20 maggio – Persona

Ascoltiamo Andrea, l’apostolo che condusse a Gesù Pietro, suo fratello, e presentò il fanciullo che aveva i cinque pani d’orzo e i due pesci per la moltiplicazione. È lui che insieme a Filippo porta gli stranieri all’incontro con Gesù. Dunque, la caratteristica di Andrea è quella dell’accompagnamento a Gesù.
«Filippo vi ha parlato dello Spirito – ci dice Andrea – che vive in ciascuno e vivifica l’anima immortale infusa dal Creatore in ogni uomo». «Io – continua l’apostolo Andrea – vivendo con Gesù per ben tre anni, ho capito che lo Spirito Santo non è semplicemente una forza o un’entità ma una persona viva, un Tu verso il quale Gesù si è rivolto, un Tu che ama, che ascolta, che suggerisce, che vuole e che si dona. L’ho capito osservando il rapporto che Gesù stabiliva con lo Spirito Santo e il rapporto che lo Spirito Santo aveva con Gesù, un rapporto personalissimo e sempre in crescendo (mi riferisco a Gesù in quanto uomo, perché come Verbo, Seconda Persona della Trinità, non ha mai abbandonato la Trinità)».
«All’inizio del ministero pubblico – ci dice Andrea – Gesù si fece battezzare da Giovanni nel fiume Giordano. Durante quel Battesimo – dicono i Vangeli concordemente – lo Spirito Santo scende visibilmente sull’umanità di Gesù. Da quel momento è chiaro che lo Spirito ha preso posto in Lui. Ho visto l’umanità di Gesù come un vaso nel quale veniva versata la fragranza e il profumo indicibile dello Spirito che, poco a poco, lo pervadeva, lo impregnava di sé. Subito dopo lo Spirito sospinse Gesù nel deserto per lottare contro Satana; lo Spirito Santo mi è parso come un allenatore che prepara il suo atleta per il combattimento. Dopo quaranta giorni di preghiera e digiuno Gesù affronta il nemico e lo vince».
Poi ancora: «Gesù si lascia condurre dallo Spirito nella sinagoga di Nazaret in giorno di sabato. Tutti conosciamo come si sono svolti i fatti: Gesù entra, si alza in piedi, prende i rotoli della Scrittura e, mosso dallo Spirito Santo, docile allo Spirito Santo, manifesta la chiarezza della sua vocazione. Lo Spirito Santo è all’origine della vocazione messianica di Gesù. Gesù apre il rotolo del Libro nel quale sta scritto: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi, predicare un anno di grazia del Signore”. L’intimità di Gesù con lo Spirito è la molla di tutta la sua vita e della sua attività messianica, realizzazione piena della sua vocazione».
Non solo. La conversazione che Gesù ha con lo Spirito Santo è sorgente di gioia. C’è un momento in cui Gesù sbotta in un inno di giubilo: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli». Gesù si riferiva a noi, ma era lo Spirito che gli dava la gioia. Indicando noi, infatti, intendeva dire che non c’erano sapienti o nobili o potenti, ma solamente dei piccoli.
«Torniamo alla metafora del vaso», suggerisce l’apostolo Andrea. «La conversazione, la fedeltà e la comunione di Gesù con lo Spirito Santo, che l’ha accompagnato in tutta la sua vita, ha fatto sì che la fragranza dello Spirito lo abbia impregnato totalmente, al punto che Gesù diventa tutto questo profumo, tutto amore, tutto dono di sé, tutto simpatia, gioia e forza». «Un giorno – dice Andrea – quel vaso si sbriciolò, si disciolse (è l’umanità di Gesù) e diventò tutto Spirito, datore di vita, liberando la forza e la fragranza che era in lui». Del resto – conclude l’apostolo Andrea –, non poteva essere che così: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”». L’evangelista Giovanni, che era presente alla morte in croce di Gesù, ci racconterà ogni cosa, svelandone il senso profondo.

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Nella giornata di domani propongo di lasciarci accompagnare, come Gesù, dallo Spirito Santo. Vivere la giornata con lui. Continuiamo il gioco del “prediletto” della Madonna nella nostra famiglia.

19 maggio – Anima dell’anima

Diamo la parola ai due apostoli che portano un nome greco: Filippo e Andrea. Vengono dalla Galilea, territorio di confine, luogo di incontro fra culture diverse: ebraica, ellenistica e fenicia. Per la loro provenienza possono fare da intermediari tra Gesù e i lontani. Il Vangelo ci racconta che un giorno dei greci sono andati da Gesù, lo volevano incontrare, ma non osavano: forse erano intimiditi (ma Gesù non credo facesse soggezione); o forse avevano paura di farsi vedere (parlare col Maestro era compromettente); probabilmente non conoscevano l’aramaico, la lingua parlata da Gesù. Filippo e Andrea conoscevano il greco e si offrirono come interpreti: Filippo andò a dirlo ad Andrea e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Dopo questa concitata anticamera finalmente quei greci furono ammessi al colloquio con Gesù.
Filippo è l’apostolo che fa a Gesù una domanda decisiva durante l’Ultima Cena, quando dice: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gesù gli risponderà: «Filippo, da tanto tempo sei con me, non hai capito che chi vede me, vede il Padre?».
Ascoltiamo Filippo: «Quando Dio creò l’uomo lo plasmò con polvere dal suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente». L’alito di vita non è altro che una effusione dello Spirito Santo. Ogni uomo che viene al mondo è animato dal Soffio di Dio, direttamente. Questa verità è stata intuita anche dal mondo greco e dai suoi filosofi. Dunque, lo Spirito Santo è uno Spirito effuso dall’inizio nell’uomo.
Alcuni filosofi dicevano che l’anima è come una scintilla divina, una luce immortale che tiene vivo il corpo. A sua volta, questa scintilla è imprigionata nel corpo, come in una caverna, ed è causa di una divisione, un dualismo, che ognuno di noi sperimenta psicologicamente, tra la carne e lo spirito.
L’esistenza di un principio spirituale è stata intuita anche dai poeti: «Stirpe divina noi siamo», hanno scritto. Per questo, forse, i greci hanno raffigurato i poeti come ciechi, per dirci che sanno vedere l’invisibile e che «l’essenziale non si vede bene che con il cuore», come dirà uno scrittore moderno.
«La tua esposizione, Filippo, è molto chiara. Lo Spirito Santo è dentro di noi, è quella scintilla divina che ci è stata comunicata. Però, molti hanno smarrito la dimensione spirituale: c’è chi ha una cura eccessiva per il corpo e non sa andare al di là del benessere fisico; c’è chi non ha alcuna cura dell’anima e delle virtù che la rendono nobile; c’è chi disprezza la vita fisica sottoponendola a dura prova e non crede più che ha origine nello Spirito di Dio: per questo uccide, non rispetta il corpo o lo esibisce senza pudore. Alcuni pensano che la vita sia esclusivamente nelle loro mani: decidono la soppressione di un essere umano nel grembo della madre o sul letto di ospedale quando è ammalato o vecchio, pensando di compiere un atto di pietà o di coraggio. Agli uomini del nostro tempo occorre gridare di nuovo il vangelo della vita. La vita è un dono di Dio, sempre; la vita, nella sua radice più profonda è un raggio dello Spirito. La vita è splendore di Spirito Santo, segno della sua presenza nell’uomo.

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Per la giornata di domani propongo questo pensiero: non contristare lo Spirito Santo che vive in ciascuno di noi e nel prossimo. Vivere la giornata sempre in accordo con Lui dentro di noi.
Continuiamo il gioco del “prediletto” della Madonna nella nostra famiglia.

18 maggio – Di Lui è impossibile parlare impossibile tacere

Diamo precedenza alle due figure di apostoli che la Pala non è riuscita a conservare. Dell’ultimo apostolo, a destra per chi guarda, si intravvede il ginocchio: è in atteggiamento di venerazione e di preghiera. Del penultimo si vede appena il profilo del volto: ambedue le figure sono invisibili ma presenti. Anche se mancassero completamente, la loro presenza sarebbe rivelata dalla simmetria con cui è stata disegnata la Pala: sei figure a destra, sei a sinistra e Maria nel mezzo.
Alcune figure sono identificabili da alcuni elementi iconografici, come ad esempio Pietro che ha in mano le chiavi. Delle altre saremo noi a dare il nome. Cominciamo, per così dire, a dialogare con ciascuno di loro. Iniziamo con l’ultima figura, Simone, che Luca chiama Zelota, forse perché aveva militato nel gruppo antiromano degli Zeloti e soprannominato invece Cananeo dagli evangelisti Marco e Matteo. Gli chiedo: «Nella esperienza di effusione dello Spirito Santo avvenuta a Pentecoste, hai riconosciuto una realtà già sperimentata?».
«Sì – mi risponde –, le Scritture parlano dello Spirito di Dio: uno Spirito forte, creatore, luminoso, come una cascata di acqua, come un vento gagliardo… Se tu parli greco, Spirito si dice pneuma e indica la dimensione immutabile e più elevata dell’uomo, ma anche quella più astratta ed invisibile, l’anima. Se parli ebraico, Spirito si dice ruach, che significa letteralmente uragano, tempesta, potenza irresistibile.
Gli dico: «Parlaci delle pagine che anticiparono la rivelazione dello Spirito Santo secondo l’istruzione che hai ricevuto in sinagoga?».
Simone continua: «Ci sono tre passi della Scrittura che mi hanno sempre colpito: il primo versetto della Genesi, dove è scritto: «Il Ruach di Dio aleggiava sulle acque primitive e crea, traendo dal nulla, il cosmo; il Salmo 104,  dove il poeta canta al Signore: «Se mandi il tuo Spirito tutto è creato, se lo ritiri tutto si spegne»; e, infine, un terzo passo, tratto dal Libro di Giobbe nel quale Eliud dice: «Lo Spirito di Dio mi ha creato e il Ruah dell’Onnipotente mi dà vita.»
Interpello ora l’altro apostolo, appena visibile sulla Pala: è Giuda Taddeo o Giuda di Giacomo. È lui che, nell’Ultima Cena, si rivolge a Gesù dicendo: «Signore, com’è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». In quella circostanza Gesù gli risponde che l’autentica manifestazione di Dio è riservata a chi lo ama ed osserva le sue parole. Dell’apostolo Giuda conserviamo anche una lettera. Lo coinvolgiamo nel dialogo. Dice: «È difficile, è drammatico: dello Spirito è impossibile parlare ed è impossibile tacere al tempo stesso».
«Perché?», gli chiedo. E lui: «È impossibile parlare dello Spirito perché non è un oggetto su cui si possa fare un’inchiesta, un’indagine. Anzi, è lì, invisibile, a ricordarci imperiosamente che Dio è mistero, trascendenza. Davanti a Dio s’impone un casto silenzio! Ma dello Spirito è anche impossibile tacere perché, dopo l’umile ammissione della propria insufficienza, non si può non riconoscere gli effetti del suo passaggio.
Senza di lui Dio è lontano, il Cristo resta nel passato, il Vangelo è lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione, l’autorità una dominazione, la missione propaganda, l’agire morale una imposizione da schiavi. «Nella mia Lettera – continua l’apostolo – ho descritto lo squallore di una vita che non accoglie lo Spirito: nuvola senza pioggia portata via dai venti; albero di fine stagione senza frutto, due volte morto, sradicato; onda selvaggia del mare che schiuma le sue brutture; astro errante al quale è riservata la caligine della tenebra in eterno. Ma voi, o carissimi, – conclude – custodite il vostro edificio spirituale sopra la vostra santissima fede, pregate mediante lo Spirito Santo e conservatevi nell’amore di Dio».

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Nella giornata di domani ripetiamo più volte l’esercizio di invocare lo Spirito Santo: «Vieni, Spirito Santo!», specialmente prima delle attività più impegnative.
Continuiamo il gioco del “prediletto” della Madonna nella nostra famiglia.

17 maggio – La manifestazione dello Spirito Santo

La Pala che stiamo contemplando, dopo il clima di attesa che ci ha lasciato intuire, finalmente ci mostra l’avvenimento: i Dodici sono in atteggiamento orante e di sereno stupore. Quando venne il giorno della Pentecoste, erano riuniti tutti insieme nello stesso luogo. All’improvviso si sentì un rumore dal cielo, come quando tira un forte vento e riempie tutta la casa dove si trovavano. Allora – scrivono gli Atti degli Apostoli – videro qualcosa di simile a lingue di fuoco che si separavano e si posavano sopra ciascuno di loro. Tutti furono riempiti di Spirito Santo e si misero a parlare in altre lingue, come lo Spirito concedeva loro di esprimersi.
Ma che sanno gli ospiti del cenacolo dello Spirito Santo? Ricordano appena quello che Gesù aveva detto cinquanta giorni prima, durante l’Ultima Cena, nei “discorsi di addio”. Come ebrei osservanti che cosa potevano sapere dello Spirito Santo?
Dobbiamo chiarire.
L’Antico Testamento taceva la realtà personale dello Spirito Santo, vi alludeva soltanto. Dunque, gli apostoli non conoscevano nulla di Lui fino a quel momento. La rivelazione piena dello Spirito Santo è avvenuta soltanto attraverso le parole di Gesù, nella Pentecoste e nella vita della comunità cristiana dei primi tempi. Dio – noi lo confessiamo con gratitudine e fede – è Padre, Figlio, Spirito Santo. Un solo Dio in tre Persone, uguali e distinte. Così ci ha insegnato la Tradizione teologica: è la nostra fede.
I nomi delle tre divine Persone sono spesso sulle nostre labbra. Li pronunciamo più volte al giorno facendo il segno della croce sulla nostra persona, toccando la fronte, il petto, la spalla sinistra, la spalla destra e congiungendo le mani: la Trinità su di noi. Viene in mente l’abbraccio che fa trasalire la sposa del Cantico dei Cantici: «Il suo braccio sinistro è intorno al mio collo, con il destro mi abbraccia». Una tradizione patristica dice che il Padre è l’amante, il Figlio l’amato, lo Spirito Santo il bacio.
Gli ospiti del cenacolo nulla potevano sapere dello Spirito Santo, ma adesso cominciano a farne esperienza. Eppure, lui c’era già e già aveva agito in loro, dall’istante del loro concepimento. Fortificava la loro crescita ed era su di loro quando imparavano la Torah in sinagoga. Fu lo Spirito Santo, ignaro ospite nel loro cuore, che ispirò il generoso «sì» a Gesù che li chiamava alla sequela.
Lo Spirito Santo, non rivelato ancora, era già presente nella storia del loro popolo, nei grandi eventi della storia e nella vita di ogni persona.
Nelle serate che seguono propongo – per rendere più facile la presenza dei bambini – di immaginare una sorta di intervista alle persone raffigurate sulla Pala; ci rivolgeremo a ciascuno degli apostoli e con loro faremo una lettura delle pagine della Bibbia che, in qualche modo, alludono allo Spirito Santo, in modo da conoscere di più la Terza Divina Persona.

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L’impegno per domani è: fare bene il segno della croce, non per abitudine, ma con il trasalimento di sapersi abbracciati dalla Santissima Trinità: Padre, Figlio, Spirito Santo.  
Continuiamo il gioco del “prediletto” della Madonna nella nostra famiglia.

16 maggio – In attesa della Pentecoste

Il nostro cammino parte dal Cenacolo. Maria è con noi in attesa della discesa dello Spirito Santo. Dalla sera del Giovedì Santo, e forse anche da prima, il gruppo di Gesù era solito trovarsi in quella sala grande, al piano superiore, munita di tappeto e tutta pronta.  Lì Gesù aveva istituito l’Eucaristia. Nel cenacolo avverranno le apparizioni riferiteci da Luca e da Giovanni (quella senza Tommaso e quella con Tommaso). Gli Atti degli Apostoli raccontano che i discepoli, dopo l’Ascensione di Gesù, si erano riuniti assidui e concordi nella preghiera insieme ad alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù e con i fratelli di lui nel Cenacolo; questo per esplicito comando di Gesù, che ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme e di attendere che si compisse la promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udita da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni» . L’attesa durò dieci giorni, dall’Ascensione alla Pentecoste. Giorni intensi, guidati da Pietro che organizza riunioni, propone un’inchiesta e prende l’iniziativa di sostituire il dodicesimo apostolo (Giuda che si era tolto la vita) con Mattia, tirato a sorte. Sono giorni di spiritualità, caratterizzati dalla preghiera, da premure e da relazioni di amicizie, ma soprattutto animati da Maria, la Madre di Gesù.
Dobbiamo sottolineare, all’inizio di questo percorso che sarà guidato dalla figura della Pala della Pentecoste che ci accompagna in questo mese di maggio, alcuni particolari. Il gruppo dei discepoli è vigilante in attesa dello Spirito Santo. La Pala della Pentecoste che vediamo riprodotta ci dà piuttosto l’idea dell’evento che dell’attesa; infatti, porte e finestre sono spalancate, i volti raggianti sono illuminati dallo Spirito, che appare sotto forma di colomba. Ma dobbiamo presupporre e rivivere a nostra volta quella attesa. Riflettiamo sull’attesa, l’attesa dello Spirito Santo. Ci sono due modi sbagliati di attendere. Quello di chi sfugge la vigilanza che l’attesa comporta (attendere vuol dire vegliare, essere all’erta); succede quando ci si sottrae ad un appuntamento. Si manca all’appuntamento con lo Spirito Santo quando si resta nell’ignoranza di lui, quando non lo si ama, non lo si invoca e non lo si aspetta nelle decisioni che dobbiamo prendere (quando lui potrebbe essere nostro suggeritore) o quando abbiamo iniziative da intraprendere (e lui potrebbe essere la nostra guida). L’altro modo sbagliato di vivere l’attesa è quello di subirla, senza vedere la preziosità del momento presente. Ci è chiesto di vivere l’attesa con intensità, invocando lo Spirito Santo.

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Propongo, a partire da questa sera, di abituarci ad invocare lo Spirito Santo: «Vieni, Spirito Santo, riempi il cuore dei tuoi fedeli ed accendi in essi il fuoco del tuo amore». Lo invocheremo soprattutto nei momenti difficili, quando dobbiamo prendere una decisione o compiere un’azione che esige responsabilità.
Continuiamo il gioco del “prediletto” della Madonna nella nostra famiglia.

15 maggio – Quinta tappa della Via Mariae: smarrimento e ritrovamento di Gesù

C’è un momento doloroso nella vita di Maria: quando perde Gesù, ma è solo l’anticipo della desolazione che sperimenterà ai piedi della croce. Alla luce di queste tappe possiamo interpretare i momenti di oscurità del cammino di fede. Può succedere che, dopo l’entusiasmo iniziale, subentri la delusione e che, dopo momenti di luce e di trasfigurazione, subentrino l’aridità e il deserto. L’anima allora si sente avvolta da una nube oscura. Nessuna luce, nessuna parola, solo silenzio. Il Signore sembra nascondersi. Sarà per un gioco d’amore? Ma l’anima non lo sa.
Poi c’è la sofferenza, propria e degli altri, che interpella. C’è il dolore innocente che turba. Si avanza, allora, solo per fede.
I Vangeli non raccontano di un’apparizione di Gesù Risorto a Maria. Ci lasciano solo intuire l’oscurità di quel Sabato Santo. È certo che la Madonna ha vissuto insieme agli apostoli, ai discepoli e alle altre donne la fede nella risurrezione, l’attesa dell’effusione dello Spirito Santo e il cammino della Chiesa degli inizi. È la prima a gioire dei racconti pasquali ed è maestra di preghiera nel Cenacolo, discreta e umile sino alla fine.
Vale per noi, come per lei, questa dinamica: mentre il contenuto della fede è permanente e stabile, l’atto di fede si esprime con un «sì» sempre nuovo. Penso così la vita di Maria accanto al discepolo che Gesù amava, Giovanni.
Il momento dell’Annunciazione è ormai lontano. Si aprono per Maria nuove circostanze e nuove situazioni di vita. A noi non è giunta alcuna altra notizia, ma la pensiamo in cammino, continuamente nella logica del dono: la sua fede è sempre più la fede di Gesù e non solo in Gesù. E questo costituisce il proprium di Maria, progetto di vita per ogni altro discepolo.

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L’impegno della giornata di domani è quello di accogliere con gratitudine anche i momenti di dolore, di dispiacere, di buio e di unirli nel «sì» di Maria.
Continuiamo il gioco del “prediletto” della Madonna nella nostra famiglia.

14 maggio – Quarta tappa della Via Mariae: Maria offre Gesù

So di cristiani, uomini e donne, che si dispiacciono di non sentire particolarmente presente al loro spirito la Madonna. Qualcosa di simile è accaduto anche ai primi secoli della storia del cristianesimo… Maria – si potrebbe dire – ha lasciato tutto il posto a Gesù, che il mondo doveva riconoscere come il Figlio di Dio. E così succede nelle nostre piccole storie personali. Maria è amata e venerata, ma senza conoscere molto di più di lei e, soprattutto, senza avere instaurato con lei un profondo e intimo rapporto. Ma accade però che nel progresso della vita cristiana Maria appaia con una evidenza nuova. Questo può accadere quando la prendiamo e la vediamo come modello. Allora si comincia a contemplarla come “perfetto cristiano”. Ad esempio, se Gesù è la Parola incarnata, lei ci appare, per la sua fedeltà alla Parola, “Parola vissuta”. Dice il Vangelo che Maria conservava tutte le cose di Dio nel suo cuore, meditandole (cfr, Lc 2,19). Maria, grembo del Verbo, è diventata tutta volontà di Dio vissuta.

Fatta questa precisazione riprendiamo i temi della nostra meditazione. Nella tradizione spirituale cristiana ci sono stati dei maestri che hanno rappresentato l’itinerario spirituale come una scala (San Romualdo, fondatore dei Camaldolesi), o come la salita ad un monte (Giovanni della Croce nella “Salita al Monte Carmelo”) oppure come un grande castello con tante stanze una dopo l’altra (Santa Teresa d’Avila nel “Castello interiore”). Effettivamente la nostra spiritualità conosce diverse “tappe”; tappe obbligatorie, anche se ognuno le vive a modo suo. In queste tappe si ravvisa una sintonia con la Madonna. Per questo abbiamo “infilato”, per così dire, alcuni episodi della vita della Madonna e li abbiamo applicati a noi. Nelle scorse sere abbiamo parlato di Annunciazione. Il Signore ha aperto anche a ciascuno di noi una strada, una possibilità unica di vivere pienamente la nostra vocazione: è il momento del “fiat”, del “sì”. Poi la Visitazione. Maria ha trovato in Elisabetta un’anima aperta, amica, e, facendo unità con lei, le è venuto di dare voce al canto del “Magnificat”, lode a Dio per tutte le cose grandi che faceva in lei. È il momento della testimonianza in cui il cristiano si dichiara coraggiosamente, perché dà atto di tutto quello che il Signore fa nella sua vita. Nella famiglia ci sono tante occasioni per raccontare il proprio cammino spirituale: comunicare la vita! Da Maria nasce Gesù. Quando si vive insieme ad altri la fede – in famiglia, in comunità, in parrocchia – si prende coscienza d’essere grembo che genera Gesù: è il momento nel quale si apprezza l’unità superando l’individualismo.

Questa sera accenniamo ad un’altra tappa, un altro gradino per progredire nella vita cristiana. Maria, insieme a Giuseppe, porta il bambino al Tempio per offrirlo al Signore. È il momento di un certo distacco (ma Dio, se chiede, è per dare!). Quel bambino appartiene al Padre Celeste. È stato dato non per essere possesso di quella santa coppia! Maria e Giuseppe devono imparare a cedere “i loro diritti”. Quel bambino non è loro proprietà. Su di lui Dio ha un progetto ben preciso, un progetto a vantaggio di tutti. Per mamma e papà questa è una tappa molto impegnativa. Ma il tema dell’offerta va oltre alle dinamiche famigliari. Il cristiano fa di tutta la sua vita un’offerta. Sa che non deve trattenere per sé quello che gli è stato dato in dono. «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Chi arriva a questo gradino della vita cristiana fa un’esperienza di libertà. Il Signore, poi, «ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). È proprio vero: «C’è più gioia a dare che a ricevere» (At 20,35).

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Nella giornata di domani proviamo a vivere l’atteggiamento di offerta, anche nelle cose piccole, nel fare un servizio, nell’alzarsi in piedi per primi…
Continuiamo il gioco del “prediletto” della Madonna nella nostra famiglia.

12 maggio – Terza tappa della Via Mariae: la Natività

La terza tappa della strada che percorre Maria è quella del gaudio per la nascita del suo bimbo Gesù. Maria, nel momento del parto, consegna all’umanità il Figlio di Dio. Questo donare Gesù al mondo da parte di Maria è l’esperienza tipica della Chiesa che si ripete nei secoli: portare il Signore, offrire la sua presenza. È ciò che il mondo attende ed è ciò che la Chiesa può dare veramente, perché la Chiesa è sacramento dell’incontro con Cristo. La vita cristiana è vivere la Chiesa così.
La fede ci spinge a costruire rapporti fra di noi in cui abita Gesù stesso. Quando dico “Chiesa” intendo la nostra parrocchia, le nostre comunità, la nostra famiglia; esse sono un grembo che ha questa vocazione: donare Gesù oggi. Questa è l’urgenza più importante che la Chiesa ha: dare la testimonianza, una testimonianza che vale più di tutto, più dei muri delle chiese e più di qualsiasi altra opera.
Come il cristallo in ogni suo frammento ha la stessa struttura molecolare, così la comunione ecclesiale sussiste in ogni comunità. Ogni comunità è grembo che genera Gesù nel mondo. Vale la pena fare il possibile per creare luoghi di fraternità, che siano significativi per la presenza di Gesù.

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Propongo per la giornata di domani di ricordare il dovere della testimonianza. La prima forma della testimonianza è l’amore reciproco: «Da questo conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).
Come ogni sera, ripetiamo il gesto di scegliere un biglietto per vedere chi è il “prediletto” della Madonna nella giornata di domani. Il gioco continua…

11 maggio – Seconda tappa della Via Mariae: la Visitazione

Abbiamo detto che la nostra vita cristiana ha delle tappe – speriamo sempre in crescita – che possiamo rintracciare nella vita della Madonna. La vita della Madonna diventa lo specchio del nostro itinerario. Ieri abbiamo parlato dell’Annunciazione; anche noi abbiamo, nella nostra esperienza cristiana, dei momenti che configuriamo come “annunciazione”; ad esempio il nostro incontro personale con Gesù, o il momento della riscoperta della nostra fede, in cui il “sì” è divenuto veramente consapevole. L’inizio ha sempre una grazia speciale. Oggi vediamo una seconda tappa nella vita cristiana; la ravvisiamo nel racconto evangelico della Visitazione di Maria ad Elisabetta. La fede, infatti, si manifesta nella dimensione della reciprocità. L’incontro fra le due madri è ricco di suggestioni: Dio fa visita al suo popolo attraverso il bimbo che Maria porta in grembo. È la Visitazione di Maria ad Elisabetta, ma è anche la Visitazione di Dio al suo popolo. Giovanni, non ancora nato, danza davanti al Messia nascituro. Il clima di quell’incontro sembra riportarci alla gioia del re Davide e di Gerusalemme quando viene accolta l’arca dell’Alleanza. Le due mamme ci ricordano come anche noi viviamo della fede degli altri. Non sarei credente se non avessi avuto una famiglia, una comunità, delle persone che mi hanno trasmesso la fede. Maria ed Elisabetta fanno a gara a cogliere l’una nell’altra l’azione di Dio. Allo stesso modo la presenza dei fratelli accanto al nostro cammino di fede ci fa attenti a non chiuderci nel rischio del soggettivismo e dell’individualismo. Il noi della fede è la casa della fede personale. Non per niente la prima parte del Catechismo della Chiesa Cattolica inizia con l’espressione: «Io credo, noi crediamo».

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Quale potrebbe essere una prospettiva per noi? Essere consapevoli della dimensione comunitaria della fede. La fede la si vive insieme. In concreto, propongo che in famiglia non solo si preghi insieme qualche volta, ma che ci si dichiari il patto dell’amore reciproco oppure si ricordi il brano di Vangelo della domenica precedente, facendone oggetto di una reciproca intesa.
Continuiamo il “gioco del prediletto della Madonna”.

10 maggio – Prima tappa della Via Mariae: l’Annunciazione

Imitare non è copiare: ciò che va cercato non sono né la cultura, né lo stile di un’epoca. Né bisogna confondere l’immagine di Maria e i suoi valori permanenti con le sue raffigurazioni culturali o i cliché delle varie epoche storiche. Quando si hanno stima e amore per una persona si tende ad essere e a fare come lei.

Possiamo ritrovare nella vita di Maria le tappe che caratterizzano il cammino di fede di ogni discepolo, uomo o donna, giovane o adulto, laico o consacrato.

C’è un momento nella vita di ogni cristiano, nel quale si sente l’irruzione di Dio; è il momento dell’incontro decisivo, che segna una svolta o chiede una scelta. Quel momento assomiglia all’Annunciazione. Messi davanti a Dio, si intuisce una chiamata. Si sente il peso della responsabilità, si avverte l’inadeguatezza, prende il timore di non potercela fare. È una situazione che talvolta si protrae nel tempo. Altre volte è l’inatteso che balena nel cuore. Rompendo ogni indugio, nella fiducia in Dio, con la compagnia di chi sta accanto, come Maria si dice «sì».

Allora si sperimenta con Maria che la chiamata del Signore è una creazione: al timore subentra la gioia, all’incertezza l’intraprendenza, al ripiegamento su di sé l’apertura coraggiosa all’altro e al mondo. La grazia della vocazione va custodita, è una risorsa per i momenti difficili, soprattutto va corrisposta ogni giorno. La grazia dell’inizio non è altro che la fedeltà di Dio, che non viene mai meno e dà gioia.

Alla luce delle Scritture un’intuizione spirituale vede la storia segnata da tre fiat (“si faccia”): il fiat della creazione, il fiat di Gesù nel Getsemani, il fiat di Maria. Ma la storia è segnata anche dai nostri piccoli e grandi fiat. Aiuta pensare che la nostra vita, le nostre imprese, il nostro lavoro, il nostro matrimonio, la nostra consacrazione al Signore, le nostre responsabilità sono vocazione, risposta ad una chiamata, collaborazioni al progetto di Dio. E Dio è fedele e non fa mancare tutti gli aiuti necessari. Questo è quello che chiediamo nella preghiera quotidiana del Padre Nostro: «Fiat voluntas tua».

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Stasera propongo una piccola iniziativa. Prendiamo una ciotola e mettiamovi dentro tanti biglietti quanti sono i componenti della nostra famiglia. Ogni biglietto contiene un nome. Stasera peschiamo un biglietto: la persona sorteggiata sarà la “prediletta” della Madonna nella giornata di domani. Un piccolo gioco per ricordarci di pregare gli uni per gli altri.