Omelia XXIX Domenica del Tempo Ordinario
Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Secchiano, 16 ottobre 2016
Lc 18,1-8
La parabola che ci viene proposta oggi, contiene un importante insegnamento, solo apparentemente semplice, in realtà è piuttosto complessa. Essa ha un forte legame con l’attesa del ritorno del Signore fortemente sentita dalla comunità destinataria del Vangelo di Luca. Chi sono i protagonisti della parabola? Sembra ovvio: il giudice iniquo e la povera vedova di quella città. In realtà il vero protagonista secondo l’evangelista è Dio. Quello che vien detto del giudice e del suo comportamento, in positivo riguarda il comportamento di Dio e la certezza della sua venuta. La parabola riflette l’incrollabile fiducia di Gesù nella venuta finale del Regno di Dio, e questo non ostante che i fatti sembrino indicare il contrario e che il dubbio possa installarsi nella mente degli ascoltatori.
La povera vedova simboleggia, per l’evangelista Luca, la comunità cristiana del suo tempo (ma in verità di ogni tempo) bisognosa di aiuto: un modello di perseveranza ed intraprendenza. L’esempio scelto da Gesù (un giudice che cede all’insistenza una vedova che lo stressa) si prestava bene per essere attualizzato in una situazione di crisi: inculcare la certezza dell’esaudimento anche quando molte implorazioni e grida sembrano rimanere senza risposta. Se perfino il giudice iniquo finisce per ascoltare la vedova, quanto più il Padre che sta nei cieli ascolterà i suoi figli che gridano a lui? La Chiesa subisce persecuzioni (cfr Sir 35,11-24). La venuta del Signore si fa attendere, ma la comunità non deve abbandonare la convinzione che tale venuta è imminente: la parabola serve proprio a rafforzare questa certezza. L’esortazione alla preghiera, intesa come vigilanza, intraprendenza e fedeltà, è espressione della fede vissuta come attesa della parusia.
A questo punto è più che giusto e opportuno un esame sulla nostra preghiera…
C’è una povera preghiera e una preghiera povera: non è un gioco di parole. A volte le nostre preghiere sono veramente povere, perché frettolose, più recitate che vissute, relegate nei momenti peggiori della giornata, intellettualistiche, stipate di immagini impertinenti, distrazioni, piene di pretese, abitudinarie e senza slanci. Ahimè!
Altra cosa è la preghiera povera. E’ la preghiera che ci mette, in totale verità (povertà) davanti al mistero di Dio: cuore a cuore, di fronte a Colui dal quale sappiamo di essere amati (Teresa d’Avila): col canto dell’anima, con le lacrime del dolore, con lo sdegno per l’ingiustizia. E non guasta il silenzio, al contrario! Pregare infatti non è esattamente recitar preghiere (non sprecate parole… raccomandava Gesù). Pregare è come il voler bene. E’ un moto del cuore, un rapporto. Di Francesco, il poverello di Assisi, è stato scritto che non pregava più… era diventato preghiera. La fragranza di una preghiera così, non è appannaggio degli iniziati o dei teologi. E’ atteggiamento del figlio rivolto verso il Padre, il suo Creatore: Signore, tu mi scruti e mi conosci; tu sai quando seggo e quando cammino; penetri da lontano i miei pensieri… (dal Salmo 138). E’ come la preghiera della vedova povera che si trova davvero in grande difficoltà. La sua sembra una causa persa dall’inizio. Il giudice non la considera, ma lei, imperterrita, non recede, a costo d’essere importuna. Prega giorno e notte senza stancarsi. Ho sperimentato anch’io, come tanti, i giorni della fede difficile e mi sono chiesto: davvero il Signore esaudisce prontamente? Il primo miracolo della preghiera è rinsaldare la fede che Dio è presente nella nostra vita, non siamo abbandonati a noi stessi. Preghiamo? Preghiamo senza stancarci? Si comincia a pregare già con la decisione di ritagliare il tempo necessario, di puntare la sveglia, di spegnere la tv, di sostare in chiesa… Poi basta anche un sospiro. La mattina o la sera per molti sono il momento migliore. Mattina e sera non sono da considerare i margini della giornata, ma la collocazione strategica della preghiera perché tutta la giornata ne risulti irradiata e diventi preghiera.
Una preghiera fiduciosa, povera, ma anche attiva. La vedova ci appare tutt’altro che rassegnata. Si batte per avere giustizia. Non si lascia cadere le braccia, ma come Mosè è perseverante fino alla vittoria!