Omelia per la festa di San Marino
Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
San Marino città, 3 settembre 2017
(da registrazione)
Eccellenze carissime, signori Segretari, fratelli e sorelle,
auguri per questa nostra festa, auguri a tutti;
mi dovete permettere di rivolgere un saluto specialissimo ai nostri giovani.
Quest’anno, cari ragazzi, ci sentirete molto parlare di voi, ci stiamo preparando al Sinodo dei Vescovi dedicato proprio al tema: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. San Marino è lontano da noi nel tempo, ma è così vicino e caro a tutti noi che quasi ci succede di identificarci con lui; per esempio, quando ci chiedono “di dove sei?” e rispondiamo “sono di San Marino”, indichiamo il luogo dove abitiamo, ma anche un’appartenenza: “Io sono di San Marino, ho un legame con questa persona così cara”. Non sono uno storico, non so tracciare ciò che manca ai documenti per ricostruire la figura di san Marino, quindi non mi permetterei mai di fare un “restauro interpretativo”, ma prendo quello che di lui ci dice la liturgia di oggi. E in particolare sottolineo un aspetto: Marino era un cercatore della verità, non uno che la sbandiera come sua proprietà, ma uno che è in continua ricerca. Nella prima lettura si parla di un “cercatore della sapienza”. C’è tutto un fiorire incalzante, suggestivo, di verbi. Quel cercatore rincorre la sapienza perché vuole capirne i segreti, addirittura si apposta quasi come uno che vuol fare un agguato, tende il suo orecchio, la spia, si ferma nei pressi della sua dimora, pone la sua tenda accanto, fissa un chiodo alle sue pareti per dire che di lì non se ne vuole andare; gli è troppo cara la sapienza. E poi mette se stesso e i propri figli sotto la sua protezione e lui stesso si difende alla sua ombra, ma alla fine è lei, la sapienza, che gli va incontro come fa una madre premurosa, o una sposa innamorata. Infine, continua il libro del Siracide, la sapienza lo nutre, lo disseta, lo sostiene, non lo delude: la sapienza non delude mai. E il cercatore a lei si abbandona fiducioso. Ecco il ritratto che la liturgia ci offre; per lo meno uno dei profili della figura di Marino, cercatore della sapienza. Chi è cattolico si riconosce in pieno in questa sua eredità e la trova ancora fresca, ma sa che potrà esser sua solo se la riconquista: occorre riguadagnare per ripossedere. C’è la gratitudine ma anche la responsabilità. Chi è laico gode di questa eredità perché in essa è contenuta una perla preziosa (e gli conviene).
Oggi in un’unica solennità celebriamo la fondazione della nostra comunità civile e il santo suo fondatore. Nella stessa comunità la dimensione religiosa e quella civile si sono intrecciate, unite ma non confuse, inseparabili ma senza prevaricazioni. San Marino – l’abbiamo detto più volte – non intese fondare una comunità religiosa come un monastero a cielo aperto, un sistema integralistico, ma una società fraterna. Avrà avuto certamente di fronte al suo sguardo la comunità cristiana dei primi tempi, una comunità che a volte ci succede di chiamare “ideale”, ma il termine è improprio perché quella comunità è programmatica per noi. «Erano un cuor solo e un’anima sola» (At 4,32). In questo sistema di sapienza «si dà a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» (Mt 22,21). Da sempre la nostra tradizione ha promosso, più o meno consapevolmente, più o meno felicemente, il valore della laicità, facendo vivere insieme persone di diverse sensibilità e orientamenti. Questa apertura trova uno dei suoi punti di forza in una visione integrale della persona, propria dell’antropologia cristiana. Chi non è credente non tema le radici cristiane della nostra comunità, perché proprio su queste radici cristiane si fonda il rispetto e la libertà di ognuno. La nostra libertà è reale, non per concessione di qualcuno, ma perché fondata sulla dignità della persona. Chi è credente sa che può contare sul rispetto e sulla considerazione di chi afferma il valore dell’umanesimo.
È anche tempo, oggi, di considerare brevemente le virtù civili. Virtù è parola piuttosto desueta oggi, eppure è parola suggestiva. Virtù è una forza interiore permanente fino a diventare un abito, un abito operativo, cioè un’abitudine nel senso positivo del termine, un atteggiamento permanente. Accennerei appena a due virtù civili che in questo momento ci sono necessarie. La prima virtù: la disponibilità alla collaborazione (vorrei dire alla cooperazione), cioè l’attitudine a tener fisso lo sguardo sul bene comune, al mettersi insieme, astenendosi dai particolarismi per ottenere il meglio a vantaggio di tutti. Ci sono diversità di posizioni, ma talvolta bisogna anche saper andare oltre in vista del bene comune. Questo vale per le istituzioni, ma vale anche per la comunità cristiana e per le famiglie. Da notare che il Vangelo dice: «Voi siete luce». Non dice io, tu, ma voi, cioè io e te insieme. Quando un io e un tu si incontrano generando un noi, in quel noi, sia il noi della famiglia dove ci si vuol bene, sia il noi di una comunità dove si accoglie o il noi di una società solidale, è conservato il senso e il sale del vivere. C’è anche un’altra virtù civile di cui vorrei sottolineare l’importanza: l’onestà. Noi diamo molto valore all’educazione della famiglia. La famiglia onesta – si dice – non è più importante di una famiglia abbiente o ricca. Diamo valore alle istituzioni educative, all’impegno di associazioni, gruppi, movimenti, ma è fondamentale la formazione della personale coscienza. Al di là del ruvido dell’argilla di cui siamo fatti, nella cella segreta del cuore là troviamo sempre una luce accesa, una manciata di sale. Permettetemi di leggere una pagina di un sapiente caro all’umanesimo e caro alla tradizione ascetica spirituale cristiana, Seneca, che così scrive in una sua opera: «Quanto tranquillo, quanto profondo e libero, dopo che l’animo o è stato lodato o ammonito e, da osservatore e censore privato di se stesso, ha concluso l’inchiesta sui suoi costumi. Io mi avvalgo di questa possibilità e mi metto sotto processo ogni giorno. Quando hanno portato via la lucerna e mia moglie, che conosce la mia abitudine, tace, io scruto l’intera mia giornata e controllo tutte le mie parole ed azioni, senza nascondermi nulla, senza passar sopra a nulla. Perché dovrei temere uno qualunque dei miei errori, se posso dire: “Questo, vedi di non farlo più; per questa volta, ti perdono. In quella discussione sei stato troppo polemico; impara a non contendere più con gli incompetenti, che non vogliono imparare, perché non hanno mai imparato. Hai rimproverato quello là con eccessiva franchezza, quindi non lo hai corretto, ma offeso; d’ora in poi, non guardare soltanto se è vero quello che dici, ma anche se la persona alla quale parli è in grado di accettare la verità”. L’uomo buono gradisce un ammonimento, ma tutti i cattivi sono estremamente restii ai pedagoghi» (De ira, Libro III, 36, [2,3,4]).
Oggi siamo tutti in festa. Scambiamoci un regalo, il regalo della reciproca stima, accompagnata dalla messa a disposizione del meglio di noi stessi.
Per quanto mi riguarda inizierò la visita pastorale nella Repubblica di San Marino il prossimo 16 ottobre. La visita pastorale di un vescovo è un incontro, non è un controllo delle comunità cristiane. È un incoraggiamento, è un ravvivare rapporti di luce. La processione che speriamo di poter fare al termine della Messa è per noi credenti il segno che «Dio visita il suo popolo» e, attraverso Marino, benedice tutti.