Omelia nella S.Messa di chiusura della Porta Santa
Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Cattedrale di Pennabilli, 13 novembre 2016
Mal 3, 19-20
Lc 21,5-19
«Sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia» (Mal 3,20). Per questo Sole eleviamo, cantando, il nostro Magnificat. È il Magnificat per quello che il Signore è andato facendo per noi in questo anno giubilare.
Grazie a tutti quelli che hanno reso possibili le celebrazioni dell’Anno Santo qui in Cattedrale come nelle altre chiese giubilari della diocesi.
Grazie soprattutto al Santo Padre, il Papa Francesco. Ci ha riconsegnato una parola particolarmente necessaria oggi. Una parola che va oltre le forme più delicate e belle della devozione; una parola decisiva per questa società di feriti, di arrabbiati, di disperati: la parola misericordia. È il cuore del Vangelo: siete amati, amate! Uscite, guardatevi attorno, compite opere di misericordia.
Il Santo Padre ci ha coinvolti nei suoi viaggi dalle periferie dell’Azerbaigian a Lund in Svezia, per stare agli ultimi. Nei “venerdì della misericordia” ci ha accompagnati sui luoghi degli sbarchi, nelle comunità di recupero, nelle carceri, negli ospedali, tra i poveri, perfino – venerdì scorso – nella casa in cui si incontrano amici che hanno lasciato il sacerdozio… periferie d’ogni genere. Ci hanno colpito le sue parole, forti, semplici, incisive, vere perché legate alla vita. Ci hanno colpito anche i suoi silenzi come ad esempio nella sua visita ad Auschwitz-Birkenau.
Papa Francesco ci ha fatto aprire “porte sante” nelle Cattedrali e in tante chiese, in tanti luoghi di sofferenza (abbiamo fatto celebrazioni giubilari nei nostri ospedali, nelle nostre carceri, in qualche fabbrica). Ha indicato, senza stancarsi, a noi figli prodighi, perché lontani, un Padre, prodigo davvero, perché ricco di misericordia. Le porte spalancate sono state per noi come le braccia del crocifisso che sussurra: «Non abbiate timore. Questa croce non è un pungiglione per me, ma per la morte. Questi chiodi non mi procurano tanto dolore, quanto imprimono più profondamente in me l’amore verso di voi. Queste ferite non mi fanno gemere, ma piuttosto introducono voi nel mio interno. Il mio corpo disteso anziché accrescere la pena, allarga gli spazi del cuore per accogliervi» (San Pier Crisologo).
Abbiamo fatto tesoro del Giubileo? L’Anno Santo ha avuto una reale incidenza? Al dire di molti parroci sono aumentate le Confessioni dei fedeli. Io stesso ricordo la Veglia penitenziale coi giovani a Valdragone prolungatasi fino alla mezzanotte. Ricordo le “ventiquattro ore per il Signore” a Talamello: anche qui tante Confessioni. Altrettanto a Ponte Cappuccini… Confessioni, catechesi, pellegrinaggi. Pellegrinaggi dei vicariati alla Cattedrale e della diocesi a Roma. Appuntamento mensile di tanti alla stazione giubilare sui luoghi della spiritualità sammarinese-feretrana. Rinnovazione di rapporti fra persone e, in generale, una proposta di cambiamento nello stile di vita. Ma affiora un certo rammarico nella nostra coscienza personale e comunitaria: si poteva fare di più, si poteva corrispondere maggiormente all’offerta della misericordia; si poteva essere più missionari. Si poteva, si poteva, si poteva… ma non ci si può fermare ai se, ai ma, ai forse. «Ecco ora il momento favorevole» (2Cor 6,2). Oggi, in questa Cattedrale, pur coi nostri limiti, possiamo tutti insieme fare un balzo. Riaffermare la nostra fede nel Signore Gesù. Accogliere il suo annuncio di misericordia.
I nostri giorni sono cattivi per la fede, sono dominati da uno stordimento che rende difficile l’ascolto del Vangelo. Da una parte il massimo del benessere materiale e di potenziale felicità per la persona giovane, sana, produttiva, dall’altra il massimo della emarginazione e potenziale solitudine per la persona anziana, ammalata, improduttiva.
Quale orizzonte è possibile per una testimonianza cristiana? Non può essere ridotta ai parametri di una vita “per bene”, educata, del “buon vivere”, deve essere profezia, annuncio di terra nuova e cieli nuovi; o così, o non è profezia!
Radicalità: questa sembra essere la parola giusta. Povertà – a cui spesso ci richiama papa Francesco – perché non siamo proprietari, ma responsabili di un capitale di Dio da mettere a frutto per tutti. Questa la ragione di un maggiore distacco dai beni materiali. Solidarietà fraterna: questo il motivo di uno stile di vita più sobrio, più fiducioso nella Provvidenza.
Dunque prendere sul serio il Vangelo. Un segno forte viene dalle comunità religiose che sono nella nostra diocesi. Sono comunità costruite sulla roccia (cfr. Mt 7,24). Contestazione vivente alla mondanità.
C’è poi il dono di giovani – ne ho avuto esperienza alla GMG di Cracovia – che vanno contro corrente e così si preparano, nella purezza, ad una vita di amore e dedizione. Essi sono all’erta di fronte alle sirene ingannatrici che promettono felicità, ma che al massimo riescono a dare piacere.
Il mondo ha bisogno di santi; di comunità più sante, più evangeliche, che credono che il Vangelo è vero, che ha in sé la forza di cambiare. Accettiamo la sfida?
Guardiamo la comunità dei discepoli e delle discepole di cui ci raccontano gli Atti degli Apostoli. Non erano tempi facili per loro. San Paolo non temeva di dire loro «siete luce» (cfr. Ef 5,8) a dispetto della presunta luminosità del paganesimo.
Da allora il tempo della Chiesa non è mai stato facile né comodo. La tentazione – di fronte ai fatti storici terribili che accadono – sarà, per i cristiani, di correre dietro alle ideologie e alle mistificazioni nella speranza di facili quanto illusorie garanzie di salvezza. Nel Vangelo che abbiamo appena letto Cristo ci assicura che veglierà sul suo popolo, non permetterà che venga strapazzato oltre ogni limite. Se i cristiani sapranno mantenersi saldi nella fedeltà esclusiva a lui, al suo messaggio, alla missione che gli ha affidato, «nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita» (Lc 21,18-19). Così sia.