Elezioni Emilia Romagna 2020

COMUNICATO STAMPA
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELL’EMILIA-ROMAGNA
Nota dei Vescovi sulle elezioni regionali del prossimo 26 gennaio

La Conferenza Episcopale dell’Emilia-Romagna si è riunita oggi in assemblea a Bologna, a Villa San Giacomo, e durante i lavori presieduti da S.E. il card. Matteo Zuppi, presidente della CEER e arcivescovo di Bologna, ha anche elaborato una nota in vista delle prossime elezioni regionali in Emilia-Romagna del 26 gennaio, di cui si trasmette il seguente testo.

La Regione, laboratorio di Democrazia
Nota in preparazione alle elezioni regionali in Emilia-Romagna
Le elezioni regionali, oltre alle contingenze storiche che attribuiscono ad esse loro significati politici nazionali, hanno un impatto importante per le nostre comunità cristiane, perché riguardano una porzione di Paese di cui viviamo le dinamiche economiche, sociali, amministrative. La nostra Regione Emilia-Romagna incrocia, inoltre, il territorio e la vita delle parrocchie di 14 Diocesi, da Piacenza-Bobbio a Rimini. Questa vicinanza tra vita ecclesiale e vita civile, nella distinzione, ma anche nella collaborazione per il bene comune, per la legalità, per la giustizia, per la cura della nostra terra e per la tutela dei più deboli, motiva questo appello in occasione delle prossime elezioni regionali. Mentre invitiamo a esercitare il diritto di voto, primo gesto importante di responsabilità in ogni tornata elettorale, come Pastori delle Chiese dell’Emilia-Romagna vogliamo richiamare alcuni aspetti utili per un discernimento sociale e per una scelta coerente.

L’Europa è casa nostra
In fedeltà all’art. 117 della Costituzione, le Regioni sono chiamate “nelle materie di loro competenza” a partecipare “alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea”. La cura dell’Europa significa cura della nostra terra, delle possibilità di valorizzare un patrimonio umano, culturale, ambientale, religioso e lo studio e l’esperienza dei nostri giovani universitari e lavoratori. Pensare di tutelare la Regione contro l’Europa è una tragica ingenuità e fonte di povertà. Al tempo stesso, non possiamo dimenticare lo spirito sorgivo dal quale è scaturito il desiderio di unità tra le diverse nazioni d’Europa all’indomani della Seconda guerra mondiale. Uomini come De Gasperi, Adenauer, Schuman profusero tutto il loro impegno nella costruzione di una “comunità di popoli liberi ed uguali” (Adenauer a Bad Ems, 14/9/1951), nella quale le specificità nazionali potessero armonizzarsi offrendo ciascuna il proprio peculiare contributo alla bellezza dell’insieme.

Attenzione ai poveri e pari opportunità
L’art. 117 della Costituzione ricorda che “le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”. Ogni forma di corporativismo, di esclusione sociale e dalla partecipazione attiva alla vita delle nostre città, ogni discriminazione di uomini e donne, italiani o immigrati, persone o famiglie, indebolisce il cammino e lo sviluppo regionale. La preoccupazione principale, anche nelle politiche regionali, non può che essere per le situazioni di povertà, disagio ed emarginazione, segnatamente per quanto riguarda la mancanza e la precarietà del lavoro, continuando un impegno politico che in questi anni ha portato anche buoni frutti. Una particolare cura meritano i giovani, in un grave momento di disorientamento pure per le loro famiglie.

Sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza
A orientare le funzioni amministrative regionali sono i principi della sussidiarietà, della differenziazione e della adeguatezza. Anche l’autonomia regionale non può dimenticare questi tre principi che valorizzano e “favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”, cioè l’azione della famiglia, di altre comunità e delle realtà del Terzo settore in una programmazione territoriale. Ogni forma di omologazione culturale che non risponde all’adeguatezza dei servizi e al rispetto delle realtà familiari e sociali rischia di essere una sovrastruttura che non serve al bene comune. A questo proposito la sinergia delle attività regionali con le istituzioni ecclesiali (oratori, scuole paritarie, attività estive, consultori, centri di ascolto…), la concreta e costante valorizzazione dei corpi intermedi potranno aiutare ad affrontare “l’emergenza educativa”.

Sviluppo, coesione e solidarietà: persona e comunità
Con le proprie risorse la Regione opera per “promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona” (Art. 119 della Costituzione Italiana). La cura degli aspetti economici deve essere accompagnata, soprattutto oggi, da una attenzione ai percorsi di integrazione, inclusione di famiglie e persone in difficoltà, mentre i nostri paesi dalla collina alla costa e le nostre città cambiano continuamente. Ma sono necessarie anche una legislazione e una regolamentazione che non penalizzino alcune categorie di persone nell’accesso alla casa, alla scuola, al lavoro, alla salute. La tutela della vita dal suo concepimento alla morte naturale, nella salute e nella malattia, nella stanzialità e nella mobilità, non può che trovare le istituzioni regionali capaci di rinnovate scelte, non riconducibili alle sole esigenze/componenti economiche e storico-sociali.

I beni culturali e ambientali
Le conseguenze del terremoto del 2012 che ha segnato profondamente il patrimonio culturale e religioso di alcune Diocesi e Province, ma anche la ricchezza di oasi naturali e di colline, di fiumi e coste, esigono un’attenzione particolare ai beni culturali e ambientali, con una collaborazione stretta tra Stato e Regioni (art. 119 della Costituzione) senza la quale i tempi lunghi del restauro, gli abbandoni della terra, delle colline dell’Appennino e della biodiversità, la mancata cura dell’ambiente – di fronte al riscaldamento e all’innalzamento delle acque del nostro mar Adriatico – e l’inquinamento, possono segnare irrimediabilmente una delle ricchezze regionali più importanti. Il patrimonio ambientale e culturale, accompagnato dallo stile di accoglienza e ospitalità riconosciuto alla nostra terra, sarà una risorsa decisiva per lo sviluppo del turismo, fondamentale per lo sviluppo e il futuro della nostra Regione. Le prossime elezioni regionali in Emilia-Romagna sono un’occasione importante perché la Democrazia nel nostro Paese, che si realizza nei cammini e nelle scelte anche regionali, non venga umiliata e disattesa e i principi costituzionali ritrovino nelle nostre terre forme rinnovate di espressione e persone, delle diverse appartenenze politiche, impegnate a salvaguardarli, sempre. Un impegno che deve essere accompagnato nella campagna elettorale da un linguaggio, libero da offese e falsità, concreto nelle proposte, rispettoso delle persone e delle diverse idee politiche. A questo riguardo, come Pastori delle Chiese dell’Emilia-Romagna desideriamo offrire quale criterio e chiave di lettura, per i fedeli e per tutti gli uomini di buona volontà, la ricchezza e fecondità della Dottrina Sociale della Chiesa. Ancorata sulla salda ed immutabile roccia del Vangelo, essa è al tempo stesso capace di un confronto fecondo con ogni realtà umana nel suo sviluppo, proprio in virtù dell’inesauribile profondità della Parola di Dio, un tesoro dal quale è continuamente possibile “trarre cose antiche e cose nuove” (cfr. Mt 13, 52).

Conferenza Episcopale dell’Emilia-Romagna

Osservatorio regionale della CEER sulle tematiche politico–sociali «Giovanni Bersani»

Da qualche mese, con l’approvazione dei vescovi della Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna, è sorto l’«Osservatorio regionale sulle tematiche politico–sociali» intitolato a Giovanni Bersani.
L’Osservatorio, composto da persone qualificate nella cultura e nell’impegno sociale, in vista delle prossime elezioni regionali dell’Emilia Romagna ha prodotto un Documento che, in tempi straordinari come quelli odierni, intende avviare un processo non solo di riforma, bensì di trasformazione dell’attuale gestione politico–amministrativa e dell’intera società. La politica è chiamata a rigenerarsi attorno all’asse vivente delle persone e della loro trascendenza, secondo il principio della sussidiarietà circolare. L’impianto del Documento si avvale di un pensiero forte che ha come orizzonte temporale il lungo periodo, per meglio prendersi cura di tutti, sostenendo la biodiversità delle forme d’impresa, facendo progredire l’uguaglianza e l’inclusione sociale. Ma anche la riorganizzazione del sistema Scuola–Università–Ricerca, il potenziamento del welfare di comunità, nella concordia civile.

mons. Mario Toso, vescovo delegato CEER per i problemi sociali e del lavoro

Scarica il documento dell’Osservatorio regionale della CEER sulle tematiche politico–sociali «Giovanni Bersani»

ASSEMBLEE DI VERIFICA DI META’ ANNO

Ai membri dei Consigli parrocchiali
e agli operatori pastorali

Carissime e carissimi,
come previsto dal Programma pastorale diocesano vi invito a partecipare ad una serata insieme per fare il punto e per rilanciare il Programma stesso. Avrei voluto raggiungere personalmente ciascuno dei consiglieri e degli operatori pastorali: lo faccio attraverso voi e i vostri parroci; grazie alla vostra generosità e alla vostra sensibilità ecclesiale.
Queste le date e le sedi:
* per il vicariato Val Marecchia lunedì 13 gennaio nella parrocchia di Novafeltria;
* per il vicariato Val Foglia/Val Conca martedì 14 gennaio nella parrocchia di Macerata Feltria;
* per il vicariato di San Marino mercoledì 15 gennaio nella parrocchia di Domagnano (RSM).
Obiettivo particolare dell’incontro: raccogliere frutti, testimonianze e proposte della comunità e del singolo, scaturiti dall’aver messo al centro della nostra vita cristiana e di quella delle nostre comunità la riscoperta del Battesimo. Per prepararsi è bene rileggere e approfondire – meglio se insieme – la prima unità del quaderno “Ravviva la sorgente che è in te”, Programma pastorale 2019/2020 pp. 30-37.

Uniti nella vicendevole stima

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

 

Scarica la scheda con gli orari e le indicazioni per i “gruppi di lavoro e di condivisione”

53° Giornata Mondiale della Pace

LA PACE COME CAMMINO DI SPERANZA:
DIALOGO, RICONCILIAZIONE E CONVERSIONE ECOLOGICA

Il prossimo Primo gennaio, non sarà solo il primo giorno del nuovo anno civile, ma segnerà anche l’inizio di un nuovo decennio, il terzo di questo nuovo millennio, un “tempo” sicuramente carico di sfide per l’Umanità intera, non ultima quella ecologica, fatta di scelte, sia politiche sia individuali, non più rinviabili, se vogliamo lasciare ai nostri figli e alle future generazioni un Pianeta ancora vivibile.
In questa giornata la Chiesa vuole richiamare la nostra attenzione sia sul Mistero della Divina Maternità, con la solennità di Maria Santissima Madre di Dio, sia sul tema della Pace, quale Valore Universale ed irrinunciabile, nonostante un pianeta ancora dilaniato da decine e decine di guerre, che non fanno nemmeno notizia.
A prima vista potrebbero apparire tematiche fra loro distanti ma a ben guardare non è così. Infatti, se da un lato Maria è Regina della Pace, come testimoniano anche le sue miracolose Apparizioni, dall’altro lato, come ci ricorda il Santo Padre nel suo Messaggio per la Giornata mondiale per la pace, “non può esistere pace senza una vera conversione ecologica”.
Ed è proprio il Messaggio di Papa Francesco che S.E. Mons. Andrea Turazzi, consegnerà alle autorità politiche presenti durante le solenni celebrazioni del prossimo 1° gennaio:
– la prima, alle ore 12.00, nella Basilica del Santo, Pieve di San Marino, alla presenza degli Ecc.mi Capitani Reggenti;
– la seconda, alle ore 17.00, nel Santuario Beata Vergine delle Grazie a Pennabilli.
Il nostro Vescovo e Pastore è lieto di invitare tutta la comunità cristiana e civile a raccogliersi durante le celebrazioni del primo gennaio per meditare sul Mistero della Divina Maternità ma anche per riflettere sulle parole di Papa Francesco, nel messaggio per la Giornata mondiale per la Pace. Non mancate!

Commissione per la Pastorale Sociale
Diocesi di San Marino-Montefeltro

Messaggio del Vescovo in occasione delle elezioni politiche a San Marino

Carissimi,
in questo momento di scelte importanti per la nostra Repubblica di San Marino propongo alcune considerazioni, consapevole del mio ruolo di pastore. Mi rivolgo in particolare ai sammarinesi che sono chiamati a scegliere i loro rappresentanti nel Consiglio Grande e Generale della Repubblica. Tutti siamo chiamati ad una grande responsabilità: la crisi economica è solo un aspetto, più drammatica quella valoriale che attraversa relazioni, famiglie, giustizia e coscienze. Guardo con rispetto tutti i candidati, indipendentemente dall’appartenenza partitica. Di qualcuno conosco quanto sia stata sofferta la decisione di partecipare. E questo fa onore. Fa pensare alla politica come servizio. Di tutti apprezzo il desiderio di dare il proprio contributo alla comunità e il proposito di cercare il bene comune.
L’esempio di chi scende in campo incoraggia ad uscire da ogni forma di chiusura e indifferenza. L’individualismo, poi, è una tentazione sempre in agguato. L’appello che rivolgo a tutti è di partecipare, di valutare i programmi e di andare al voto domenica 8 dicembre (siamo fortunati rispetto ad altri Paesi dove non c’è democrazia e il voto è solo un rito vuoto). Andare al voto lo chiedono la Dichiarazione dei diritti dei cittadini sammarinese e le nostre tradizioni di democrazia e di libertà. Senza esercizio di responsabilità e di partecipazione si finisce per essere «sudditi piuttosto che cittadini».
In tutti gli schieramenti ci sono giovani candidati. Questo è significativo e promettente per un duplice motivo. Senza nulla togliere agli adulti e agli adultissimi della politica, che portano competenze ed esperienza, i giovani testimoniano il superamento dei soliti pregiudizi che sfiduciano la prassi politica. Inoltre, i giovani possono offrire entusiasmo, proposte originali, rinnovamento.
Politica è anche confronto, scontro, passione. Peggio è l’egoismo, secondo la celebre frase di don Lorenzo Milani: «Affrontare i problemi da soli è l’egoismo, sortirne insieme è la politica». Se confronto, scontro e passione devono esserci, non scadano mai in mancanza di rispetto, chiusura nella trincea del proprio interesse, o inimicizia. Avversari sì, nemici mai! Senza venir meno ai propri principi ideali e al mandato ricevuto è possibile il compromesso – intendo una mediazione virtuosa – sul “da farsi” in concreto per il bene comune.
Mi aspetto siano attuate le proposte che sento più urgenti, riguardanti la famiglia, l’educazione, la scuola, l’università. Siano prioritarie le scelte in favore dei più deboli, di chi ha bisogno di solidarietà, di lavoro e di assistenza sociale, dei più deboli tra i deboli a cui non si deve negare il primo e fondamentale dei diritti, che è quello di vivere. Si possono trovare, ad esempio, altre strade per la tutela della maternità e per un dignitoso accompagnamento al fine vita, senza accanimento terapeutico e senza eutanasia. Questo dico con argomenti di ragione, da tanti condivisi, fondati sui grandi principi della Dottrina Sociale Cristiana: centralità e dignità della persona, solidarietà, sussidiarietà, bene comune.
Come credente, e con tutti i credenti di questa Diocesi di San Marino-Montefeltro, assicuro la preghiera per il miglior svolgimento delle prossime elezioni con l’intercessione del Santo Fondatore. Auguro buon lavoro sia a chi formerà il nuovo governo, sia a chi si troverà nella minoranza a svolgere un compito altrettanto importante e necessario.

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

Pellegrinaggio in Terra Santa – In viaggio verso San Marino

Aeroporto “Ben Gurion” di Tel Aviv: persone di provincia in un aeroporto così grande e moderno non possono che sentirsi in soggezione! Tra gli aeroporti del mondo è sicuramente il più presidiato per motivi di sicurezza. Mentre ci avviamo finalmente al nostro gate, non riusciamo a nascondere un velo di nostalgia. Troppo forte l’esperienza degli otto giorni in Terra Santa.
Eravamo partiti con un’idea: calcare i passi di Gesù, percorrere le strade del suo tempo, accarezzare le pietre del suo passaggio, colmare occhi e cuore degli orizzonti e dei paesaggi che anche Gesù ha guardato.
Torniamo con un’altra convinzione: il cammino sui passi di Gesù è esperienza che riguarda il cuore. Un grande merito di questo progresso dell’anima va ad Alessandra, la guida che ci ha accompagnato con professionalità, competenza e grande umanità. Non è stata il solito “cicerone”, ma un’amica per tutti, a volte maestra, a volte interprete, altre volte catechista.
Il boeing della “El Al” si alza in volo e, benché sia ormai tramontato il sole, vediamo chiaramente dall’oblò il ricamo della costa sul Mediterraneo. Abbiamo tutto il tempo – il volo durerà quasi quattro ore – per riflettere sull’esperienza vissuta e… per dormire, chi riesce. Si affollano ricordi. Ritornano immagini. Banalità: come i pasti al self service (immancabili riso, salse, verdure pasticciate, ma anche qualche tentativo di spaghetti o altra pasta all’italiana), come l’inseguimento di venditori nelle piazze e nelle viuzze, insistenti e petulanti e, alla fine, pure simpatici, come la preoccupazione di portare a casa un ricordo e un pensiero per tutti, magari anche solo un rametto d’ulivo o una carruba trovata per terra ricordando la parabola del figliuol prodigo… Non solo particolari esilaranti: rimane la volontà di tenersi in contatto e di rafforzare l’amicizia tra i partecipanti; rimangono le tante riflessioni ascoltate e, soprattutto, quei “sì” pronunciati a Cana di Galilea e sulle rive del fiume Giordano.
In tutti si è rafforzato l’impegno di pregare ogni giorno per la pace. Si è fatta più forte la convinzione che il Risorto va trovato nelle nostre comunità, dove due o più sono riuniti nel suo nome, va abbracciato in chi soffre, provando a condividere almeno un poco di quella sofferenza.
Nazaret, Betlemme, Gerusalemme… la nostra casa, il nostro borgo, la nostra città.

Pellegrinaggio in Terra Santa – ottavo giorno

1 ottobre 2019

Ultimo giorno. A molti succede di svegliarsi prima del tempo. È ancora buio. Il gallo canta. Dai minareti si leva la melodia della preghiera del Muezzin. Alcuni di noi sono in terrazza a contemplare l’alba su Betlemme. Radiosa. Le valige sono la prima preoccupazione: come trovarvi un posticino per i piccoli doni da portare a casa? L’ordine è di essere ancor più puntuali del solito. In autobus fa la sua comparsa la nuova parola di vita. Ogni giorno, immancabilmente, accompagna il gruppo sui passi di Gesù: dalla ricerca delle tracce storiche al fare proprio il suo programma. Questa mattina la parola ci consegna il testamento di Gesù: «Vi do un comandamento nuovo…».
Lasciamo Betlemme con un po’ di nostalgia. Destinazione Gerusalemme, precisamente San Pietro in Gallicantu e attigua “scaletta” dove Gesù, la sera del Giovedì Santo – secondo la tradizione – è passato due volte: una da libero, l’altra da prigioniero.
La chiesa di San Pietro in Gallicantu include importanti scavi archeologici. Si presume fosse qui la residenza di Caifa con annessa la cisterna dove temporaneamente è stato rinchiuso Gesù nella concitata notte del processo. Nel cortile della casa di Caifa il “principe degli apostoli” per tre volte rinnega Gesù, messo in buca dalle insinuazioni di una servetta e di qualche passante. L’episodio è raccontato da tutti i Vangeli, senza risparmiargli la figuraccia. Meditiamo sul testo di Luca. Ci riferisce lo sguardo che Gesù, incatenato, rivolge all’apostolo. Ognuno di noi sente rivolto a sé quello sguardo. Prolunghiamo la sosta. Inevitabile il confronto con l’apostolo Giuda, il traditore. A differenza di Pietro, Giuda, preso dal rimorso, si fa orgogliosamente giustizia da sé. Il suo pentimento è sterile, mentre quello di Pietro è fecondo, perchè lo trascina fuori da sé e lo pone davanti alla misericordia di Gesù. Pietro piange. Di dolore? Di commozione? In ogni caso per amore.
La scaletta è di epoca romana. Gesù ha calcato i piedi su quelle pietre, ma ci interessa rileggere la sua preghiera per l’unità riferita al capitolo 17 di Giovanni: «Padre, che tutti siano una cosa sola come io e te…». È il sogno di Gesù, è il segno distintivo dei discepoli: «Perché il mondo creda».
C’è un terreno attorno alla scaletta. È stato acquistato dal Movimento dei Focolari per custodirla e per creare attorno uno spazio a servizio della pace e dell’unità. Da una parte quel fazzoletto di terra confina con le proprietà di un ebreo ultraortodosso, dall’altra con abitazioni palestinesi. Nella parte alta è in prossimità del Sion ebraico, in discesa si affaccia sulla valle del Cedron. «Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là del torrente Cedron, dove c’era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli». Preghiamo per l’unità. Ci incuriosisce il carisma del Movimento dei Focolari.
Tempo libero. Destinazioni a scelta. Nessuno resta in pullman. C’è chi torna alla Gerusalemme vecchia per una veloce attraversata del mercato ed un ultimo saluto al Santo Sepolcro (da fuori, perché impossibile entrare, tanta è la calca). C’è chi preferisce una puntata agli scavi che hanno dato alla luce quel che resta della piscina di Siloe. Qui Gesù ha sanato il paralitico che da trent’otto anni aspettava l’aiuto di qualcuno per essere tuffato in quelle acque salutifere (probabilmente l’acqua vi scorreva con un flusso intermittente; la gente attribuiva il “moto dell’acqua” ad un intervento angelico). «Vuoi guarire?», chiese Gesù. La risposta del paralitico: «Come posso se nessuno mi aiuta ad immergermi nell’acqua?». Qualcuno ha letto in questo episodio la propria esperienza e il proprio bisogno di essere soccorso. Per verità l’aiuto è venuto.
Lì accanto, la tradizione indica il luogo dove sorgeva la casa di Gioacchino e Anna, i genitori della Madonna. Entriamo nella chiesa eretta in epoca crociata, l’unica rimasta intatta. Inconfondibile lo stile, austero ed elegante. È celebre per la sua acustica. Ha provato a cantarvi anche Andrea Bocelli… Non rinunciamo anche noi ad eseguire un canto a due voci. Prima ha cantato un coro di coreani; tra loro un tenore con una voce con notevolissima estensione. Qui non si canta per esibirsi, ma per dare lode a Dio e fare omaggio alla Madonna. Finisce così il nostro cammino in Gerusalemme.
Sulla via del ritorno facciamo tappa ad Emmaus Nicopolis (diversi i siti che rivendicano di conservare la memoria della cittadina “distante 11 chilometri da Gerusalemme”), dove due discepoli vengono raggiunti da Gesù mentre sono in uscita dalla città santa.
La raccomandazione che ci facciamo è di terminare il pellegrinaggio “in salita”. Quello che ci aspetta è tutt’altro che un’appendice del viaggio. Proviamo insieme e da soli a rispondere alla domanda: che cosa è cambiato in noi dopo questi giorni di cammino in terra di Gesù? C’è il tempo per uno scambio e una comunione d’anima.
È l’ascolto della parola che fa riconoscere la presenza di Gesù Risorto. Così è stato per i due viandanti di Emmaus: il loro cuore ardeva nell’ascolto delle sue parole e i loro occhi si sono aperti mentre spezzava il pane. È stato così per i pescatori sul lago. È stato così per Maria di Magdala: aveva scambiato Gesù per il custode del giardino. Quando Gesù la chiama per nome, lo riconosce.
Lasciamo Emmaus Nicopolis con questa risoluzione: ascoltare e vivere la parola, partecipare alla “frazione del pane”, per fare ogni volta la scoperta che Gesù è vivo ed è vicino.

Pellegrinaggio in Terra Santa – settimo giorno

30 settembre 2019

La giornata si apre nella chiesa che custodisce la memoria della tomba della Madonna. Precisiamo, qui non c’è il suo corpo: è stata assunta in Cielo. Facciamo in tempo ad assistere all’ultima parte del rito greco-ortodosso. Siamo scesi per una lunga gradinata, fin quasi all’iconostasi, al di là della quale il sacerdote celebra l’Eucaristia. Ci commuove il gesto di una giovane donna che si avvicina per porgere un frammento del pane benedetto che al termine della Messa viene condiviso tra i presenti. La chiesa è fitta di lampadari appesi alla volta. Nuvole di incenso aleggiano sulla navata. Mettiamo anche noi le candeline votive sul candelabro. Ogni fiamma è una preghiera…
Il resto della mattinata è un susseguirsi incalzante di visite a luoghi santi e cari ai cristiani di tutte le confessioni. Siamo gomito a gomito con pellegrini statunitensi, coreani, tedeschi, con fratelli ortodossi di varie appartenenze e protestanti piuttosto compassati. Per chi legge probabilmente è solo un elenco, per noi è una sequenza di forti emozioni: grotta del Getsemani, orto degli ulivi, terrazza del Dominus Flevit. Quando scendiamo alla chiesa dell’Agonia i pellegrini diventano un fiume straripante. Eppure, è possibile avanzare ascoltando la lettura dei fatti evangelici legati ai luoghi: gli auricolari fanno un ottimo servizio! Siamo trasportati dentro a quegli avvenimenti. Nella Messa ci viene ricordato come Gesù, nella Passione, continua a soffrire, a pregare, ad amare. Si imprimono nella memoria le sette parole di Gesù in croce: «ho sete», «tutto è compiuto», «Padre, perdonali», «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito», «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?», «Donna ecco tuo figlio, figlio ecco tua madre».
Nel pomeriggio l’attesissima Via Crucis: da vari giorni sono state distribuite le stazioni. A quindici amici viene chiesto di preparare le meditazioni. Non saranno testi convenzionali, ognuno cercherà di condividere un dolore vissuto e scavalcato alla luce della speranza che viene dalla fede. C’è commozione. Qualche lacrima. Molta preghiera. Eppure, la processione si distende (siamo in cinquanta!) tra le stradine della Gerusalemme vecchia, luogo del mercato: mille bancarelle, negozietti uno addossato all’altro, tanta gente che sale e scende, ragazzini che svicolano tra i pellegrini. Nessuno si meraviglia quando cantiamo. Non disturbiamo il brulichio del bazar, ne facciamo parte: il brulichio attorno non disturba la nostra preghiera. Arriviamo al Santo Sepolcro. La scritta è in greco, ma per chi lo sa leggere è chiara: «Non è qui. È risorto dai morti». Sembra ricacciare tutti ad una più vera ricerca di Gesù: «Cercatelo dove è vivo. Cercatelo altrove!». Anche qui una coda interminabile. Ma siamo preparati. I piedi ci dolgono e ogni passo in avanti ci pare una conquista. La grande basilica costantiniana – lo sappiamo bene – è proprietà musulmana, ma lo spazio sacro è rigorosamente spartito, secondo le regole dello “status quo”, da cinque confessioni cristiane. È paradossale quanto siamo vicini e quanto è difficile l’ecumenismo. Finalmente, a gruppi di cinque o sei, entriamo nel Santo Sepolcro. Non è consentito fermarsi; si resta un attimo, si accarezza la pietra su cui il corpo di Gesù ha sostato per un giorno, prima della risurrezione: questa è la testimonianza dei primi discepoli ed il fondamento della fede cristiana. Visitiamo altri angoli ed altre cappelle interne alla basilica. Ci fermiamo a quella che, secondo la tradizione, racchiude la cima del Calvario. Sotto un altare c’è il buco dove fu piantata la croce. Possiamo allungare la mano dentro a quei trenta centimetri di vuoto, ma in realtà sono una voragine di dolore e di amore. «Avendo amato i suoi, li amò sino in fondo»: fino al dono totale di sé, dal primo all’ultimo, fino al fondo del loro mistero, fino alla profondità del suo amore, “buco nero” che annulla tutto il negativo…
La giornata è stata decisamente piena. A casa, come ogni sera, condivisione: perché nulla vada perduto.

Pellegrinaggio in Terra Santa – sesto giorno

29 settembre 2019

La spianata delle moschee, il muro del pianto: due mondi che si intersecano nello stesso spazio. Un tempo qui sorgeva l’area sacra degli ebrei. Ora è rimasto solo il muro occidentale. Agli arabi le moschee, agli ebrei il “muro del pianto”. Avvertiamo la tensione, la si respira nell’aria nel susseguirsi dei check point, nei crocicchi di soldati e soldatesse israeliani e di agenti della sicurezza araba. Quello che potrebbe essere un modello di convivenza, in realtà è un campo di battaglia. Facciamo fatica a capire.
Ammiriamo lo splendore delle grandi moschee (di al-Aqsa e di Omar) e l’ampio spazio un tempo sito di una delle meraviglie del mondo antico: il tempio di Salomone. Chissà come l’Altissimo vede le relazioni tra gli uomini… Non possiamo entrare nelle moschee, siamo europei e cristiani. Riusciamo ad arrivare al muro del pianto. Qualcuno di noi ignora il modo di pregare degli ebrei ortodossi. Fatica a trattenere lo stupore. Ne parliamo. Questo un nostro pensiero: saper accogliere le differenze, impossibile eliminarle. La qualità della nostra vita si gioca tutta sulle relazioni: buone relazioni, vita bella; cattive relazioni, vita triste. Ma possiamo fare un passo: guardare le differenze come un valore da accogliere, che ci educa e ci costringe all’apertura. Il resto di questa lunga mattinata lo trascorriamo al Museo Yad Vashem. Sostiamo orgogliosi davanti alla targa che ricorda un sammarinese che ha meritato di essere onorato come un “giusto”: Ezio Giorgetti. A lui è dedicato un albero nel parco della memoria. Entriamo nel Museo. Nella grande sala centrale, quasi un tempio, un soffitto di pietra sovrasta pesante sui visitatori: una pietra tombale. Una lampada arde tra le scritte sul pavimento di marmo nero che ricordano i campi di concentramento nazisti. Entriamo poi in un tunnel che ci porta in un ampio spazio completamente buio, dove brillano migliaia di stelline. Ognuna rappresenta un bambino vittima nei lager. La voce fuori campo ripete i loro nomi, uno dopo l’altro: un’angosciante litania. Quando torniamo alla luce più di uno si sta asciugando le lacrime. Entriamo nel padiglione che raccoglie la documentazione dell’olocausto. Siamo come ingoiati in un dolore immenso. Al rientro rileggiamo una lettera inviata dal Vescovo agli studenti del nostro Liceo in visita ad Auschwitz, nel 2016. Ecco qualche riga: «Nella sinistra oscurità di Auschwitz verranno a mancarvi perfino le parole, resterà solo uno sbigottito silenzio. In questo atteggiamento di silenzio inginocchiatevi profondamente nel vostro intimo davanti alla schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte. Il vostro è un viaggio della memoria, ma il passato non è mai solo passato: ci riguarda e indica le vie da non prendere e quelle da prendere. Ascoltate le parole che sgorgano dal cuore e trasformatele, se volete, in un grido interiore verso Dio: “Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?”. È preghiera che io chiamo “preghiera del Perché?”, la stessa che ha fatto vibrare le labbra del Cristo Crocifisso: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. È il grido di tutti coloro che nel corso della storia – ieri, oggi e, non vorrei dirlo, domani – soffrono per amore della verità, della libertà e del bene, e di coloro che soffrono anche senza un motivo se non per l’irrazionalità e la prepotenza di uomini malvagi e di poteri iniqui. In questo viaggio proponetevi: di condurre la ragione a riconoscere il male e a rifiutarlo; di suscitare in voi il coraggio del bene, della resistenza contro il male; di fare vostri quei sentimenti che Sofocle mette sulle labbra di Antigone di fronte all’orrore che la circonda: “Sono qui non per odiare insieme, ma per insieme amare” (cfr. Sofocle, Antigone, v.497-525)».
Nel pomeriggio visitiamo il Cenacolo. Per noi è un cuore pulsante: qui Gesù lava i piedi agli apostoli, dà il comandamento nuovo, istituisce Eucaristia e sacerdozio, promette lo Spirito e prega per l’unità. Nel Cenacolo accadono le apparizioni del Risorto (quella senza Tommaso e quella con Tommaso) e la Pentecoste, inizio della Chiesa. Qui è necessaria una sosta. Entriamo nel giardino accanto. I francescani ci consentono di riposare. Decidiamo di “staccare la spina”, di riflettere sulle emozioni del mattino e di interiorizzare i palpiti del Cenacolo. C’è la possibilità della Confessione: sono con noi don Alessandro e don Flaviano. Il Cenacolo è di proprietà araba, ma è uno spazio spirituale ed un’atmosfera educativa per tutti.

 

Pellegrinaggio in Terra Santa – quinto giorno

28 settembre 2019

Betlemme. Intoniamo canti natalizi… con 34 gradi e col sole a picco. C’è da fare una lunga coda per scendere alla grotta della Natività: un serpentone multicolore, plurilingue, multireligioso. Nel luogo dell’umiltà incarnata c’è chi fa il furbo: scavalca, urta, sgomita. Nonostante i buoni propositi ci si inquieta. Effettivamente l’arroganza suscita indignazione. Cerchiamo di mantenere la calma. C’è chi sa vedere il positivo: «Guarda quanti sono attirati da Gesù». In verità, tra i pellegrini si sono infiltrati turisti, cristiani per caso e scatenati fotografi. Abbiamo l’auricolare, strumento indispensabile per questi giorni e soprattutto qui per ascoltare le spiegazioni di Alessandra, la nostra guida. Passa più di un’ora quando finalmente si comincia a fare qualche passo. Tentiamo di mantenere il raccoglimento e di fare argine alla superficialità che ci sembra di cogliere attorno. Sussurriamo il Rosario meditando i misteri gaudiosi. Ci riconciliamo con la folla. Ci sembra una metafora della Chiesa di oggi. Ormai siamo a pochi passi dalla grotta. Scendiamo la scaletta. Sotto un altare una grande stella d’argento a quattordici punte incorona il luogo della nascita di Gesù, secondo l’antica tradizione. Stare in fila tanto tempo ci ha aiutato a focalizzare bene quanto ognuno ha da dire e da chiedere al Signore. Il tempo è pochissimo: una genuflessione, un bacio o una carezza sulla stella. Strano: gli uomini della sicurezza ci consentono di fare un altro canto natalizio.
Ripensando al nostro atteggiamento prima e durante la sosta a questo luogo, ci sembra d’aver creato “una bolla di preghiera” contagiosa per chi ci sta attorno. Non usciamo dalla porticina come avevamo fatto all’ingresso. Quella porticina viene chiamata “dell’umiltà”: per oltrepassarla ci si deve piegare e alleggerire dal proprio orgoglio. Solo così si arriva al Signore. Passiamo alla Grotta del Latte, un luogo mariano. A dispetto della confusione di prima, troviamo un’oasi di assoluto silenzio. C’è una comunità di monache che ci offre ospitalità eucaristica: un’ampia cappella con l’Eucaristia esposta per l’adorazione. Molti di noi prolungano il silenzio adorante e su cartoncini scrivono richieste di preghiera da affidare a quelle sante donne. Al campo di pastori, più sotto, si narra un simpatico racconto. I pastori vanno dal Bambino Gesù con i loro doni. Solo uno non ce la fa ad arrivare: è anziano e un po’ sbadato. Giuseppe, avvertito da un angelo, prepara la cavalcatura per la fuga. Maria ha in braccio il bambino. A questo punto – son tutti pronti per partire – il bambino strilla. Che cos’ha? Neppure le carezze della più dolce delle mamme riescono a placarlo. Non si può partire. Il bambino piange. Arriva il ritardatario, l’ultimo dei pastori sotto il carico del suo dono, ma soprattutto dei suoi anni. A quel punto il bambino non piange più. È arrivato l’ultimo. Non c’è più motivo di indugiare.
La giornata si conclude ad Ain Karen, il villaggio dove Maria incontra Elisabetta e dove nascerà Giovanni Battista. Preghiamo il Benedictus e il Magnificat. Il luogo è verdissimo e pieno di fiori. Tutto ci parla di affettuose cronache familiari che assurgono, però, a tappe importanti della storia della salvezza. Si respira la spiritualità degli anawìm, i piccoli che tutto si aspettano, fiduciosi, da Dio. È quell’Israele pronto ormai ad accogliere il Messia: Zaccaria, Elisabetta, Simeone, Anna, Giuseppe e Maria di Nazaret.
Fa un certo effetto e rende pensosi la fine tragica del Precursore.
Rientriamo a Betlemme, ancora una volta dobbiamo varcare il grande muro, passare il check point, aspettare in silenzio i controlli dei militari armati di mitra. Preghiamo ancora una volta per la pace.