Omelia S.Messa di ringraziamento (Te Deum)
Pennabilli, 31 dicembre 2017
Gen 15,1-6; 21,1-3
Sal 104
Eb 11,8.11-12.17-19
Lc 2,22-40
(da registrazione)
Questa sera mi metto di fronte a tutta la nostra Chiesa diocesana. Penso ai miei fratelli presbiteri, penso ai nostri sette monasteri. Oggi due ragazze, Marylou e Rita, hanno fatto il primo passo di ingresso nella comunità monastica delle Figlie Benedettine della Divina Volontà; sono salite sulla barca dietro a Gesù e si lasciano dietro tutto. Vanno incontro ad un grande amore, ad un grande futuro. E ho nel cuore i nostri giovani dell’Azione Cattolica che sono a Verona per una settimana di campo scuola. Ho in mente, soprattutto, i nostri ammalati. Prima di Natale ho avuto modo di fargli visita girando nelle corsie delle ospedali e nelle Case di riposo. Ricordo in modo speciale tutte le componenti della nostra Chiesa che è l’insieme dei discepoli che Gesù raduna attorno a sé.
A nome di tutta la Diocesi, dei miei fratelli presbiteri e diaconi, in unità con i nostri monasteri e con tutte le famiglie dico al Signore: Grazie. Perdono. Eccomi! Tre parole indicatissime per questo Capodanno. Alla fine della Santa Messa intoneremo il Te deum di ringraziamento per i doni ricevuti.
Una voce maligna dentro noi potrebbe insinuare questo dubbio: «Ringraziare? E tutto il male che c’è attorno a noi? E le disgrazie sempre in agguato? E i terremoti a ripetizione? E la siccità che ha messo in ginocchio l’agricoltura l’estate scorsa? E il bagaglio di sofferenze personali che ognuno di noi pudicamente custodisce? E le lacrime delle famiglie che si dividono? E gli amori traditi?».
Ha una sua pertinenza, ma è una voce maligna perché non coglie l’ampiezza, la larghezza, la profondità del mistero di luce che continua ad avvolgerci. Noi ci fermiamo su un “fotogramma” di pellicola, ma non vediamo tutto il film, non cogliamo l’intero: l’amore del Padre che ci tiene sul palmo della sua mano. Sembra una “frase fatta”, ma i santi, di fronte a queste parole, andavano in estasi, cioè fuori di sé dallo stupore, dalla gioia, dall’incanto. La mano del Signore è mano creatrice e conservatrice nell’essere (ricordate il grande affresco michelangiolesco nella Cappella Sistina, dove Dio tende la mano all’uomo, Adamo, che corrisponde timidamente); è mano salvatrice; è mano che ci fa da nido, ci protegge, ci avvolge; è mano che si è fatta visibile attraverso le mani di Gesù, mani che hanno curato, accarezzato, benedetto. Mani anche inchiodate per noi.
La preghiera ci educa a vedere l’intero del disegno di Dio, un disegno secondo il quale siamo destinati alla deificazione, perché la grazia santificante ci eleva, addirittura ci rende partecipi della natura divina. La preghiera ci fa vedere la bellezza del ricamo che è la nostra vita. La preghiera ci sostiene nel cammino verso un traguardo pensato e voluto per noi: il mistero pasquale! Ecco perché i travagli, le sofferenze e le lacrime. Per dirla con una metafora: è il miracolo della crisalide che diventa farfalla!
Enumero, poi, i tanti doni spirituali: i fiumi di Eucaristia (si fa di tutto perché anche nei piccoli borghi non manchi la celebrazione della Santa Messa), l’offerta di misericordia e di perdono, l’acqua della fonte battesimale che non cessa di infondere grazia, l’unzione del crisma per i nostri ragazzi che ricevono la Cresima e l’unzione risanatrice per i nostri infermi, l’effusione dello Spirito Santo per la missione degli sposi verso la famiglia (ci si sposa non solo per realizzarsi, ma anche per compiere una missione, per questo occorrono le risorse che dona il sacramento. Per diventare sacerdote sono necessari tanti anni di Seminario, per ricevere il sacramento del Matrimonio sono sufficienti soltanto otto incontri. Bisognerebbe parlarne di più, cominciare a dire la bellezza del matrimonio quando si fa catechismo e spiegarla agli adolescenti che devono conservarsi puri per esso), l’effusione dello Spirito Santo sui nostri ministri (quest’anno è stato ordinato un diacono).
Dice il profeta Isaia: «Ora – 2017! – così dice il Signore che ti ha creato, che ti ha plasmato: “Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. […] Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima ed io ti amo. […] Non temere, perché io sono con te”» (Is 43,1-5 passim).
Capisco l’invito del Siracide: «Lodatelo più che potete. Ringraziatelo. Non è mai abbastanza. E, quando avete finito, ricominciate» (cfr. Sir 43,33).
Ascolto commosso il ringraziamento di Gesù, quando preso da una gioia profonda ha detto: «Ti ringrazio, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai svelato queste cose ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto» (cfr. Lc 10,21).
Oltre alla gratitudine sentiamo di chiedere perdono? Per che cosa?
Credo che la nostra Chiesa debba chiedere perdono per l’ignoranza colpevole, perché si trascura la formazione di noi adulti. Potremmo sostare ad ascoltare e meditare i discorsi di papa Francesco e – perchè no? – scrivergli per dirgli che gli siamo vicini, che stiamo seguendo il suo magistero. Chiedo perdono a nome di tutta la nostra Chiesa perché sono ancora troppo chiuse “le pagine del libro delle Scritture”.
E chiedo perdono perché non facciamo sempre bella la nostra Chiesa, perché, se non è bella, non è attrattiva e tanti ne restano lontani.
Gesù ha detto: «Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché anche loro diano gloria al Padre» (cfr. Mt 5,16).
Nel Te Deum canteremo – doverosamente – «miserere, miserere nostri, Domine! Fiat misericordia tua Domine super nos, et salvi erimus»!
Grazie, perdono, Eccomi! Il Signore è «colui che rialza», così viene chiamato nella Bibbia. «Egli dà forza allo stanco, moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano – così scrive il profeta Isaia –, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza stancarsi, camminano senza affannarsi» (Is 40,29-31).
Eccomi! Quante volte questa parola è ripetuta nelle Scritture: ci sono padri, madri, pastori, giovani, profeti, creature semplici che dicono «eccomi» al Signore. Soprattutto «eccomi» è la Parola che svela l’animus di Maria, la Madre di Gesù: «Ecco, sono la serva del Signore» (Lc 1,38). La Madonna ha tre nomi: il nome che le hanno dato i genitori, Maria, il nome che le ha dato il Cielo attraverso l’angelo, piena di grazia, e il nome che lei si è data: la serva del Signore.
Il futuro, il 2018, sta davanti a noi come un rotolo sigillato, una pergamena che nessuno di noi può svolgere. Prendiamo questo rotolo dalle mani del Signore con fiducia, con abbandono di figli, consapevoli che il “sì” è sempre e comunque fecondo e creativo, apre nuove strade.
Per quanto riguarda il 2017 vogliamo ricordare la grande sfida, la triplice sfida che ci ha messi in cammino come operatori pastorali: il dopo-Gesù, la Pentecoste, è ancora più potente del prima, perché Gesù è vivo. La Pentecoste è ai primi minuti dell’aurora. La resurrezione è la forza che sta in mezzo a noi, dentro di noi, che ci rinnova. Nel 2017 è stato come vivere al tempo dei primi cristiani, con lo stesso fervore, con lo stesso entusiasmo, con la gioia del Vangelo tra la gente, nel mondo, come i Corinti di cui quest’anno stiamo studiando la pastorale. A Corinto si è annidata la famiglia di Gesù. Per questo ci siamo ripetuti tante volte quest’anno di abitare il nostro tempo, il più bello che c’è, perché è quello che ci ha dato il Signore.
Concludendo, penso con gratitudine al 13 maggio, quando tutta la Diocesi era presente per onorare la Madre di Dio, una partecipazione di popolo. E ora l’avventura, che non è soltanto del Vescovo, di accogliere la visita pastorale.
Grazie, Signore. Perdono. Eccomi!