31 maggio – Profumo

Anche a noi succede come ad un gruppo di fedeli di Efeso ai quali Paolo domandò se avessero ricevuto lo Spirito Santo. Gli risposero che nemmeno sapevano che esistesse uno Spirito! Conoscevano bene il Battesimo di conversione, sapevano di Gesù, ma non avevano mai sentito parlare dello Spirito Santo. Allora Paolo li ammaestrò, impose loro le mani sul capo e fu Pentecoste! Erano un gruppo di uomini. Cominciarono subito a parlare in lingue e a profetare, disponibili a prestare la loro persona per l’annuncio del Vangelo.
Anche noi, a dire il vero, sappiamo poco della persona e della potenza dello Spirito Santo. Un piccolo passo è stato fatto con questi brevi incontri.
Ci sono due metafore che alludono alla presenza, ma soprattutto all’azione dello Spirito Santo dentro di noi.
La prima è quella del profumo. Provate a fare l’esperienza con i più piccoli di prendere una fialetta di profumo e nasconderla in un vaso o in un altro recipiente. Senza farvi notare, rompetela e apritela. Tutt’intorno si spande il profumo con la sua fragranza. Nessuno ha visto la fialetta che è stata spezzata, nessuno vede il profumo, ma tutti si accorgono di quella presenza inebriante. Così è lo Spirito che vive in noi, lo stesso Spirito che respira tutto l’universo.
Un’altra metafora è l’olio. Lasciate cadere alcune gocce di olio su una pergamena (o anche su un foglio di carta: ma qui il risultato è meno appariscente); si forma immediatamente una macchia che, pian piano, si allarga e rende la superficie della pergamena da opaca a traslucida. Così è l’azione dello Spirito: prende amabilmente possesso di noi, ci rende trasparenza del Signore, ci inzuppa di divino.
Profumo e olio sono segni sacramentali, materia del sacramento del Battesimo e della Cresima.
Profumo ed olio sono metafore che, interpretate, possono insegnarci molte cose della vita spirituale.
L’evangelista Giovanni scriveva così: «Ora avete l’unzione dello Spirito Santo e tutti avete la scienza… L’unzione che avete ricevuta da Lui rimane in voi e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri: con la sua unzione vi insegna ogni cosa. Essa è veritiera e non mentisce». San Paolo, ricordando la poesia del Cantico dei Cantici, ricordava ai Corinti: «Noi siamo davanti a Dio il profumo di Cristo».

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Un augurio: il profumo dello Spirito che abita in noi renda riconoscibile Gesù di cui ci siamo rivestiti nel Battesimo. Avvenga a noi come ad Isacco che, quand’era ormai cieco, riconobbe il profumo di Esaù su Giacobbe e lo scambiò per Esaù. Mentre abbracciava Giacobbe disse: «Ecco l’odore di mio figlio come l’odore di un campo di grano che il Signore ha benedetto». Che davvero il Padre senta in noi il profumo inebriante di Cristo. Così sia la nostra testimonianza!

A conclusione del mese di maggio, mentre ringrazio le famiglie che si sono rese disponibili per animarlo, propongo di fare un atto di consacrazione alla Madonna. Consacrarsi vuol dire affidarsi a lei, vuol dire «siamo tutti tuoi», come ci ricorda la colonna sonora che apre il Rosario.

29 maggio – La Trasfigurazione

Finalmente è Maria che parla. È al centro della Pala, attorniata dagli apostoli. Anche lei ha ricevuto l’effusione dello Spirito Santo. Ascoltiamola!
«Ho conosciuto l’azione dello Spirito Santo fin dal momento del mio concepimento: mi ha santificata e resa immacolata. In me l’Ospite divino, lo Spirito Santo, ha effuso i suoi doni e il suo profumo. Mi ha preparata, bambina e adolescente, ad essere la madre del Messia Redentore. Mi ha reso bellissima. Non parlo della bellezza dell’aspetto: fui una comunissima ragazza ebrea. Dico che ha resa bellissima la mia vita. Mi ha realizzata. Quando la vita è bella, la bellezza tracima, contagia il corpo, il sorriso e lo sguardo. Davvero l’anima mia magnifica il Signore!».
Nel canto del Magnificat Maria ci racconta la sua esperienza e lascia intuire la profondità della sua vita interiore: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente, santo è il suo nome».
Non sappiamo il grado di consapevolezza che effettivamente Maria ha avuto riguardo alla sua missione. Il Concilio Vaticano II scrive di un suo progressivo cammino nella fede, una peregrinazione nella fede. Anche noi vorremmo saperne di più della bellezza che rende bella la vita, simpatico il sorriso, luminosi gli occhi, che spiana persino le rughe e rende affrontabili le situazioni più ardue.
Raccontaci, Maria. Maria ci parla attraverso la sua storia, che abbiamo ripercorso in queste sere di maggio, e attraverso le parole della Chiesa, che l’ha proclamata Immacolata, Assunta in Cielo, ecc.
Maria, della tua Immacolata Concezione abbiamo nelle Scritture una precisa indicazione, quando l’angelo ti proclamò piena di grazia. Tu fosti colma del favore divino. Il favore divino è l’amore trasfigurante dello Spirito Santo. Neppure la morte può deturpare la tua persona, anima e corpo assunti in Cielo: un privilegio accordato a te soltanto, per i meriti di Gesù e per la pienezza della tua corrispondenza. Col Battesimo anche noi veniamo santificati, trasfigurati, resi partecipi della natura divina mediante la grazia, dono inerente all’anima che ci fa figli di Dio, fratelli di Gesù Cristo, tempio dello Spirito Santo. Del Padre si dice che genera. Del Figlio si dice che redime. Dello Spirito Santo che abita. Ed è proprio su questo punto che vogliamo prestare attenzione. Dobbiamo avere più consapevolezza del mistero della inabitazione. Tutto cambia per questa presenza dello Spirito Santo in noi. Teresa d’Avila racconta nella sua autobiografia che un giorno ebbe il dono di vedere com’era la sua anima, com’è ogni anima trasfigurata dallo Spirito Santo. La descrisse così: «Mentre recitavo le orazioni con la comunità, l’anima mia si sentì improvvisamente raccolta e parve trasformarsi in uno specchio tersissimo, luminoso in ogni parte, al rovescio, ai lati, in alto e in basso. Nel suo centro mi apparve nostro Signore nel modo che sono solita vederlo, parendomi di vederlo in ogni parte della mia anima per riflesso. E intanto lo specchio si rifletteva tutto nel Signore per una comunicazione amorosissima che non so dire. Quella comunicazione amorosissima è l’opera dello Spirito Santo».
Tempo fa, partecipando ad un incontro tra giovani sul tema “La nostra vita oggi”, annotai qualche appunto. Leggo di seguito le frasi più significative.
Andrea: «La vita? Solita routine. Sveglia, corriera, scuola. A scuola più che altro ho dormito. Di nuovo chiacchiere in corriera. Solito studio. Noia. Non ci sono punte. Niente di speciale».
Alessandra: «Ore 6 alzata. Scuola. Niente di nuovo».
Francesca: «Ho fatto tutto quello che ha fatto Alessandra. Niente di originale». Un quadro piuttosto desolante fin qui. Nell’appunto che ho annotato ci sono due eccezioni.
Paolo: «In questi giorni ho capito che anche le cose negative possono insegnare qualcosa».
Cristian: «Voglio imparare a vedere Cristo nelle piccole cose e ricavarne gioia».
Ho fatto parlare dei ragazzi, ma vale anche per noi adulti: il nostro quotidiano può essere trasfigurato dalla presenza dello Spirito in noi. La noia può esser sconfitta dall’amore. Allora potremo provare stupore per le cose che impariamo nella fatica, per le “solite cose”, come dicevano quei ragazzi. Se guarderemo con “occhi nuovi” la giornata, proveremo gratitudine per la “solita corriera” che ci porta a scuola, per il lavoro di chi prepara la “solita minestra” e la “solita pietanza”; aspetteremo “la solita preghiera” che ci intrattiene con il Signore con maggiore stupore.

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Proponiamoci di ricordare spesso, nella giornata di domani e in futuro, che siamo abitati dallo Spirito Santo. Allora ogni gesto, azione, pensiero e parola potrà diventare nuovo. Continuiamo il gioco del “prediletto” della Madonna nella nostra famiglia.

28 maggio – La piaga da cui è scaturito lo Spirito

Giovanni è l’apostolo che ha dato la più alta definizione di Dio: Dio è amore. Fu amato da Gesù con particolare predilezione (è detto cinque volte nei Vangeli: «Il discepolo che Gesù amava»): a lui svelò segreti che non disse a nessun altro. Lo ha chiamato dall’azienda ittica di Zebedeo insieme al fratello Giacomo e all’altra coppia di fratelli, Simone e Andrea, facendone un «pescatore di uomini». Anche Giovanni amava Gesù e lo ha seguito fin sotto la croce, accanto a Maria. Giovanni – lo dice la tradizione – non fu sposato, vivendo in quella condizione che, quando viene scelta per amore, anticipa quella futura della risurrezione, la verginità. Forse per questo Gesù l’ha voluto sempre accanto a sé nei momenti salienti e, nell’Ultima Cena, ha lasciato che posasse dolcemente il capo sul suo petto.
«Sono nel cenacolo – dice Giovanni –, insieme alla madre di Gesù ed agli altri apostoli, pieno di gioia per la discesa dello Spirito Santo. Tutti abbiamo riconosciuto che lo Spirito Santo è quello Spirito di cui parlano le Scritture dall’inizio alla fine: lo Spirito che aleggiò sulle acque primordiali e trasse dal nulla l’universo; lo Spirito donato all’uomo, che l’ha reso un essere vivente; lo Spirito che ha fatto rivivere le ossa aride, nella profezia di Ezechiele; che, nella colomba di ritorno nell’arca, proclama la vittoria della vita sulla morte. Realtà stupende!
C’è un’altra esperienza che ho compreso pienamente soltanto nel momento della Pentecoste. Mi sono rivisto ai piedi della croce insieme a Maria. Su quell’orribile supplizio Gesù era inchiodato da più ore. Conoscevo bene l’amore di Gesù, la sua dedizione senza calcoli, la sua tenerezza soprattutto verso i piccoli e verso i peccatori. Sapevo che il segreto di tutto era lo Spirito a cui era unito. Lo disse apertamente nell’ultimo giorno della grande festa dei Tabernacoli, quando gridò: “Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me. Come dice la Scrittura, “fiumi di acqua viva scaturiranno dal suo seno”. E fu proprio così, ho visto sangue e acqua uscire dal suo costato trafitto. Ne sono testimone, ero presente. Fu l’adempimento di una promessa ripetuta tante volte: “Non vi lascerò orfani, manderò a voi il Consolatore, il Paraclito”. Ma perché fosse elargito lo Spirito bisognava che lui se ne andasse, separandosi da noi. Francamente, a noi questo apparve incomprensibile». «Me ne rendo conto ora – continua Giovanni –, Gesù ci consegnò lo Spirito Santo versando il suo sangue. Per noi ebrei – si sa – il sangue è la linfa vitale, la realtà che voi occidentali chiamate anima. Lo consegnò insieme al suo ultimo respiro, assicurandoci che “tutto era compiuto”. Non c’è amore più grande che dare la propria vita».
Dice Giovanni: «Vi ho condotti sull’orlo di un mistero profondo: il dono dell’Amore divino che passa attraverso la voragine di un dolore infinito, l’abbandono sperimentato da Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Su quella voragine è venuto lo Spirito, l’Amore che procede dal Padre e dal Figlio. Gesù ha vissuto un vuoto infinito per colmarci di una pienezza infinita. Ricordo che un giorno Gesù disse questa frase: “La donna, quando partorisce è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo”». Aggiunge Giovanni: «Anche a noi è concesso di liberare la forza dello Spirito, che portiamo dentro di noi dal giorno del nostro Battesimo e della nostra Confermazione, ogni volta che sappiamo soffrire per amore o che amiamo fino a soffrire. È la divina alchimia dello Spirito Santo, capace di trasformare il dolore in amore. È la nostra Pentecoste nella Pentecoste di Gesù.

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Domani ci ripromettiamo di mettere con maggiore consapevolezza amore nelle azioni che compiamo, soprattutto in quelle che ci costano di più. Continuiamo il gioco del “prediletto” della Madonna nella nostra famiglia.

27 maggio – Allarga la tua tenda

Uno dei primi apostoli che abbiamo incontrato ci disse che era difficile parlare dello Spirito Santo, però non lo si può tacere. Fin dai primi tempi della vita della Chiesa ci si è serviti di immagini. Ne abbiamo già viste diverse: il fuoco, il vento gagliardo, la colomba. Questa sera ci parlerà dello Spirito Santo l’apostolo Pietro. Ironia! Pietro ha le chiavi in mano, ma tutto è spalancato: porte e finestre. Un terzo dello spazio e del colore della Pala descrive quello che sta fuori dal cenacolo, come a dire che tutto è diventato cenacolo. Lo Spirito ormai abbraccia ogni cosa: «Spiritus Domini replevit orbem terrarum (lo Spirito del Signore ha riempito la faccia della terra)».
Si intravvedono paesaggi di montagna, vegetazioni che si stagliano su di un cielo terso, guglie ed edifici che svettano sulla città… Tutto sembra dire che il potere delle chiavi non è dato per chiudere, ma per aprire: «Allarga la tua tenda Israele», così cantava un antico profeta.
Lo Spirito Santo ha spalancato il cenacolo sulla città e costringe i discepoli ad aprirsi, ad uscire fuori, a parlare in lingue diverse in modo che tutti possono capire. Ognuno che passa per la piazza sente gli ospiti del cenacolo parlare nella propria lingua e si domandano: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?». Tra la gente si diffondono stupore e perplessità. Qualcuno sussurra: «Questi che parlano, forse si sono ubriacati. Pietro – che Gesù ha costituito capo del collegio apostolico, pastore del gregge – va verso la folla e dice: «Non siamo ubriachi; sono appena le nove del mattino! Vi annuncio che si sono adempiute le profezie, promesse ai nostri padri. Lo Spirito di Dio è sceso sul mondo! Noi ne siamo testimoni. Dio ci ama immensamente e vuole che lo diciamo a tutti: agli Ebrei e agli stranieri». «È nata la Chiesa – dice Pietro: “Lo Spirito Santo, sceso visibilmente nel cenacolo dove noi eravamo rinchiusi per paura, ci dice di gridare la sua presenza al mondo intero”. Dio ha mandato a noi il suo Figlio: è Gesù di Nazaret, ucciso dal nostro rifiuto e poi risorto. Lui ci dona lo Spirito Santo che ci unisce e ci fa essere un segno per l’unità di tutti gli uomini, un vessillo innalzato per i popoli, proprio come aveva predetto Isaia».
«Vedete quanto amore?», dice Pietro. «Capite perché non possiamo tacere? Su questa salvezza indagarono i profeti, che predissero la grazia a noi destinata, cercando di scrutare a quale momento o a quali circostanze accennasse lo Spirito di Cristo che era in loro. E fu loro rivelato che non per se stessi, ma per voi, per tutti, si trovano ad essere ministri di quelle cose che vi sono state annunziate. Lo Spirito Santo da allora non ha smesso di plasmare la Chiesa. Molti la criticano o non la capiscono. Ci sono anche persone che la contrappongono a Gesù: “Gesù sì, la Chiesa no”. Succede perché non sanno andare in profondità, dentro al mistero che anima la Chiesa. Un paragone: il carbone e il diamante hanno la stessa composizione chimica ma, per effetto della pressione e della temperatura, il carbone opaco e nero si trasforma in un diamante trasparente e splendente. Così è avvenuto e avviene nella Chiesa. La Chiesa è un popolo radunato dall’Amore e trasformato dallo Spirito. Poi, come il cemento unisce le pietre, così la Chiesa è formata dai cristiani in unico edificio spirituale. Ne consegue che la Chiesa è il popolo del Messia, che ha per legge il comandamento dell’amore, ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, ha Cristo come capo, per finalità il Regno di Dio».
Pietro ci ha ricordato che la Chiesa è essenzialmente missionaria, partecipe ad ogni vicenda umana, tanto da poter dire che ogni gioia, ogni speranza, ogni dolore… in fondo gli appartiene. La Chiesa è cattolica, perché abbraccia tutti gli uomini e tutto l’uomo, tutte le sue componenti; si fa dialogo ed incontra ogni cultura ed ogni persona, anche di convinzione diversa; è disponibile verso tutti coloro che, pur credenti, non conoscono ancora il Signore Gesù. Verso tutti la Chiesa è impegnata a raccogliere i segni della presenza dello Spirito Santo.

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Nella giornata di domani dedichiamo la nostra preghiera alle missioni e ai missionari. Domandiamo al Signore che la tenda della Chiesa si allarghi sempre più. Continuiamo il gioco del “prediletto” della Madonna nella nostra famiglia.

26 maggio – Come colomba

Giacomo, detto il Maggiore, figlio di Zebedeo, fu chiamato da Gesù insieme al fratello Giovanni. Fu testimone privilegiato di alcuni episodi importanti della vita di Gesù: ha assistito al miracolo della risurrezione della figlia di Giairo, fu presente alla trasfigurazione sul monte Tabor e fu accanto a Gesù nel momento terribile del Getsemani. Sarà il primo degli apostoli a dare la sua vita per il Signore nell’anno 44, sotto la persecuzione di Erode Agrippa; quindi, fu il primo degli apostoli a ricongiungersi con il Maestro.
«Qui nel cenacolo – dice Giacomo il Maggiore – abbiamo pensato alla discesa dello Spirito Santo su Gesù al momento del Battesimo nel fiume Giordano. Era impossibile non ricordare quell’episodio di cui siamo stati anche noi testimoni. I Vangeli che raccontano il momento del Battesimo del Signore offrono testimonianze che concordano nel raccontare la presenza miracolosa dello Spirito su Gesù, ma oscillano su alcuni particolari. Ad esempio quello della colomba. Qualcuno dice che fu Giovanni Battista a vedere i cieli aperti mentre lo Spirito si posava su Gesù come una colomba; qualcun altro assicura che è stato Gesù a notare la colomba. Luca afferma esplicitamente che la colomba è lo Spirito Santo in apparenza corporea».

Vorremmo fare una domanda all’apostolo Giacomo: perché la colomba diviene simbolo dello Spirito Santo?
«Incontriamo il simbolo della colomba tre volte nelle Sacre Scritture», così esordisce Giacomo. «La prima quando la legge prescrive che la presentazione di un neonato al tempio sia accompagnata dall’offerta di un agnello oppure di una colomba o di una tortora. Maria e Giuseppe quando hanno portato Gesù al tempio hanno dato l’offerta dei poveri, la colomba. La colomba sta a significare un essere indifeso. Ritroviamo il simbolo della colomba nel Cantico dei Cantici. L’amato chiama la sua amata paragonandola alla colomba: “O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia… mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce”. Qui la colomba è simbolo di amore tenero».
«Dopo il diluvio – continua Giacomo – Noè mandò alcuni uccelli ad esplorare la distesa fangosa che emergeva poco a poco dalle acque. Il corvo non tornò; la colomba sì. Noè attese altri sette giorni e di nuovo fece uscire la colomba dall’arca e la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco un ramoscello di ulivo.
La colomba annuncia che Dio ha deposto definitivamente la sua ira e ha deciso di offrire agli uomini un’alleanza di cui l’arcobaleno sarà il segno definitivo. Il Signore, come un guerriero, ha appeso al chiodo il suo arco. La colomba ritorna nell’arca mentre il corvo non si fa più vedere. Proprio per questa sua fedeltà diventa messaggera del rinnovamento del mondo dopo il diluvio. Il ramoscello di ulivo, appena germogliato, dimostra che il diluvio non ha reso sterile la terra ma l’ha purificata, l’ha, per così dire, creata di nuovo dall’acqua».
Caro Giacomo, sei stato molto convincente. Ora comprendiamo perché lo Spirito Santo viene raffigurato con la colomba. La colomba, poi, ci fa ricordare anche i frutti dello Spirito. Ce li ha elencati l’apostolo Paolo nella Lettera ai Galati: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Nove frutti di un unico Frutto.

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L’impegno per la giornata di domani è: fare pace di cuore con chiunque ci ha creato o ci crea qualche difficoltà. Continuiamo il gioco del “prediletto” della Madonna nella nostra famiglia.

25 maggio – Fuoco

Mattia è l’apostolo che ha preso il dodicesimo posto nel gruppo, il posto lasciato libero da Giuda Iscariota. È la prima volta nella Chiesa che viene conferito il ministero ad un uomo sulla base dei requisiti che dimostra e che fanno prudentemente presumere ad un’autentica elezione divina. Tutto è successo nei giorni immediatamente precedenti la Pentecoste: Mattia viene ordinato apostolo perché è ritenuto un uomo giusto ed affidabile, perché ha seguito Gesù fin dall’inizio ed è un testimone della risurrezione. Per questi segni di vocazione, unanimemente riconosciuti, Mattia viene proposto e poi sorteggiato. Mattia ci parla di un altro simbolo dello Spirito Santo: il fuoco. Dicono gli Atti degli Apostoli che, durante la Pentecoste, si posarono come delle «lingue di fuoco» su Maria e su ciascun apostolo.

«Muovevo i primi passi alla sequela di Gesù – ci dice Mattia – quando udii Giovanni Battista annunciare: “Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me, cioè il Messia, è più potente di me e io non sono degno neppure di sciogliere i legacci dei suoi sandali; ebbene, lui vi battezzerà in Spirito Santo e Fuoco”». «Fin da allora – dice Mattia – collegavo la realtà dello Spirito con il fuoco.
Il fuoco è una realtà che brucia quello che deve essere purificato e lascia intatto ciò che gli resiste, come i metalli preziosi: l’oro, l’argento, ad esempio. Noi, nel cenacolo – continua Mattia – abbiamo sperimentato il legame tra Spirito e Fuoco. Quelle lingue su di noi avevano veramente l’aspetto del fuoco! Ci è parso che quel Fuoco, senza dividersi nella sostanza, fosse tutto in tutti. La stessa presenza ha cominciato ad ardere in ciascuno, nel mio cuore, nel cuore di Pietro, di Giovanni, di Andrea, in tutti… Il Fuoco è un segno della comunione visibile che lo Spirito genera tra noi. Lo stesso Fuoco, nello stesso istante, nelle persone riunite insieme nel cenacolo.
L’apparire del Fuoco in forma di lingue ci spinge a parlare. I primi a sorprendersi della franchezza e della scioltezza delle nostre lingue siamo proprio noi. È un parlare non comune, quasi estatico, un parlare che non viene da noi». «Noi siamo plebei illetterati – ammette Mattia – ma parliamo con una forza che viene da altrove. La stessa che dà forma e contenuto alle nostre parole. Il fuoco indica l’amore; le lingue, il coraggio e la libertà nella testimonianza». Dobbiamo ringraziare Mattia per questo tassello che ci offre per completare il mosaico che ci dispiega chi è lo Spirito Santo.

Facciamo eco a quanto ci ha detto Mattia, ricordando i sette doni che lo Spirito Santo mette in ciascuno di noi, lingue dell’unico Fuoco effuso nei cuori. Parliamo di sette doni, ma il dono è unico: l’Amore, che pur si posa su di noi in maniera settiforme. Ecco i sette doni.
Sapienza: l’amore che dà sapore ad ogni tratto e ad ogni momento della nostra vita.
Intelletto: l’amore che aiuta a leggere in profondità ciò che accade nelle nostre relazioni con Dio e con gli altri.
Consiglio: l’amore che ci suggerisce decisioni e soluzioni più giuste e convenienti.
Scienza: l’amore che sorregge la fatica dell’apprendere e ci sorregge nel cammino verso la verità.
Fortezza: l’amore che rende decisi quando c’è da lottare e pazienti quando c’è da soffrire.
Pietà: l’amore che suggerisce parole e gesti migliori per esprimere i sentimenti verso Dio nella preghiera e verso gli altri nella carità.
Timor di Dio: l’amore che custodisce e difende l’amicizia con il Signore, come le palpebre con la pupilla. Il timore non è la paura di Dio. Al contrario, è l’amore che scaccia ogni paura.
Nel definire i sette doni la prima parola è sempre: amore!

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Per la giornata di domani proponiamoci di essere testimoni coraggiosi di Gesù, quando è necessario anche con le parole. Continuiamo il gioco del “prediletto” della Madonna nella nostra famiglia.

24 maggio – Vento impetuoso

Bartolomeo, proviene da Cana in Galilea, il paese dove Gesù andò per la festa di nozze in cui cambiò l’acqua in vino. Bartolomeo è l’amico di Filippo, del quale il Signore disse: «Ecco un vero israelita nel quale non c’è inganno». Alle parole del Maestro, Bartolomeo rispose con la professione di fede messianica: «Rabbi tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re di Israele». Notate: tre giorni dopo la chiamata di Natanaele, si celebrarono le nozze di Cana. «È difficile raccontare quello che ho provato nel momento della effusione dello Spirito Santo», dice Bartolomeo. «Hanno detto bene quelli che hanno parlato prima di me paragonando lo Spirito Santo al soffio del vento, colto nella sua potenza irresistibile, come una misteriosa forza di vita (tra l’altro è attraverso il vento che si diffonde il polline delle spore)». «Bisogna sperimentarlo – continua Bartolomeo –, questo soffio impetuoso, spesso continuo, nel deserto, per notti e giorni, dal sibilo a volte furioso e terrificante… Quella volta, nel cenacolo, udimmo questo vento fortissimo, immagine di una potenza divina. Era lo Spirito di Dio Creatore e Conservatore della vita. Il vento è come il respiro: “Se ritiri il tuo respiro, (le creature) muoiono e tornano nella polvere; mandi il tuo alito, – dice il Salmo – e vengono creati e rinnovi la faccia della terra”. Abbiamo imparato dalle Scritture che le azioni dello Spirito di Dio, sono le azioni stesse di Dio. I nostri profeti non hanno avuto bisogno, come i sacerdoti e i profeti pagani, di assumere droghe o di bere bevande inebrianti per cercare l’esperienza di Dio. La presenza dello Spirito di Dio la si sperimenta nella preghiera, nel silenzio e nell’interiorità. Se ascoltassimo quella voce!». Capitò al profeta Elia, mentre era in fuga dalla regina Gezabele, di raggiungere il deserto e, dopo il deserto, il monte Oreb e sentì come un grande frastuono. Ma Dio non era nel frastuono. Sentì la potenza di un vento gagliardo, ma Dio non era in quel vento gagliardo. Sentì come un terremoto, ma Dio non era nel terremoto. E poi ci fu un soffio leggero, impercettibile; in quel silenzio – raccontano le Scritture – Elia incontrò il Signore».
«Nel cenacolo – conclude Bartolomeo – si è sentita questa presenza sconvolgente. Anche la gente che passava accanto ne ha avuto esperienza diretta: “Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita”. La voce dello Spirito si fa sentire forte e discreta nello stesso tempo!». Giovanni nell’Apocalisse scriverà: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese». Una parola che ripeté per ben sette volte, dopo aver interloquito con ciascuna delle sette Chiese dell’Asia Minore.

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Un impegno importante per la giornata di domani è ascoltare le buone ispirazioni dello Spirito Santo, attraverso cui Dio si fa sentire. Traduciamole subito in azioni concrete. Continuiamo il gioco del “prediletto” della Madonna nella nostra famiglia.

23 maggio – Spirito creatore

Tommaso non è solo l’apostolo che non voleva credere a Gesù, che ha avuto mettere le sue mani sulle ferite e il dito nella piaga del cuore. È anche l’apostolo che ha espresso solidarietà a Gesù nell’ultimo viaggio verso Gerusalemme con le parole: «Andiamo anche noi a morire con lui». Fu in seguito, proprio per la domanda che rivolse a Gesù, che il Maestro ebbe modo di dire: «Io sono la via, la verità e la vita». Dobbiamo avere molta gratitudine per Tommaso.
Lascio a lui la parola. «Sono l’apostolo che non voleva credere alla risurrezione di Gesù. Volevo capire, rendermi conto di persona. Per questo ho voluto mettere la mia mano nelle ferite dei chiodi. Ho sempre diffidato del misticismo e dello straordinario. D’altra parte, è un fatto unico nella storia delle religioni; Gesù, venendo da un altro mondo, non reca ai suoi alcun messaggio dall’aldilà, non svela loro segreti dell’altro mondo. Parla di impegno. Appare soltanto. Neppure adduce delle prove. Ma ci ha resi vedenti e credenti. Non è la nostra fede che lo ha risuscitato, ma la prova della sua risurrezione che ha smosso la nostra incredulità. Un nostro profeta, durante una intensa esperienza di preghiera, ha potuto prevedere gli effetti dello Spirito su Israele, riguardanti gli ultimi tempi, cioè, i tempi del Messia. Questo profeta si chiama Ezechiele». «Ezechiele racconta – è sempre Tommaso che parla – che la mano del Signore, un giorno, fu sopra di lui e lo trasportò in una pianura piena di ossa aride. Le ossa erano in grandissima quantità, coprivano tutta la grande vallata. Erano rinsecchite al sole. Il Signore chiese al profeta: “Potranno rivivere?”. “No, rispose Ezechiele, è impossibile!”. Il Signore soggiunse: “Queste ossa raffigurano il mio popolo: gente senza speranza, schiacciata sotto il peso dei loro peccati. Ma tu profetizza, annuncia loro: “Ossa aride ascoltate la Parola del Signore; il Signore dice: io farò entrare in voi lo Spirito e rivivrete. Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo Spirito”». «Ezechiele – ci racconta Tommaso – profetizzò e vide un movimento di ossa che si accostavano l’una all’altra, ciascuna alla sua corrispondente. Sopra le ossa rispuntarono i nervi, la carne e la pelle, ma ancora non vi era spirito di vita in loro. Il Signore lo invitò a pregare di nuovo: “Spirito, vieni, soffia dai quattro venti su questi morti, perché rivivano”. Ezechiele pregò e vide che lo Spirito entrava in quei cadaveri e che si alzarono in piedi e ricominciarono a vivere. Erano un esercito grande, sterminato. Come le stelle del cielo».
«Quella visione – conclude Tommaso – si è realizzata proprio qui nel cenacolo. Anche noi eravamo senza speranza, terrorizzati, oppressi dai nostri peccati… È scoccato il momento dello Spirito Santo: segno che Gesù è veramente il Messia». «Ora io credo – dice Tommaso – e ripeto: mio Signore e mio Dio!».

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Nella giornata di domani, nei momenti di difficoltà, di avvilimento, di cattivo umore, sentiamo in noi la presenza dello Spirito Santo che ci fa rivivere. Continuiamo il gioco del “prediletto” della Madonna nella nostra famiglia.

22 maggio – La profezia del cuore di carne

A questo punto si inserisce nella conversazione anche l’apostolo Matteo. Il suo Vangelo pare sia stato redatto la prima volta in lingua aramaica, parlata dagli ebrei del suo tempo; anche lui è molto vicino alla tradizione ebraica.
Matteo passò dal banco delle imposte alla sequela del Maestro che gli aveva detto: «Vieni e seguimi». Il banchetto che festeggiò la sua conversione e la sua vocazione divenne un segno dell’amore misericordioso di Gesù e della forza dello Spirito che rinnova i cuori.
«Lo Spirito Santo – dice Matteo – crea davvero un cuore nuovo, cioè, un cuore libero per amare. Rende capaci di compiere le opere della fedeltà, come succede alle fanciulle sagge che fanno corona allo sposo ed hanno sempre le lampade con abbondanza di olio, o come succede al fedele amministratore che, in attesa del padrone, sa trafficare i talenti ricevuti». «Sono esempi che prendo dal mio Vangelo», soggiunge Matteo.
«Ci sono due profezie – continua – che noi leggiamo in sinagoga e che ci parlano dello Spirito Santo e della sua azione su di noi. La prima, assai suggestiva, è nel libro del profeta Ezechiele: “Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati: io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti”». Lo Spirito, dentro di noi, compie questa opera: sostituisce il cuore, dal cuore di pietra al cuore di carne.
«La seconda profezia – incalza Matteo – è di Gioele: “Dopo questo, io effonderò il mio Spirito sopra ogni uomo e diventeranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni. Anche sopra gli schiavi e sulle schiave, in quei giorni, effonderò il mio Spirito”. Ecco la Pentecoste, realizzazione delle profezie!».

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Nella nostra casa abbiamo la Bibbia? Propongo di metterla in evidenza, per fare in modo che diventi il libro attraverso cui lo Spirito Santo torna ad ispirarci.
Continuiamo il gioco del “prediletto” della Madonna nella nostra famiglia.

21 maggio – Ha parlato per mezzo dei profeti

Simone e Giuda Taddeo, che non si vedono nella Pala se non attraverso alcuni particolari, come ho già spiegato, ci hanno raccontato come nella Pentecoste abbiano sentito di rivivere l’esperienza della creazione, così come la narra la Bibbia, quando lo Spirito come uragano e potenza aleggiava sul caos primitivo e dava vita a tutto ciò che palpita nell’universo. Poi, Filippo e Andrea hanno paragonato l’effusione dello Spirito Santo al soffio di Dio che ha infuso l’anima nell’uomo dopo averlo plasmato con la polvere della terra, dando inizio ad un rapporto personale tra l’uomo e lo Spirito, che in Gesù – secondo quanto ci ha narrato Andrea – si è pienamente manifestato. Gli apostoli vanno componendo un puzzle dal quale emerge la figura dello Spirito Santo.
Ora vorremmo sentire i due apostoli che stanno in seconda fila: Giacomo di Alfeo detto il Minore, che è vicino a Maria, e Matteo. Di Giacomo conosciamo la parentela con Gesù (viene detto di lui che era cugino del Signore, per questo è dipinto accanto a Maria, sua zia) e la leadership che ha presso i cristiani provenienti dal giudaismo. Mentre Pietro e gli altri apostoli andranno in terre lontane, Giacomo rimarrà ad animare i cristiani provenienti dal giudaismo, concentrati soprattutto in Palestina e in Gerusalemme. Giacomo è saldamente ancorato alla tradizione antica, ebraica. Per questo gli Atti degli Apostoli accenneranno ad uno scontro che avrà con altri apostoli: insiste che i convertiti dal paganesimo, prima di essere cristiani, si facciano ebrei, sottoponendosi al segno della circoncisione. Poi la questione si risolse. Giacomo fu molto generoso con il Signore donandogli tutto, fino al martirio. Probabilmente è proprio di Giacomo una Lettera scritta con uno stile così ricco ed elegante, che ha fatto supporre agli studiosi l’attribuzione ad altra persona.
«Io – scrive Giacomo nella sua Lettera – vedo la promessa dello Spirito Santo dentro la nostra tradizione. Lo Spirito Santo, infatti, era presente nel momento della chiamata del nostro padre Abramo; era presente nei sogni del santo patriarca Giuseppe, nel roveto ardente che bruciava senza consumarsi davanti a Mosè e, soprattutto, nelle vicende dell’esodo, evento fondatore del nostro popolo, quando, sotto forma di una colonna di fuoco, ci guidava verso la terra promessa, e sotto forma di nube, ci proteggeva dai dardi infuocati del sole del deserto».
«Lo Spirito – continua l’apostolo Giacomo – ha parlato per mezzo dei profeti: solo così essi hanno potuto trasmettere i messaggi di Dio e hanno saputo alimentare la speranza del popolo con l’attesa di un Messia liberatore. È dallo Spirito, poi, che è venuta a noi la Sapienza: pura, pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia. Ricordate lo Spirito che scese sui settanta anziani – siamo ancora nel contesto dell’esodo – compresi i due che non erano presenti alla riunione e che Mosè invitò a collaborare con lui per il servizio al popolo? Ricordate l’episodio del profeta Eliseo che ottenne, per la sua fedeltà, di ricevere in eredità i due terzi dello Spirito che era su Elia?». «Lo Spirito Santo – conclude Giacomo il Minore – dobbiamo rintracciarlo, inseguirlo, nella storia del nostro popolo».

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Propongo, come impegno per domani, di offrire buoni consigli a chi ci chiede aiuto, invocando lo Spirito Santo. Non sottrarci a questo servizio, perché lo Spirito Santo, sceso in noi nel Battesimo, ci dà la capacità della Sapienza.  Continuiamo il gioco del “prediletto” della Madonna nella nostra famiglia.