Pellegrinaggio in Terra Santa – sesto giorno

29 settembre 2019

La spianata delle moschee, il muro del pianto: due mondi che si intersecano nello stesso spazio. Un tempo qui sorgeva l’area sacra degli ebrei. Ora è rimasto solo il muro occidentale. Agli arabi le moschee, agli ebrei il “muro del pianto”. Avvertiamo la tensione, la si respira nell’aria nel susseguirsi dei check point, nei crocicchi di soldati e soldatesse israeliani e di agenti della sicurezza araba. Quello che potrebbe essere un modello di convivenza, in realtà è un campo di battaglia. Facciamo fatica a capire.
Ammiriamo lo splendore delle grandi moschee (di al-Aqsa e di Omar) e l’ampio spazio un tempo sito di una delle meraviglie del mondo antico: il tempio di Salomone. Chissà come l’Altissimo vede le relazioni tra gli uomini… Non possiamo entrare nelle moschee, siamo europei e cristiani. Riusciamo ad arrivare al muro del pianto. Qualcuno di noi ignora il modo di pregare degli ebrei ortodossi. Fatica a trattenere lo stupore. Ne parliamo. Questo un nostro pensiero: saper accogliere le differenze, impossibile eliminarle. La qualità della nostra vita si gioca tutta sulle relazioni: buone relazioni, vita bella; cattive relazioni, vita triste. Ma possiamo fare un passo: guardare le differenze come un valore da accogliere, che ci educa e ci costringe all’apertura. Il resto di questa lunga mattinata lo trascorriamo al Museo Yad Vashem. Sostiamo orgogliosi davanti alla targa che ricorda un sammarinese che ha meritato di essere onorato come un “giusto”: Ezio Giorgetti. A lui è dedicato un albero nel parco della memoria. Entriamo nel Museo. Nella grande sala centrale, quasi un tempio, un soffitto di pietra sovrasta pesante sui visitatori: una pietra tombale. Una lampada arde tra le scritte sul pavimento di marmo nero che ricordano i campi di concentramento nazisti. Entriamo poi in un tunnel che ci porta in un ampio spazio completamente buio, dove brillano migliaia di stelline. Ognuna rappresenta un bambino vittima nei lager. La voce fuori campo ripete i loro nomi, uno dopo l’altro: un’angosciante litania. Quando torniamo alla luce più di uno si sta asciugando le lacrime. Entriamo nel padiglione che raccoglie la documentazione dell’olocausto. Siamo come ingoiati in un dolore immenso. Al rientro rileggiamo una lettera inviata dal Vescovo agli studenti del nostro Liceo in visita ad Auschwitz, nel 2016. Ecco qualche riga: «Nella sinistra oscurità di Auschwitz verranno a mancarvi perfino le parole, resterà solo uno sbigottito silenzio. In questo atteggiamento di silenzio inginocchiatevi profondamente nel vostro intimo davanti alla schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte. Il vostro è un viaggio della memoria, ma il passato non è mai solo passato: ci riguarda e indica le vie da non prendere e quelle da prendere. Ascoltate le parole che sgorgano dal cuore e trasformatele, se volete, in un grido interiore verso Dio: “Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?”. È preghiera che io chiamo “preghiera del Perché?”, la stessa che ha fatto vibrare le labbra del Cristo Crocifisso: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. È il grido di tutti coloro che nel corso della storia – ieri, oggi e, non vorrei dirlo, domani – soffrono per amore della verità, della libertà e del bene, e di coloro che soffrono anche senza un motivo se non per l’irrazionalità e la prepotenza di uomini malvagi e di poteri iniqui. In questo viaggio proponetevi: di condurre la ragione a riconoscere il male e a rifiutarlo; di suscitare in voi il coraggio del bene, della resistenza contro il male; di fare vostri quei sentimenti che Sofocle mette sulle labbra di Antigone di fronte all’orrore che la circonda: “Sono qui non per odiare insieme, ma per insieme amare” (cfr. Sofocle, Antigone, v.497-525)».
Nel pomeriggio visitiamo il Cenacolo. Per noi è un cuore pulsante: qui Gesù lava i piedi agli apostoli, dà il comandamento nuovo, istituisce Eucaristia e sacerdozio, promette lo Spirito e prega per l’unità. Nel Cenacolo accadono le apparizioni del Risorto (quella senza Tommaso e quella con Tommaso) e la Pentecoste, inizio della Chiesa. Qui è necessaria una sosta. Entriamo nel giardino accanto. I francescani ci consentono di riposare. Decidiamo di “staccare la spina”, di riflettere sulle emozioni del mattino e di interiorizzare i palpiti del Cenacolo. C’è la possibilità della Confessione: sono con noi don Alessandro e don Flaviano. Il Cenacolo è di proprietà araba, ma è uno spazio spirituale ed un’atmosfera educativa per tutti.

 

Pellegrinaggio in Terra Santa – quinto giorno

28 settembre 2019

Betlemme. Intoniamo canti natalizi… con 34 gradi e col sole a picco. C’è da fare una lunga coda per scendere alla grotta della Natività: un serpentone multicolore, plurilingue, multireligioso. Nel luogo dell’umiltà incarnata c’è chi fa il furbo: scavalca, urta, sgomita. Nonostante i buoni propositi ci si inquieta. Effettivamente l’arroganza suscita indignazione. Cerchiamo di mantenere la calma. C’è chi sa vedere il positivo: «Guarda quanti sono attirati da Gesù». In verità, tra i pellegrini si sono infiltrati turisti, cristiani per caso e scatenati fotografi. Abbiamo l’auricolare, strumento indispensabile per questi giorni e soprattutto qui per ascoltare le spiegazioni di Alessandra, la nostra guida. Passa più di un’ora quando finalmente si comincia a fare qualche passo. Tentiamo di mantenere il raccoglimento e di fare argine alla superficialità che ci sembra di cogliere attorno. Sussurriamo il Rosario meditando i misteri gaudiosi. Ci riconciliamo con la folla. Ci sembra una metafora della Chiesa di oggi. Ormai siamo a pochi passi dalla grotta. Scendiamo la scaletta. Sotto un altare una grande stella d’argento a quattordici punte incorona il luogo della nascita di Gesù, secondo l’antica tradizione. Stare in fila tanto tempo ci ha aiutato a focalizzare bene quanto ognuno ha da dire e da chiedere al Signore. Il tempo è pochissimo: una genuflessione, un bacio o una carezza sulla stella. Strano: gli uomini della sicurezza ci consentono di fare un altro canto natalizio.
Ripensando al nostro atteggiamento prima e durante la sosta a questo luogo, ci sembra d’aver creato “una bolla di preghiera” contagiosa per chi ci sta attorno. Non usciamo dalla porticina come avevamo fatto all’ingresso. Quella porticina viene chiamata “dell’umiltà”: per oltrepassarla ci si deve piegare e alleggerire dal proprio orgoglio. Solo così si arriva al Signore. Passiamo alla Grotta del Latte, un luogo mariano. A dispetto della confusione di prima, troviamo un’oasi di assoluto silenzio. C’è una comunità di monache che ci offre ospitalità eucaristica: un’ampia cappella con l’Eucaristia esposta per l’adorazione. Molti di noi prolungano il silenzio adorante e su cartoncini scrivono richieste di preghiera da affidare a quelle sante donne. Al campo di pastori, più sotto, si narra un simpatico racconto. I pastori vanno dal Bambino Gesù con i loro doni. Solo uno non ce la fa ad arrivare: è anziano e un po’ sbadato. Giuseppe, avvertito da un angelo, prepara la cavalcatura per la fuga. Maria ha in braccio il bambino. A questo punto – son tutti pronti per partire – il bambino strilla. Che cos’ha? Neppure le carezze della più dolce delle mamme riescono a placarlo. Non si può partire. Il bambino piange. Arriva il ritardatario, l’ultimo dei pastori sotto il carico del suo dono, ma soprattutto dei suoi anni. A quel punto il bambino non piange più. È arrivato l’ultimo. Non c’è più motivo di indugiare.
La giornata si conclude ad Ain Karen, il villaggio dove Maria incontra Elisabetta e dove nascerà Giovanni Battista. Preghiamo il Benedictus e il Magnificat. Il luogo è verdissimo e pieno di fiori. Tutto ci parla di affettuose cronache familiari che assurgono, però, a tappe importanti della storia della salvezza. Si respira la spiritualità degli anawìm, i piccoli che tutto si aspettano, fiduciosi, da Dio. È quell’Israele pronto ormai ad accogliere il Messia: Zaccaria, Elisabetta, Simeone, Anna, Giuseppe e Maria di Nazaret.
Fa un certo effetto e rende pensosi la fine tragica del Precursore.
Rientriamo a Betlemme, ancora una volta dobbiamo varcare il grande muro, passare il check point, aspettare in silenzio i controlli dei militari armati di mitra. Preghiamo ancora una volta per la pace.

Pellegrinaggio in Terra Santa – quarto giorno

27 settembre 2019

Camminiamo sui passi di Gesù dalla Galilea alla Giudea. Attraversiamo la Samaria. Facciamo memoria della donna samaritana che al pozzo di Giacobbe ha la fortuna di incontrare Gesù. Fa parte di coloro «che non adorano a Gerusalemme», ma verso i quali Gesù ha una particolare considerazione. Lungo il viaggio – si attraversano luoghi deserti – c’è il tempo per un excursus sulla storia di Israele. La chiamiamo ormai “storia della salvezza”, perché in essa Dio, non solo scrive dritto su righe storte, ma fa convergere tutto al Messia Salvatore. Arriviamo al luogo dove Giovanni battezzava. Sappiamo che tante esperienze religiose vedono nell’acqua un simbolo di vita e di purificazione. Il Battista ne ha fatto il segno della preparazione necessaria alla venuta del Messia, ma ha annunciato un battesimo di fuoco nello Spirito. Sarà il battesimo di Gesù. Ed è quello che vogliamo rinnovare, memori del giorno in cui, ancora bambini, abbiamo goduto di questo dono. Il luogo in cui ci fermiamo è in prossimità di Gerico, località caldissima. Ci sono mosche che, nonostante il vento che soffia rovente, ci girano sulla faccia, si fermano sul naso e… guai ai calvi! Gli uomini, infatti, si son tolti il cappellino-distintivo perché è iniziato il rito. Con solennità rinnoviamo le promesse battesimali. Non ci viene taciuta la «porta stretta» per cui occorre passare per essere discepoli. È giunto il momento tanto atteso. Lasciamo l’ombra sotto il gazebo e ci incamminiamo giù verso la riva del Giordano. Sorpresa: lo spazio è occupato da un gruppo di entusiasti sudafricani. Uno dopo l’altro scendono nell’acqua fangosa del Giordano per immergersi. Qualcuno vi rimane a lungo in preghiera estatica. Noi ci accontentiamo di attingere un catino e, con una conchiglia, ci lasciamo bagnare il capo. Nel rito ci sentiamo rituffati in Dio Padre, Figlio, Spirito Santo. Ricordiamo le parole che – secondo i Vangeli – sono risuonate qui, fra queste dune, su questo corso d’acqua: «Tu sei figlio mio, l’amato, sorgente della mia gioia». Parole dedicate al Figlio Gesù e a ciascuno di noi, figlio nel Figlio.
Ripartiamo. Destinazione Qumran. Chi legge questa cronaca probabilmente ha sentito parlare di questo sito, dove viveva la comunità degli Esseni, personaggi del III secolo a. C. in fervorosa attesa della battaglia finale fra i figli della luce e i figli delle tenebre. Naturalmente pensavano di essere loro i figli della luce. Conducevano una vita austera, casta, ritirata dal mondo verso il quale nutrivano un certo risentimento. Custodivano e trascrivevano i Sacri Testi. Dopo la loro fine se ne perderà la memoria e il deserto farà il resto. Solo nel 1947 la scoperta: le grotte in cui gli Esseni si rifugiavano custodiscono preziosi e antichissimi rotoli del Sacro Libro. Forse è la più importante scoperta dell’archeologia contemporanea. Si tratta di pergamene risalenti al II-III secolo a. C. La Bibbia, come oggi la leggiamo, è identica a quella ritrovata a Qumran! Guardiamo l’imboccatura di quelle grotte come alle porte dei nostri tabernacoli: lì dentro è stata custodita per oltre duemila anni la Parola che si è fatta inchiostro e scrittura, prima di farsi carne. Dio è giunto a noi anche così!
La località di Qumran è ad appena qualche chilometro dal mar Morto. Acque salatissime, ma benefiche. Molti dei nostri pellegrini si sono attrezzati: dallo zaino estraggono costume, ciabatte e asciugamano e si tuffano. Per le caratteristiche dell’acqua, anche Raffaele, che non sa nuotare, può distendersi beato e galleggiare.
Solo un accenno: a Gerico rileggiamo il racconto evangelico di Zaccheo che sale sul sicomoro per vedere Gesù, essendo piccolo di statura. I macianesi pensano immediatamente a don Lazzaro, il loro amato parroco emerito. Ancora a Gerico l’altro racconto: la guarigione del cieco che, gettato il mantello, si mette a seguire Gesù. È l’ultimo episodio prima della Passione. Il cammino si fa più serrato.
Ci prepariamo ad uno dei momenti più emozionanti. L’autista riesce a penetrare nel deserto di Giuda. Non c’è sabbia, ma dune di arido terriccio e sassi. Ad un certo punto si procede a piedi per un sentiero stretto ed esposto che s’arrampica tra le dune. In un piccolo spazio prospiciente una valle profonda celebriamo la Messa. È un momento altissimo. Riascoltiamo le parole del profeta: «Ti condurrò nel deserto, parlerò al tuo cuore… Ti fidanzerò nell’amore e nella fedeltà… ». Le parole invitano Israele a ripensare il tempo della prova e del fiducioso abbandono: spiritualità dell’esodo, paradigma per la nostra vita di fede.
Comprendiamo il contesto e il significato delle tentazioni subite da Gesù (abbiamo non lontano il monte delle tentazioni). Anche a noi, nella traversata del deserto della vita, come ad Israele siamo in balia della fame e della sete, con i nostri sogni di gloria e le nostre disillusioni: «Se non mi arrangio io, chi altri pensa a me?». Gesù ha superato la tentazione: si è fidato del Padre.
Scendiamo al pullman e non possiamo evitare i beduini che ci assalgono con le loro mercanzie. E via verso Bethleem.

Pellegrinaggio in Terra Santa – terzo giorno

26 settembre 2019

Tutta la giornata attorno ad un lago (i Vangeli talvolta lo chiamano mare)… Qui Gesù di Nazaret ha trascorso gran parte della vita pubblica. Lo inseguiamo: dal monte delle Beatitudini a Tabgha, luogo della moltiplicazione dei pani e del primato di Pietro; da Cafarnao, base missionaria di Gesù, a Magdala, la città della discepola, la Maddalena.
Per molti di noi è la prima volta e ci diventa più facile collocare gli episodi evangelici nel tempo e nello spazio; appaiono più comprensibili anche le parabole sullo sfondo della collina, della strada o del campo. Apprezziamo il contributo dell’archeologia che ha portato alla luce case, sinagoghe, macine da mulino, pavimenti: strati di altrettanti vissuti. Desta devozione immaginare dove, “probabilmente”, Gesù ha compiuto quel miracolo, ha pronunciato quel discorso, ha incontrato questo o quel personaggio. Fanno da sfondo alla vicenda di Gesù quell’orizzonte con i contorni delle case, le onde del lago, le colline, le sorgenti che dai tempi di Gesù non smettono di zampillare.
Daniela evoca un tema importante: quello del Gesù storico. Più nessuno, oggi, sostiene posizioni ottocentesche sull’argomento. Sono tante e tali le testimonianze che l’interrogativo sull’esistenza storica di Gesù è decisamente superato. La questione, semmai, è ad altre profondità: comprendere lo spessore dell’incarnazione. Davanti a questo mistero si ammutolisce. C’è chi ha pensato potesse bastare il messaggio di Gesù, l’ideale, e fare a meno della sua persona. Gesù della fede è dentro la storia: per questo oggi ci è venuto da accarezzare una pietra, di bere ad una sorgente, di toglierci le scarpe e bagnare i piedi nel lago… Vorremmo sapere tutto di Gesù; ogni dettaglio è uno squarcio sul mistero della sua persona. È vivo! Ci viene ricordato – è una frase che ci sta diventando cara – «tutto ciò che fu visibile del nostro Redentore è passato nei segni sacramentali» (Leone Magno). È un passaggio non subito compreso, ma si fa strada nella celebrazione eucaristica: oggi nella chiesa moderna, eretta accanto agli scavi dell’antica Magdala. L’altare è a forma di barca. Dietro l’altare un’ampia piscina riproduce il lago e la trasparenza della vetrata permette di vedere le alture del Golan, terra contesa. Una grande scritta campeggia sull’altare: «Duc in altum». Sono le parole di Gesù a Pietro: «Prendi il largo». Poco varrebbe lo scenario, poco varrebbe rileggere quella pagina di Vangelo, se Gesù non venisse, fatto pane, sulla barca della nostra vita. Meno male che c’è l’Eucaristia!

Pellegrinaggio in Terra Santa – secondo giorno

25 settembre 2019

Su Nazaret – araba in gran parte – scende il canto-preghiera dai minareti dialoganti tra loro.  Misterioso e suggestivo. Il sole ci accompagnerà con la sua luce accecante per tutta la giornata. Siamo in Oriente, la terra delle grandi religioni. Per noi tutta la giornata è illuminata da un’altra luce: quella di Dio che, “stanco” dei tanti tentativi dell’uomo di raggiungerlo, scende, si fa vicino, si fa bambino nel grembo di una fanciulla di questa cittadina, allora un villaggio di 150 persone, sì o no. Qui si impara immediatamente che la mistica autentica non è fuga dalla realtà. Ce lo ricordano il gallo dei vicini che ci sveglia alle prime luci del giorno, i ragazzi che affrontano allegramente la scuola, correndo e giocando per le stradine, il mercato pieno di odori, di colori, di sapori e di ceste che tracimano di frutti e verdure. Ma soprattutto ci richiama alla concretezza la memoria della vita che qui Maria, Giuseppe e Gesù (bambino, adolescente, giovane) hanno trascorso giorno dopo giorno, come tutta la gente del villaggio. I trenta anni di vita nazaretana del Messia ci raccomandano la preziosità del quotidiano: relazioni, famiglia, lavoro… Sulla casa di Nazaret non c’è svolazzo di angeli, ci fu appena nell’annunciazione e nei sogni di Giuseppe. La Santa Famiglia ha i piedi ben piantati per terra.
Poco distante da Nazaret sorge il villaggio di Cana. Tutti sanno del miracolo che vi accadde e della gioia degli sposini salvati in extremis dall’intervento di Gesù per intercessione di Maria. Qui i nostri pellegrini rinnovano con evidente commozione le promesse del loro matrimonio: rinnovata presa di coscienza del reciproco appartenersi e della missione coniugale. C’è un dipinto alle pareti della cappella; mette in evidenza le sei giare vuote. Sì, perché l’amore è a rischio, ma la Madonna, che vede la situazione, non ci sta che dal “più” si scenda al “meno”: calo di interesse, stanchezze, delusioni, ecc.
Si torna da Cana certi che le giare sono di nuovo strapiene e… di buon vino!
Si sale al Tabor, la montagna identificata come il luogo della trasfigurazione. Dopo la visita e le spiegazioni c’è il tempo per piantare le “tre tende”. Effettivamente, come Pietro, anche noi non riusciamo a trattenere la meraviglia: «E’ bello per noi stare qui», ma la voce perentoriamente invita a scendere a valle, nella concretezza, dove la vita ci dà appuntamento. Torniamo a Nazaret, alla casa della Vergine e alla casa di Giuseppe: rinnoviamo il nostro “sì”.

Pellegrinaggio in Terra Santa – primo giorno

24 settembre 2019

Sono le due di martedì 24 settembre. Uno spicchio di luna fa capolino tra le nubi. Un torpedone nella notte attraversa borghi addormentati; poi l’autostrada verso Milano, destinazione Malpensa. Ci vogliono più ore a raggiungere la capitale della moda che la Terra Santa…
La meta è tanto attesa e desiderata dai cinquanta pellegrini sammarinesi e feretrani che non badano ai disagi di un viaggio estenuante. Del resto, la storia non ci racconta di ben altre avventure affrontate per raggiungere la terra di Gesù? Memorie di antichi pellegrini, di cristiani penitenti, di cavalieri in cerca di avventure, di asceti fervorosi e di crociati alla conquista del Santo Sepolcro… Tra questi pellegrini dovremo familiarizzare con la nobile Egeria (IV secolo), che ha raggiunto la Palestina partendo dalla Galizia (Spagna). Egeria ci ha lasciato il suo diario, importante per la storia, prezioso per le testimonianze e per le informazioni sugli usi e le liturgie di quell’epoca. Ma il pensiero dei “nostri” è decisamente di incamminarsi sui passi di Gesù. Nonostante qualche incontro preparatorio, il gruppo non è ancora “fatto”, ma c’è la volontà di far presto a creare legami. C’è chi offre un dolcetto, c’è chi racconta l’emozione del suo primo volo in aereo e c’è un gruppetto di amici che propone una gara: chi riesce a ricordare i nomi di tutti i partecipanti.
Si sussurra di andare a camminare sui passi di Gesù, ma si intuisce che non si tratta di calcare le sue orme su una terra, per quanto santa, ma di riscoprirlo e di ridiventare discepoli. I passi da fare sono quelli del cuore.
Affrontiamo i controlli con allegria, altrettanto le domande degli agenti della sicurezza e il labirinto che ci porta all’imbarco. Mentre il Segretario agli Esteri sammarinese è all’ONU a sorbirsi le rampogne della piccola Greta Thumberg, il carrello dell’aereo che ci porta in Israele rulla sulla pista di Tel Aviv. Applausi.
Dall’albergo di Nazaret mandiamo agli amici questo messaggio:
«Cinquanta pellegrini di San Marino e del Montefeltro sono arrivati a Nazaret, oggi 24 settembre, dopo un viaggio impegnativo. Forte l’emozione di essere nella terra di Gesù. Accanto a questa emozione spirituale i segni evidenti di una sofferenza che lacera queste terre: i lunghi e meticolosi controlli ai check in, i chilometri di muraglia che separano i territori palestinesi da quelli israeliani come lama che squarcia… Ma anche segni di speranza. Uno per tutti: le tre lingue che coesistono in un unico cartello stradale. Culture e alfabeti diversi alla ricerca di unità: arabo, israeliano, latino. Intanto si pensa e si prega per tutti quelli di casa».

Messaggio del Vescovo al Gala di inaugurazione degli Europei di Calcio Under 21

San Marino (Teatro Titano), 20 giugno 2019

Grazie per l’invito a questo Gala per gli Europei di Calcio Under 21. Mi sento tra amici anzitutto per la mia antica passione per il calcio (mediocre difensore, ahimè!); poi per i valori dello sport ai quali tutti teniamo, valori che mi piace chiamare con il loro nome: lealtà, coraggio, sacrificio, accoglienza dell’altro come concorrente e mai come nemico…
Come uomo di Chiesa – sono vescovo in questa Repubblica di San Marino – mi rivolgo a tutti; mi metto a disposizione per collaborare in campo educativo perché questo da sempre è uno dei contenuti della pratica sportiva. Il mio incoraggiamento va soprattutto verso coloro che fanno lo sport per lo sport (salute, agonismo, amicizia) fuori sia da improbabili sogni di gloria, sia da vantaggi economici.
Penso a chi lo sport – il calcio – lo guarda soltanto… peccato! Ma anche questo può essere cosa buona se diverte, rasserena e soprattutto avvicina nazioni e continenti nel segno della pace. Sport e pace sono un binomio fecondo.
Che dire poi di chi prepara, accompagna ed è a disposizione di chi fa sport? A volte umilissime prestazioni, ma ugualmente importanti.
Sfoglio il Vangelo di Gesù; ci dà una lezione: «Gareggiate nello stimarvi a vicenda». Vinca il migliore!

+ Andrea Turazzi

Giornate di riflessione e di preghiera per i politici

COMUNICATO STAMPA

Giornate di riflessione e preghiera per i politici
Sabato 22 giugno ore 20.45 – Sala Montelupo, Domagnano
incontro pubblico con il
Cardinale Gualtiero Bassetti
presidente CEI

L’impegno sociale tra profezia e concretezza.
L’esperienza di Giorgio La Pira

In occasione della festa di S. Tommaso Moro, patrono di governanti e amministratori, la diocesi di San Marino-Montefeltro propone le Giornate di riflessione e preghiera per i politici, per risvegliare le coscienze all’impegno politico, per far sentire a chi è impegnato in politica la vicinanza della comunità cristiana e per suscitare nei giovani il desiderio di partecipare e la responsabilità verso la vita sociale.
Ogni cittadino ha la responsabilità di dare il proprio contributo alla società di cui è parte per affrontare le sfide poste dal mondo attuale: l’economia che genera esclusione, l’idolatria del denaro che governa invece di servire, l’inequità che genera violenza, la tecnocrazia e il relativismo pratico all’origine della crisi ecologica, …
È responsabilità soprattutto di chi è impegnato nel servizio della politica porre al centro della convivenza sociale la dignità della persona, che implica la tutela della vita, il sostegno alle famiglie, la promozione di un lavoro degno per tutti, la proposta di un modello di sviluppo contrario alla cultura dello scarto e orientato allo sviluppo integrale della persona.
Per ribadire l’importanza dell’impegno sociale, quest’anno viene proposta la testimonianza di Giorgio La Pira. In un momento in cui la complessità della vita politica nazionale e internazionale necessita di cittadini responsabili e di statisti di alto spessore umano dediti al bene comune come servizio, è importante riscoprire testimoni come La Pira che attraverso il contributo all’Assemblea Costituente, nel parlamento italiano e come sindaco della città di Firenze ha saputo unire la concretezza necessaria a soddisfare i bisogni dei suoi cittadini con un impegno sociale profetico orientato a realizzare un futuro di pace e di benessere per tutti gli uomini, senza mai rinunciare ad una assoluta fedeltà ai valori della propria coscienza.
 
Sabato 22 giugno alle ore 20.45 presso la Sala Montelupo a Domagnano si svolgerà l’incontro pubblico “L’impegno sociale tra profezia e concretezza. L’esperienza di Giorgio La Pira.”. Non sarà la commemorazione storica di un grande politico e uomo di fede del passato, ma l’opportunità per rimotivare oggi la responsabilità all’impegno sociale, incoraggiati dalla testimonianza concreta di un uomo che ha profondamente segnato il suo tempo fino ad arrivare a noi oggi.
Ci aiuterà in questa riflessione il Cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, che ha conosciuto personalmente Giorgio La Pira. Alla serata sarà presente anche il Vescovo S.E. Mons. Andrea Turazzi.
Nel pomeriggio il Cardinale Bassetti e il Vescovo Turazzi saranno ricevuti dell’Ecc.ma Reggenza in udienza privata.

“Nessuno può dire: non ci riguarda”

«Chiesa in preghiera e digiuno»: per le vittime degli abusi e per una cultura del rispetto

Dopo il Summit in Vaticano sulla protezione dei minori, anche la Diocesi di San Marino-Montefeltro dà la sua risposta corale al fenomeno degli abusi «sessuali, di potere e di coscienza».
Mercoledì 13 marzo, nel Santuario del Cuore Immacolato di Maria a Valdragone (RSM), si terrà una grande convocazione diocesana che inizierà alle ore 20 con il Santo Rosario e proseguirà, alle ore 20:30, con una S. Messa penitenziale e di riparazione presieduta dal Vescovo.
«Quanto dolore. Quanta sofferenza soprattutto per chi è stato vittima di abusi. Quanta ingiustizia ai danni della convivenza sociale. Quanta vergogna per la comunità cristiana che al suo interno si è trovata crimini che più di altri smentiscono il Vangelo». Con queste parole il Vescovo Andrea apre il comunicato ufficiale con cui chiama a raccolta la Chiesa diocesana. «Ciò che sconcerta – prosegue mons. Turazzi – è stato il tentativo di coprire e di proteggere l’aggressore. Non basta la condanna, occorrono prevenzione, cura di chi è vittima e intervento su chi è abusatore».
La Chiesa – colpita da una stagione di scandali – si è posta in prima linea per la tutela dei minori: dopo Benedetto XVI è intervenuto Papa Francesco con forza e “tolleranza zero”. L’appello rivolto dal Santo Padre nella “Lettera al Popolo di Dio” (20 agosto 2018) è significativo perché si rivolge non solo alla Chiesa come istituzione, ma soprattutto al “popolo”: un compito che ci coinvolge e ci riguarda tutti. Tanto lavoro è stato svolto, già dallo scorso anno, negli organismi regionali, interdiocesani e diocesani. Anche nella Diocesi di San Marino-Montefeltro il tema tutela dei minori è stato oggetto di studio approfondito con presbiteri, catechisti, educatori e animatori dei gruppi.
«Chiedere perdono e cercare riparazione è il primo passo – ribadisce mons. Turazzi – ma non è sufficiente perché guarda solo al passato. Occorrono risposte che guardino avanti e assicurino un cambiamento radicale di mentalità, dove la sicurezza dei bambini e dei ragazzi goda della priorità assoluta». Si chiede un’attenzione ed una formazione particolare per educatori, animatori, catechisti, tenendo presente che l’80% della pastorale è rivolta ai piccoli, ai giovani e ad adulti fragili. Importante, inoltre, che la formazione dei futuri presbiteri sia più attenta all’aspetto umano-affettivo.

A cura dell’Ufficio Comunicazioni Sociali
Diocesi San Marino-Montefeltro

Il 4° Forum del Dialogo

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Il 4° FORUM del DIALOGO, a San Marino, allarga i suoi orizzonti di riflessione, secondo una logica di graduale ampliamento degli orizzonti culturali già proposti in passato: dal tema monotematico della 1ª edizione; al più vasto sguardo sulle diversità nella 2ª edizione; a quello ancora più ampio della 3ª edizione su Giovani e Adulti. Per la 4ª edizione il tema sarà “Dialogo con i nostri tempi: problemi, opportunità, prospettive.
Come si ricorderà, le prime edizioni hanno affrontato alcuni temi specifici: il 1° anno. Noi e l’islam; il 2° anno il Dialogo con le diversità: il 3° anno: il Dialogo intergenerazionale: GIOVANI EADULTI. Il tema della 4ª edizione è ancora più impegnativo nel voler puntare l’occhio di una riflessione pacata e rigorosa sulla società post-moderna e sui risvolti dei suoi cambiamenti che mettono in luce questioni di significativa portata sociale, culturale, antropologica. Questo significa sapersi porre con realismo e con responsabilità consapevole davanti ai drammi e alle opportunità che questa società presenta.
Sì, si parlerà di problemi e di opportunità, ma anche di prospettive per l’uomo d’oggi che vive in quella che l’antropologo francese Marc Augé chiama “la surmodernità”, riferendosi ai fenomeni sociali, intellettuali ed economici che caratterizzano la complessità di questa società post-moderna e post-ricchezza. Una società in cui tutto è sovrabbondante: il tempo, lo spazio e persino l’egoismo o, meglio, il self-egoismo. In questo contesto, il 4° Forum non vuole correre il rischio di fare danni, alimentando il pessimismo già così pervasivo, se si soffermasse solo ai problemi e non incoraggiasse quel senso di fiducia e di speranza che il cittadino oggi va ansiosamente cercando.
Grazie anche ai buoni suggerimenti del nostro Comitato scientifico che ci affianca, abbiamo pensato di accompagnare la riflessione e lo studio in queste giornate con una serie di domande da porre ai relatori e al pubblico nella formula interattiva tipica di un forum:
Perché tanta emigrazione?
Perché tanta povertà?
Dov’è il lavoro?
Usiamo le tecnologie… come?
Cambiamenti climatici… con quali effetti?
Dov’è la felicità dell’uomo d’oggi?…
Il format con cui è nato il Forum è rispettato rigorosamente come spazio di studio, di riflessione e di proposte da approfondire e da sviluppare; ma non come convegno a tesi o come festival o come sagra paesana di un evento spettacolare.
Un ambito che – argomentando su problemi di forte attualità – non ne propone meccanicamente la soluzione, ma che incoraggia a riflettere quanti si stiano ponendo alcune domande in merito e che stimoli domande nuove. È questa l’originalità di una formula che molti ci incoraggiano a sviluppare e che, in qualche modo, interpreta il senso dei fenomeni che segnano la post-modernità. Il tutto, tenendo conto delle risorse e dei limiti reali che il contesto ci impone. Per ogni tema abbiamo già l’adesione di illustri studiosi di varie Università: Maurizio Ambrosini dell’Università di Milano; Serafino Negrelli, dell’Università di Milano-Bicocca; Stefano Triberti dell’Università Cattolica; Umberto Curi e Toni Scipioni dell’Università di Padova. Ormai il Forum consolida il suo impianto più come processo culturale che come evento spettacolare, per questo alla prima giornata e mezza, seguono alcune sessioni di approfondimento, seguendo le indicazioni di interesse che il pubblico esprime. Ogni esperto sarà affiancato da alcuni testimonial nel discorso aperto con il pubblico che potrà porre domande e sollecitare risposte.
Si vuole così puntare a forme molto interattive per suscitare e generare pensiero in una società che rischia di non pensar più, per aver affidato tutto alle emozioni provocate dai media di ogni tipo. Ad incoraggiare l’iniziativa concorre il Patrocinio delle Istituzioni, dei Capitani Reggenti, del Consiglio d’Europa, del Congresso di Stato, della Diocesi San Marino-Montefeltro, dell’Ambasciata d’Italia e di tutti i Nove Castelli, due dei quali – Borgo Maggiore e Chiesanuova – quest’anno assumono la titolarità del Forum. Piace, infine, ricordare con soddisfazione che il positivo contagio culturale si allarga quest’anno fino al Senegal, ad alcune università straniere e coinvolge alcuni Comuni vicini che saranno presenti e incoraggeranno la partecipazione dei loro cittadini.
L’invito a partecipare è rivolto a quanti ritengono utile porsi davanti alle “novità” che segnano questa società per imparare ad affrontarle. È questo uno dei comportamenti consapevoli di una cittadinanza attiva.

Renato Di Nubila
Responsabile scientifico del Forum