Un documento straordinario per la storia del Montefeltro

pietra S.IgneLa pietra di consacrazione del 1244 della chiesa francescana di Sant’Igne è un’opera davvero interessante. L’epigrafe, in bei caratteri gotici e dall’elegante ductus, venne scolpita su un blocco di arenaria in origine murato all’interno dell’edificio di culto, che sorge vicino alla città di San Leo. La pietra misura 26,5 cm in altezza, 19,5 cm in larghezza, e 8,5 in profondità; l’iscrizione è la seguente:
ANNO D(omini) M/
CC XL IIII/
T(empore) INNOCE[N]/
TII P(a)P(e) ET/
UGOLINI/
EPISCOP(i)/
FERETRI/

(L’anno del Signore 1244 al tempo di Papa Innocenzo e di Ugolino Vescovo Feretrano).
La pietra è in buono stato di conservazione, non mostra segni di usura da parte degli agenti atmosferici ma al contrario una lunga frattura sul lato destro, che venne causata con ogni probabilità, al momento in cui fu rimossa dai muri del transetto o del presbiterio. Per almeno ottanta anni fu conservata nel municipio della città di San Leo, poi passò alla parrocchia che ancora la custodisce.
La pietra di Sant’Igne rappresenta una testimonianza fondamentale per la storia del Montefeltro, ma non solo, se si considera la visita a San Leo di San Francesco di Assisi l’8 maggio del 1213.
Francesco era in viaggio per la Romagna, insieme a frate Leone, quando la sera del 7 maggio giunse alle porte dell’antica Montefeltro, oggi San Leo. Trovando chiusa la cosiddetta “Porta di sotto” o di “Settentrione”, oggi non più esistente, cercò riparo altrove. Secondo la tradizione un fuoco acceso non molto lontano, lo condusse in mezzo ad una radura dov’era un rifugi di pastori: in quel luogo trenta anni più tardi sorsero la chiesa e il convento francescano di Sant’Igne, da ignis, fuoco. (Nel caso specifico la tradizione cristiana, su cui si fonda anche il significato etimologico del toponimo Sant’Igne, ha certamente basi di fondatezza, se si considerano le vicende storiche e geologiche del territorio leontino, e che ancor oggi interessano il masso su cui sorge la città). All’indomani Fratesco e frate Leone salirono a San Leo. Era la festa di San Miche Arcangelo, e in quel giorno il vescovo feretrano Alberto, esponente della famiglia Feltria (o Montefeltro) premiava Montefeltrano II e il fratello Taddeo (della stessa famiglia), del titolo imperiale di “…cavalieri valorosi e di gran seguito e d’origine parzialissima all’Impero…”; l’onorificenza era stata riconosciuta dall’imperatore Federico II di Svevia a Montefeltrano II, in particolare, per essersi distinto nella presa di Capua, nel corso delle battaglie condotte nel Regno di Sicilia; quale ricompensa per la fedeltà all’imperatore Montefeltrano II e Taddeo ricevettero in dono il feudo di Urbino con l’intero contado. Conclusa la solenne cerimonia Francesco, raccontano i Fioretti, salì su un muricciolo, all’ombra di un olmo, nella piazza di San Leo, e alla presenza dei cavalieri accorsi per l’occasione dalla Toscana, dall’Umbria, dalla Romagna e dalle Marche, e alla folla riunita, tenne una celebre predica )l’olmo secolare cadde a terra l’11 dicembre del 1662, la base del tronco è ancora conservata all’interno della chiesa francescana di Sant’Igne). Prendendo spunto da una nota canzone dei Trovadori, una sorta di brano in prosa ritmato e cantato, ‘Tanto è il bene che m’aspetto, Ch’ogni pena m’e diletto’, parlò, o per meglio dire cantò, delle pene d’amore (l’amore del signore per la donna amata, ma certamente anche di ben altro Signore e della sua sposa, ossia la Chiesa). Non un semplice discorso, ma con ogni probabilità una vera e propria predica penitenziale, sotto forma di poesia. Fra i presenti vi era il conte Orlando, signore di Chiusi di La Verna. Questi volle incontrare Francesco in casa Severini, vicino al luogo della celebre predica, e in quella circostanza il conte Orlando fece dono a Francesco del monte della Verna, dove una decina d’anni più tardi il santo ebbe la visione del Serafino crocifisso e ricevette le Stimmate della Passione di Cristo.
La pietra di consacrazione del 1244 del convento di Sant’Igne, in buona sostanza, ricorda la data di consacrazione di un edificio di culto, il papa dell’epoca (papa Innocenzo IV, con il quale la Chiesa di Roma conobbe un importante periodo di espansione politica e territoriale nell’Italia centrale, mentre infuriava la rivalità con gli imperatori svevi), e ricorda il vescovo Ugolino della famiglia Feltria, da cui discendono i Montefeltro, signori di San Leo e più tardi duchi di Urbino. Ma l’epigrafe, anche se il suo nome non compare sulla pietra, non può non ricordare un’altra data, l’8 maggio del 1213, e la visita a San Leo di San Francesco d’Assisi.

Luca Giorgini