Omelia XIX domenica del Tempo Ordinario
Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Maciano, 12 agosto 2017
Mt 14,22-33
(da registrazione)
Gesù ha appena compiuto la moltiplicazione dei pani: ha sfamato cinquemila persone, senza contare le donne e i bambini. Un miracolo utilissimo, che meriterebbe la laurea ad honoris causa in economia. A quel punto Gesù costringe i suoi discepoli, i più vicini a lui, ad andare via. Perché? Gesù ha paura che si vantino di quel miracolo compiuto dal loro maestro, che vengano catturati in un entusiasmo inopportuno, deviante e non si ricordino, come aveva loro predetto, che era incamminato verso Gerusalemme. Gesù rimane a congedare la folla. Qualche interprete ritiene che Gesù abbia desiderato continuare da solo l’abbraccio con la folla che aveva sfamato. Qualcun altro pensa che Gesù abbia cercato di zittire entusiasmi troppo precoci, tant’è che, appena può, fa perdere le sue tracce salendo sul monte, da solo: dall’abbraccio della folla all’abbraccio del Padre, nella preghiera, nell’intimità con Lui. Che cosa si saranno detti? Ognuno provi ad immaginare, mettendosi nei panni di Gesù. Gli avrà parlato sicuramente della compassione verso le moltitudini, perché Gesù è umano. Poi avrà parlato della sua salita a Gerusalemme. Avrà detto: «Padre, allontana da me il calice… ». Avrà detto: «Padre custodisci il gruppo di coloro che sono disposti a credere in me, accompagnali, aiutali».
Poi la scena si sposta sulle rive del lago. Il mare è in burrasca, gli apostoli sono sulla barca, vedono in lontananza Gesù che cammina sulle acque, ma non lo riconoscono e, pieni di paura, pensano che sia un fantasma. Gesù stavolta fa un miracolo “inutile” a confronto del miracolo utilissimo della moltiplicazione dei pani: dar da mangiare a cinquemila persone. Compiuto nell’oscurità, in uno scenario irraggiungibile – in mezzo ad un lago – tutto il miracolo avviene per una questione di cuore. Pietro, quando vede una figura in lontananza, mentre tutti pensano che sia uno spirito, intuisce che è Gesù e gli dice: «Iube me venire ad te (Signore comanda che io venga a te)». In questo Pietro fa una preghiera fiduciosissima, ma anche un po’ pretenziosa nel chiedere al Signore il miracolo di poter camminare sull’acqua. Gesù glielo concede invitandolo a camminare verso di lui. Anche noi possiamo rivolgere a Gesù una preghiera come quella Pietro, quando ci troviamo davanti a decisioni da prendere, a difficoltà che pensiamo di non riuscire ad affrontare. Possiamo chiedere, come Pietro, che il pavimento di acqua che vediamo davanti a noi, diventi un pavimento di cristallo su cui possiamo camminare.
Tuttavia, quando si cammina sull’acqua, si affonda ed irrompe una seconda preghiera, molto bella anche se pare interessata, perché scaturisce dal cuore: «Signore, salvami!». Un grido del cuore. E Gesù soccorre Pietro – e con lui ognuno di noi – gli offre la mano e lo fa salire sulla barca, al sicuro. Lì si compie la grande preghiera, la grande dossologia, cioè la preghiera davanti a Gesù Signore. I passeggeri di quel naviglio si inginocchiano e adorano Gesù: sono la Chiesa del Risorto. Siamo noi e questa sera insieme lo adoriamo.