Omelia XXXII Domenica del Tempo Ordinario
Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Santuario della Madonna del Faggio (Eremo di Carpegna – Montecopiolo)
6 novembre 2016
Vi è noto come Gesù fonda la nostra fede nella risurrezione sul grande sfondo dell’Alleanza tra Dio e le sue creature. Egli è il Dio dei viventi: il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe… e potemmo continuare coi nomi dei nostri nonni, dei nostri genitori. In questo «di» sta il segreto della nostra eternità: «Una sillaba breve come un respiro, ma che contiene la forza di un legame, indissolubile e reciproco, e che significa: Dio appartiene a noi, noi apparteniamo a lui, Dio di Abramo, di Isacco, di Gesù; Dio di mio padre, di mia madre… Se quei nomi, quelle persone non esistono più è Dio stesso che non esiste» (E. Ronchi).
Dio vuole essere un tutt’uno con noi; ci considera parte integrante di sé, considera la nostra vita una cosa sola con la sua. Come Gesù siamo figli della risurrezione: Nulla potrà separarci dall’amore di Dio, né morte né vita (Rom 8,38). In questo legame d’amicizia (alleanza) sta il fondamento della risurrezione. Il pensiero antico era arrivato alla nozione dell’immortalità dell’anima e perfino a supporre la possibilità di una risurrezione del corpo. Ma qui è tutt’altra cosa: è Parola del vangelo.
Per concludere: immagina d’essere un condannato nel braccio della morte. E’ solo questione di tempo: sta per risuonare, nel lugubre corridoio, il grido del boia: dead man walking (“uomo morto in cammino”). Ma Gesù viene a dirti: la sentenza di morte è annullata. Se credi esci, trovi porte spalancate e corri incontro alla vita! In questo luogo mariano consentitemi un’altra lettura del brano evangelico. Siamo in una “casa di Maria”, la Donna esemplare.
Nel brano appena letto a raccontare la parabola sono i sadducei, gli appartenenti ad un movimento politico-religioso del tempo di Gesù. I sadducei non credono nella risurrezione. Traspare una sottile ironia verso Gesù e verso chi invece ci crede nel racconto paradossale della donna dei setti mariti nel quale il matrimonio è visto come un braccio di ferro contro la morte; la si sconfigge suscitando vita: all’inesorabile avanzare della morte è la donna che tiene il passo moltiplicando i figli. In questa prospettiva, la donna non è considerata per se stessa, ma per la funzione a cui è chiamata.
Al tempo di Gesù la “discendenza” era quasi un’ossessione e l’eventualità della fine della stirpe un incubo. Gesù proclama che per Dio è la persona che conta. Gli obblighi famigliari, religiosi, sociali, sono subordinati al suo valore. La persona creata ad immagine di Dio vivrà oltre la morte: questo annuncio dà valore all’essere umano per se stesso.
I sadducei presentano la donna come oggetto appartenente ad una famiglia: ben in sette l’hanno avuta in moglie, ma, per il Signore, lei non appartiene a nessuno. E’ figlia di Dio! Nel Regno nessuno è proprietà di un altro. Dal più piccolo al più grande, sia uomo che donna, siamo uguali agli angeli ed essendo figli della risurrezione, siamo figli di Dio, partecipi della sua stessa vita che non tramonta. Ho trovato questa testimonianza da un antico scritto rabbinico: L’unica situazione in cui il pio ebreo non deve recitare la preghiera dello Shema Israel, che scandisce tre volte la giornata, è la sera delle sue nozze, perché, dice il Talmud, in quel momento, non è in grado di pregare con l’attenzione dovuta. Tuttavia, si racconta che Gamaliele invece lo abbia recitato la sera del suo matrimonio, perché persino quella sera, era capace di orientare tutte le sue forze a Dio. La sua unione con la moglie era quella di un amore totalmente rispettoso della libertà di entrambi, non oberava la sua per rivolgersi al Creatore.
Il brano evangelico che riporta la disputa di Gesù con i Sadducei pone anche le basi per la comprensione di due vocazioni diverse che si fondano sull’unico amore: il matrimonio e la verginità.