: “L’uomo non può vivere senza questa ricerca della verità su se stesso – che cosa sono io, per che cosa devo vivere – verità che spinga ad aprire l’orizzonte e ad andare al di là di ciò che è materiale, non per fuggire dalla realtà, ma per viverla in modo ancora più vero, più ricco di senso e di speranza, e non solo nella superficialità. E penso che questa sia anche la vostra esperienza (…). I grandi interrogativi che portiamo dentro di noi rimangono sempre, rinascono sempre: chi siamo?, da dove veniamo?, per chi viviamo? E queste questioni sono il segno più alto della trascendenza dell’essere umano e della capacità che abbiamo di non fermarci alla superficie delle cose”.
Papa Francesco la settimana scorsa alla Giornata della Gioventù Asiatica ha detto ai giovani: “Voi vedete e amate dal di dentro tutto ciò che è bello, nobile, vero…Al tempo stesso come cristiani sapete anche che il Vangelo ha la forza di purificare, elevare e perfezionare questo patrimonio” (da Omelia del Santo Padre Francesco, Santa Messa conclusiva della VI Giornata della gioventù asiatica, Castello di Haemi, 17 agosto 2014).
La vostra giovinezza sia un dono a Gesù e al mondo!

Omelia XXII Domenica del Tempo Ordinario – Festa di San Gaspare del Bufalo

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Soanne, 31 agosto 2014
Festa di San Gaspare del Bufalo

 

Pietro, la roccia, torna ad essere un terreno scivoloso, ripiomba in logiche umane, lui che ha udito il sussurro celeste del Padre. A Gesù che è coraggiosamente deciso al supremo dono di sé -“devo andare a Gerusalemme e soffrire molto…e venire ucciso e risorgere il terzo giorno”- Pietro suggerisce invece un orizzonte piccolo piccolo, borbottando parole di cortesia: “No, Signore; questo non ti accadrà mai !”.

Pietro ci assomiglia tanto. Anche noi ci entusiasmiamo dopo una bella esperienza; un successo ci trasfigura. Ci contagiano gli esempi e le virtù dei grandi. Ma sono guai quando scocca, anche per noi, l’ora di una decisione importante e definitiva, quando si fa urgente un taglio sulla carne dei sentimenti o quando è necessario cambiare marcia perché la strada è tutta in salita. Nel momento della prova, gioverebbe ricordare un celebre passo della “Imitazione di Cristo”; dice Gesù che molti amano il suo Regno celeste, ma pochi portano la sua croce. Molti desiderano la consolazione, ma pochi desiderano la desolazione. Trova molti compagni alla mensa, ma pochi nell’astinenza. Tutti desiderano godere con Lui, pochi vogliono soffrire qualcosa per Lui e con Lui” (Imitazione di Cristo, II, 11).

Dunque, nel momento della svolta e del salto di qualità, ci vuole coraggio. Un giovane chiese a Gesù: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. Gesù gli chiese di andare oltre i tre verbi che aveva usato: che cosa devo, fare, per avere… e gli indicò l’unica cosa necessaria da cui viene tutto il resto: “Segui me” (cfr. Mt 19,16-22). Gesù non propone alcun volontarismo né alcuno sforzo titanico; chiede solo di fissare lo sguardo su di Lui. Lungo la salita Gesù ripete: guarda me, non sei solo. Non tirati indietro. Fai come ho fatto io. Si salva la vita amando. Amare comporta sempre dimenticanza e dono di sé. Fai come me, insiste Gesù, prendi su di te una vita che sia il riassunto della mia. Noi non siamo capaci di amare quanto Gesù, ma come Lui, sì. Non attardiamoci su inconcludenti se e ma. “Non voltarti – dice Gesù – guarda me. Non fissare lo sguardo nel vuoto che senti attorno, sono con te e traccio il cammino”.

Gesù ci conosce. Sa di che pasta siamo, ci svela la nostra più profonda identità: siamo fatti per essere dono, relazione, futuro. Rinnegare se stessi: sono parole pericolose se capite male. Rinnegarsi non significa annullarsi, diventare insapore e incolore. Gesù non vuole dei frustrati al suo seguito, ma gente che ha fruttificato appieno i suoi talenti (Ermes Ronchi).

Guardami – ripete ancora Gesù – ti dico il segreto della tua piena realizzazione; diversamente, a che giova guadagnare il mondo intero se perdi te stesso?
Chi spende la vita ad accumulare cose, alla fine si ritrova solo con un pugno di mosche. Guardarlo, dunque, non solo per imitarlo, guardarlo, non solo per camminare dietro di Lui. Guardarlo per essere come Lui: dono.

Omelia XXII Domenica del Tempo ordinario – Cresime a Pennabilli

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Sante Cresime
Cattedrale di Pennabilli, 31 agosto 2014
 

Siete qui non per ricevere una benedizione ma un sacramento! Sacramento è un’azione compiuta da Gesù risorto, presente in mezzo a noi, Sua chiesa.
É il giorno della vostra Cresima.
Ministro della Cresima è il successore degli Apostoli, il Vescovo. Una catena ininterrotta unisce il vescovo Andrea agli Apostoli e con gli Apostoli a Gesù stesso. L’azione di Gesù compiuta su di voi attraverso il Vescovo consiste nella imposizione delle mani sul vostro capo (un gesto che risale ai primi tempi) e nell’unzione delle vostre fronti con il Sacro Crisma, l’olio profumato.
Imposizione delle mani e olio profumato sono il segno visibile, ma per le parole che vengono pronunciate dal Vescovo, quel segno è efficace, fa quello che significa: lo Spirito Santo, terza divina Persona, Spirito di Gesù risorto e del Padre, Amore che li unisce, scende e profuma tutta la vostra persona.
Lo Spirito Santo è come il bacio che Gesù vi stampa sul cuore. Un bacio indelebile: non si cancella più!
Ogni giorno il vero cristiano pensa a questo dono che ha ricevuto, è un punto ricorrente nella sua preghiera; e non solo pensa al dono, ma crede alla forza che gli conferisce (lo Spirito Santo è divenuto suo compagno di viaggio, sua luce, suo Avvocato difensore); il vero cristiano allora è capace di fare come fa Gesù, perché lo Spirito Santo lo fa diventare un altro Gesù.
Voi ricevete il Sacramento della Cresima in un passaggio straordinario della vostra vita. La Cresima suggella il tempo della iniziazione cristiana: col Battesimo, l’Eucaristia e la Cresima siete pienamente e definitivamente cristiani, membri a pieno titolo della Chiesa. Siete arrivati! Forse vi è costata fatica la frequenza al catechismo, forse vi hanno pesato i tanti insegnamenti, gli impegni, gli appuntamenti…
Da oggi parte un nuovo inizio; giovani anagraficamente, ma adulti nella fede. Vi attendono altri impegni, vere prove di maturità, vere e proprie responsabilità. Finora eravate come aquiloni saldamente attaccati al filo, d’ora in poi siete come scialuppe che affrontano il mare aperto.
State per iniziare le scuole superiori: batticuori, nuovi ambienti, nuovi compagni, nuovi maestri, nuove sfide… Si allarga l’orizzonte della conoscenza, prenderete in considerazione nuove domande, si affacceranno dubbi.
Inizia il momento dell’adolescenza: ragazzi e signorine che passano in fretta da una emozione all’altra, che devono imparare a gestire il proprio corpo e gli stati d’animo. Fate esperienza della vostra libertà: all’inizio penserete che sia emancipazione, “libertà da”, poi scoprirete che è più bella una “libertà per”.
La parrocchia non sprofonda nel nulla…vi attende una forma nuova di fare gruppo, attraente e adeguata alla vostra età.
Lo Spirito Santo è con voi. Vostra forza. Vostro consigliere. Sapore che dà gusto alle vostre giornate.

DOMENICA XXI del T.O. – 24 Agosto 2014

Parrocchia di S.Agata Feltria – Saluto alle Suore di Santa Dorotea – Omelia

“Se non ardi, non accendi”: così amava ripetere il beato Luca Passi alle sue suore. E qui a S.Agata – care sorelle- di fuochi ne avete accesi tanti. Avete riscaldato cuori, avete illuminato intelligenze, avete consumato energie. Sarebbe suggestivo sviluppare la metafora della combustione per descrivere la vostra vita, una vita consacrata all’amore. Sublime vocazione!
Pensiamo con indicibile gratitudine alle suore succedutesi in questa mirabile staffetta dal 1861 quando il fondatore il beato Luca Passi, acquistò qui a S.Agata la casa che ora stiamo per chiudere.
Alla madre provinciale va il ringraziamento della Parrocchia e della Diocesi.
Grazie a Suor Renata, Suor Anna, Suor Ernesta, Suor Blandina a cui viene chiesto di soffrire più acutamente per il distacco; ma state certe: la fiamma che avete alimentato con il vostro servizio nel campo della catechesi e dell’apostolato famigliare, nel servizio alla comunità parrocchiale, nell’accoglienza ai gruppi, specialmente quelli organizzati dalla pastorale giovanile, non si spegnerà. Questa fiamma sarà alimentata in primis dalla vostra preghiera e dall’offerta quotidiana di voi stesse: noi vi apparteniamo, come voi appartenete per sempre a noi. Questa fiamma sarà alimentata dall’impegno solenne che prendiamo davanti al Signore e a voi di ripresa nella vita cristiana, di dedizione ancor più generosa all’educazione della gioventù, di partecipazione alla vita della nostra e vostra parrocchia. Lo faremo anche attraverso l’Opera di Santa Dorotea presente qui a S. Agata che coltiva il carisma del vostro fondatore. Ci proponiamo poi di metterci in ascolto (è un invito speciale rivolto alle ragazze e ai ragazzi) insieme ai giovani per non lasciar cadere l’invito accorato di Gesù: “Sono venuto a portare fuoco sulla terra, come vorrei che fosse già acceso” (cfr Lc 12,49).
Oggi il Vangelo ci interpella in modo particolare. Gesù rilancia un sondaggio d’opinione: “La gente chi dice chi sia il Figlio dell’Uomo?” e poi più sotto, incalzando: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Non valgono le risposte imparaticce ,non valgono neppure le definizioni che, fortunatamente, ci hanno dato catechisti, genitori, nonni. Dunque: Gesù liberatore? Salvatore? Amico? O Dio? Cosa significa chiamare Gesù “Dio”? Con questo attributo vogliamo dire che Lui è il Signore della nostra vita, che siamo suoi e gli apparteniamo. Per questo abbiamo pregato che ci conceda “di amare ciò che comanda, e desiderare ciò che promette” e “che i nostri cuori siano fissi in Lui, dove è la vera gioia”.
Ma la domanda si fa ancor più intrigante: “Ma per te, chi sono io?”. Allora tocchiamo con mano come la fede è cosa personale. Nessuno può rispondere al posto nostro. E’ necessario affrontare la questione passando da una fede ricevuta a una fede personalizzata. Esige una risposta d’amore, non solo dottrinale. Ci sono momenti della vita in cui questa risposta è provocata dalla difficoltà o dai passaggi ripidi che ci impone; allora la risposta si fa diretta: “Tu sei il mio Dio, il mio tutto”.
La risposta di Pietro: “Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente” fu come un sasso lanciato in mezzo di un laghetto tranquillo, da Abramo a Giovanni Battista si attendeva la realizzazione di una promessa; tutti aspettavano: chi sarà? Dov’è colui che porterà salvezza? Ebbene, a Cesarea di Filippo ha posto un atto fondatore riconoscendo in Gesù il Signore. Da quel momento si dispiega il grande mistero della Chiesa: l’onda creata dal sasso in successivi cerchi lambisce le rive dell’umanità. Così la Chiesa annuncia a tutti che Gesù è il compimento di ogni attesa.
La fede di ciascuno di noi è personale ed è ecclesiale: “io credo, noi crediamo”!

 vescovo Andrea

Omelia XXI Domenica del Tempo ordinario – Saluto alle Suore Dorotee

Omelia di S.E.Mons. Andrea Turazzi

Parrocchia di S.Agata Feltria – Saluto alle Suore di Santa Dorotea, 24 agosto 2014

“Se non ardi, non accendi”: così amava ripetere il beato Luca Passi alle sue suore. E qui a S.Agata – care sorelle – di fuochi ne avete accesi tanti. Avete riscaldato cuori, avete illuminato intelligenze, avete consumato energie. Sarebbe suggestivo sviluppare la metafora della combustione per descrivere la vostra vita, una vita consacrata all’amore. Sublime vocazione!
Pensiamo con indicibile gratitudine alle suore succedutesi in questa mirabile staffetta dal 1861, quando il fondatore, il beato Luca Passi, acquistò qui a S.Agata la casa che ora stiamo per chiudere.
Alla madre provinciale va il ringraziamento della Parrocchia e della Diocesi.
Grazie a Suor Renata, Suor Anna, Suor Ernesta, Suor Blandina a cui viene chiesto di soffrire più acutamente per il distacco; ma state certe: la fiamma che avete alimentato con il vostro servizio nel campo della catechesi e dell’apostolato famigliare, nel servizio alla comunità parrocchiale, nell’accoglienza ai gruppi, specialmente quelli organizzati dalla pastorale giovanile, non si spegnerà. Questa fiamma sarà alimentata in primis dalla vostra preghiera e dall’offerta quotidiana di voi stesse: noi vi apparteniamo, come voi appartenete per sempre a noi. Questa fiamma sarà alimentata dall’impegno solenne, che prendiamo davanti al Signore e a voi, di ripresa nella vita cristiana, di dedizione ancor più generosa all’educazione della gioventù, di partecipazione alla vita della nostra e vostra parrocchia. Lo faremo anche attraverso l’Opera di Santa Dorotea, presente qui a S. Agata, che coltiva il carisma del vostro fondatore. Ci proponiamo poi di metterci in ascolto (è un invito speciale rivolto alle ragazze e ai ragazzi insieme ai giovani) per non lasciar cadere l’invito accorato di Gesù: “Sono venuto a portare fuoco sulla terra, come vorrei che fosse già acceso” (cfr. Lc 12,49).
Oggi il Vangelo ci interpella in modo particolare. Gesù rilancia un sondaggio d’opinione: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’Uomo?” e poi, più sotto, incalzando: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Non valgono le risposte imparaticce, non valgono neppure le definizioni che, fortunatamente, ci hanno dato catechisti, genitori, nonni. Dunque: Gesù liberatore? Salvatore? Amico? O Dio? Cosa significa chiamare Gesù “Dio”? Con questo attributo vogliamo dire che Lui è il Signore della nostra vita, che siamo suoi e gli apparteniamo. Per questo abbiamo pregato che ci conceda “di amare ciò che comanda, e desiderare ciò che promette” e “che i nostri cuori siano fissi in Lui, dove è la vera gioia”.
Ma la domanda si fa ancor più intrigante: “Ma per te, chi sono io?”. Allora tocchiamo con mano come la fede è cosa personale. Nessuno può rispondere al posto nostro. É necessario affrontare la questione passando da una fede ricevuta a una fede personalizzata. Esige una risposta d’amore, non solo dottrinale. Ci sono momenti della vita in cui questa risposta è provocata dalla difficoltà o dai passaggi ripidi che ci impone; allora la risposta si fa diretta: “Tu sei il mio Dio, il mio tutto”.
La risposta di Pietro: “Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente” fu come un sasso lanciato nel mezzo di un laghetto tranquillo. Da Abramo a Giovanni Battista si attendeva la realizzazione di una promessa. Tutti aspettavano: chi sarà? Dov’è colui che porterà salvezza? Ebbene, a Cesarea di Filippo, Pietro ha posto un atto fondatore riconoscendo in Gesù il Signore. Da quel momento si dispiega il grande mistero della Chiesa: l’onda creata dal sasso in successivi cerchi lambisce le rive dell’umanità. Così la Chiesa annuncia a tutti che Gesù è il compimento di ogni attesa.
La fede di ciascuno di noi è personale ed è ecclesiale: “Io credo, noi crediamo”!

+ vescovo Andrea

XX Domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
“Camminata del risveglio sulle orme dei nostri padri”.
Eremo di Carpegna, 17 agosto 2014

Is 56, 1.6-7
Sal 66
Rm 11, 13-15.29-32
Mt 15, 21-28

(da registrazione)
Una madre implora la guarigione per la sua bambina. Ma Gesù ci raggela con la sua reazione, lui così dolce e umile di cuore, sempre delicato e sensibile di fronte alla sofferenza dei piccoli, ha un atteggiamento di freddezza verso questa mamma; dà l’impressione di allontanarla. Tuttavia lei non si arrende davanti al silenzio di Gesù.
Ci sono tante interpretazioni di questi versetti – ve le risparmio – vi dico quello che è il frutto della mia meditazione. La donna straniera chiama Gesù come avrebbe fatto il più osservante degli Ebrei: lo chiama «Signore», «Figlio di Davide»; con queste parole lo designa come il Messia che deve venire. E’ correttissima, ma Gesù vuol far crescere in lei un’altra dimensione, vuole che non si fermi alla formula, per quanto esatta. Le parla con espressioni simili a quelle che aveva usato con la donna più cara della sua vita, Maria sua madre. Gesù si rivolge alla donna cananea come si rivolse a Maria quando, alle nozze di Cana, replicò a lei che domandava un prodigio «Che ho da fare con te o donna? Non è ancora giunta la mia ora» (cfr Gv 2,4). Come Maria di Nazaret anche la donna cananea riesce con la sua insistenza a spostare le lancette dell’ora di Gesù. Come ha fatto? Con la fede, con la sua umiltà e con l’unico tesoro che questa donna possiede: la sua bambina. Per quanto sprovveduta, quella donna sa che il Dio di Israele è un Dio di bontà e si accontenterebbe delle briciole. Gesù cede e le dice: «Donna davvero grande è la tua fede»; si complimenta con lei. E quand’è che Gesù ammira la fede di una persona, quand’è che ammira ciascuno di noi? Quando gridiamo verso di lui con audacia, con insistenza, quando ci facciamo umili, piccoli come bambini, allora lui ascolta, guarda, si lascia toccare, risponde… E noi, che crediamo di credere, abbiamo un po’ della fede di quella donna cananea? Preghiamo, sì; ma non otteniamo, perché? Forse Dio fa con noi come con quella donna, vuole purificare la nostra fede, formarci all’umiltà e soprattutto alla confidenza, vuole che guardiamo attorno a noi i fratelli e le sorelle che sono il nostro tesoro che portiamo nella preghiera.
Ricordate quando Dio incontrò Caino e gli disse «Dov’è tuo fratello?» (cfr Gn 4,9). Ricordate la sua risposta: «Son forse il custode di mio fratello?» (cfr Gn 4,9). Era la risposta peggiore che potesse dare. Allora noi vogliamo, in questa Eucaristia, andare incontro a Gesù tenendo per mano strette strette tutte le persone che Gesù ci ha affidato a cominciare da quel grappolo di vita così bello che è la nostra famiglia. É importante che ci mettiamo in rete, che cantiamo la bellezza della famiglia. Nella famiglia sono unite insieme tutte le differenze: l’uomo e la donna, il piccolo e il grande, il giovane e il vecchio, il fratello che ha studiato e quello che ha solo la quinta elementare, quello che va in chiesa e quello che non ci va, quello che è “di destra” e quello che è “di sinistra”… nella famiglia tutto è accolto. Essa è il luogo della custodia di tutte le differenze. Questa è solo una delle cose che rende bellissima la famiglia e noi lo vogliamo proclamare in faccia al mondo. Con il Signore bastano parole semplici…
Una persona che andava a scuola di preghiera, alla domanda “come si fa a pregare?” si sentiva dire dal maestro: “A pregare si impara pregando”. Ogni giorno, l’allievo tornava sconsolato dal maestro e lui ripeteva sempre la stessa cosa, finché un giorno l’allievo non tornava più, si era attardato sotto un albero a pregare. Alla sera, al suo ritorno, il maestro gli chiese se avesse imparato a pregare e come. L’allievo rispose che diceva così al Signore: “A, b, c, d…” – tutto l’alfabeto – aspettando che fosse Lui, il Signore, a comporre le parole. Al Signore bastano parole semplici, ma che vengano dal fondo di noi stessi, perché non sempre le labbra sono collegate al fondo di noi stessi. A volte anche i ragionamenti non pescano del tutto nella parte vitale del nostro cuore. La preghiera è un grido che sale dal profondo, la preghiera è … materna!
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DISCORSO DEL VESCOVO PRIMA DELLA SANTA MESSA
Oggi siamo venuti quassù, al santuario della Madonna del Faggio, a pregare per le nostre famiglie, siamo venuti per chiedere il dono di tante vocazioni sacerdotali, religiose, missionarie, diaconali, ma siamo venuti anche a chiedere che si viva la vita di famiglia come vocazione.
Insieme a queste intenzioni e a tutte quelle che abbiamo covato nel cuore durante il cammino, vogliamo fare una grande preghiera per i nostri fratelli perseguitati in Nigeria, in Siria e soprattutto, in questi ultimi mesi, nel nord dell’Iraq.
Ci uniamo a tutti quelli che chiedono rispetto e tolleranza, non solo ai cattolici, ma a tutte le minoranze che non vengono considerate nei loro sentimenti e nel loro credo. Sarebbe bello che i cristiani che vivono in quelle regioni, non fossero costretti a venir via; anzi – mi verrebbe da dire – perché non andiamo là anche noi? E’ facile dirlo per me che sono qui, ma è veramente importante andarci per tener viva la presenza cristiana, per costruire il dialogo sul posto ed inoltre perché le minoranze cristiane sono una grande risorsa per il bene comune di quelle terre. Allora io propongo ad ognuno di noi di adottare un cristiano, perché possa continuare la sua missione, magari spostandosi di villaggio in villaggio. Vorrei che mettessimo da parte qualcosa del nostro bilancio familiare per sostenere quelle persone. In seguito, con l’aiuto della Caritas, potremo essere più precisi su come svolgere questa operazione nel modo migliore e più sicuro.
Poi mi viene da domandare – non a voi che ho visto numerosi stamattina, riuniti a pregare nelle piazze, prima di partire, a “pregare per pregare bene” – ma a me: “Tu, don Andrea, sei un vero cristiano? Cosa sei disposto a dare a Gesù? Per lui cosa sei pronto a fare?”. É una domanda che ho nel cuore e che depongo ai piedi di Maria perché mi incoraggi, perché, se c’è bisogno, smascheri le mie meschinità e me le renda note e poi perché aiuti me e tutti a diventare santi.
Concludo con il racconto di un fatterello molto significativo. Un ragazzino di terza media era stato interrogato in matematica ed era alla lavagna. Era il mese di maggio. Gli era venuto da starnutire e voleva tirar fuori il fazzolettino, invece gli è uscita dalla tasca la corona del rosario. Potete immaginare il coro pettegolo delle ragazzine e dei suoi amici che lo deridevano… Vedete, la persecuzione è anche qui; una persecuzione sorda, criptica, nascosta ma tremenda, in fabbrica, a scuola, ovunque. Il ragazzino coraggiosamente ha risposto: “Cosa c’è di male se dico il rosario?”. Quel ragazzino è stato un missionario.

Solennità dell’Assunzione di Maria

Santuario Madonna delle Grazie di Pennabilli, 15 agosto 2014

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

La Chiesa guarda Maria, assunta al Cielo in anima e corpo, come icona del suo futuro. Nell’Assunzione è anticipato il traguardo definitivo dell’esistenza umana, esistenza corporea, non angelica! Molti cristiani si fermano alla considerazione dell’immortalità dell’anima (convinzione comune alle grandi religioni e data per certa anche dalla filosofia classica occidentale) e non osano spingersi nella prospettiva dischiusa dalla Parola di Dio, anche se ogni domenica nella professione di fede proclamano: Credo nella risurrezione della carne.

Come Maria, anche noi risorgeremo col nostro corpo. Infatti i dogmi che riguardano la Madonna, ben più che un privilegio esclusivo, sono indicazioni esistenziali valide per ogni uomo e ogni donna.

Vidi una donna vestita di sole… Il segno della donna nel cielo evoca l’intera umanità, la Chiesa di Dio, ciascuno di noi. Saremo restituiti ad un corpo che mostrerà la bellezza dell’anima redenta, per il dono di una nuova creazione. Nell’Assunzione viene glorificato il corpo, troppo presto screditato come sorgente di peccato e tristemente opaco: e pensare che il Figlio di Dio l’ha voluto per amare da uomo in carne e ossa e fare del corpo lo strumento della redenzione, via di comunicazione. Certo, il corpo può essere asservito al peccato… e allora sono guai! L’anima è santa scrive un commentatore – ma il Creatore non spreca le sue meraviglie: anche il nostro corpo è santo e avrà, trasfigurato, lo stesso destino dell’anima. Perché l’uomo è uno. Nel giorno dell’Assunta abbiamo contempliamo dettagliatamente la bellezza nella corporeità di Maria.

I piedi di Maria: li sentiamo camminare verso Elisabetta, la cugina alle prese con una maternità ai tempi supplementari; piedi ancor più veloci nell’inseguire Gesù come prima discepola e poi ben piantati sotto la Croce.

Il grembo di Maria: dentro le sue viscere si è annidato il Verbo. Grembo che ci fa pensare alla nostra avventura di cuccioli in attesa di “nascere al Cielo” per vedere finalmente il volto di Colui che ci porta in sé senza stancarsi.

Il seno di Maria: spesso è raffigurato nell’atto dolcissimo di nutrire Gesù. Il Signore dell’universo si è aggrappato a lei e da lei e di lei si nutre. Il pudore non è minacciato: risplende, al contrario, la femminilità intesa come dono di sé.

Le mani e le braccia di Maria: raffigurate talvolta unite nella preghiera, altre volte nell’ indicare la Via (Gesù che tiene sulle ginocchia), e ancor più belle consumate per il quotidiano lavoro nella casa.

E il cuore di Maria? Lo vediamo e lo sentiamo pulsare attraverso le sue mani e le sue braccia; cuore che diviene intraprendenza, servizio, vitalità.

Il volto di Maria: le labbra, gli occhi, e le rughe sulla fronte… “De Maria numquam satis”!