Omelia per la Solenne Apertura della Porta Santa

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Cattedrale di Pennabilli, 13 dicembre 2015

Sof 3,14-18
Fil 4,4-7
Lc 3,10-18
Ci siamo messi anche noi in coda come i frequentatori del Battista per varcare la Porta Santa della nostra Cattedrale. Ci troviamo, misticamente, sulle rive del fiume Giordano che, dai tempi di Giovanni ad oggi, non finisce di lambire la nostra indifferenza. Giovanni grida: il Messia è alle porte, cambiate vita! Sì, il Signore è alle porte della nostra vita indaffarata, tiranneggiata da false esigenze, dal modo di pensare mondano e da egoismi più o meno velati. In che condizioni ci trova il Messia? Un giorno Gesù rimprovererà gli indifferenti, imperturbabili sia all’annuncio di un severo giudizio, sia di fronte all’offerta di misericordia (indifferenza, indolenza ed accidia sono il nostro problema). Eppure l’appello è esplicito ed urgente: A chi paragonerò questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: «Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto» (Mt 11,16-17). Se restiamo insensibili alla voce austera di Giovanni, come potremo accogliere Colui che soavemente sta alla porta e bussa? (Ap 3,20).
Il Vangelo ci racconta di gente che si è lasciata sorprendere dalla testimonianza del Battista e che è scesa al fiume per chiedere come rendere concreta la conversione nella realtà dell’esistenza quotidiana: Che cosa dobbiamo fare? (È una lezione per noi!).
La domanda è posta dalle folle, da doganieri, da soldati mercenari. Un campionario assai vario di umanità. Luca, che spesso nel suo Vangelo presenta Gesù amico dei pubblicani e dei peccatori, ha particolare simpatia verso queste categorie di persone, le più disprezzate e le più bisognose di misericordia: le folle considerate ignoranti e fluttuanti; i doganieri ritenuti peccatori per eccellenza perché il loro mestiere li porta a compromessi con le forze romane di occupazione; i mercenari perché al soldo del tiranno di turno. Ma davanti a Dio nessuna situazione umana è pregiudizialmente esclusa (cfr. le catechesi di papa Francesco). Anzi, proprio costoro, a differenza di quanti presumono di essere “puri”, trovano misericordia e incoraggiamento. Il Battista indica per loro alcune risoluzioni: generosità fraterna, specie verso i poveri; rettitudine nel proprio ruolo professionale; mitezza, sincerità, moderazione.
Avete notato: non invita alla fuga nel deserto, né a vivere, come lui, da anacoreti, né a cambiare mestiere, né ad un’osservanza bigotta dei precetti. La conversione è qualcosa che si attua all’interno delle proprie situazioni umane e sociali. Dunque non chiede di salvarsi dalla storia (storia che possiamo ben immaginare), ma nella storia (siamo nella logica del lievito, non in quella della pasta alternativa).
La stessa domanda delle folle, dei doganieri e dei soldati la poniamo anche noi che abbiamo appena varcato la Porta Santa: «Che cosa devo fare, in questo anno giubilare?». Papa Francesco non dice che questo momento è buono, opportuno, ma che la Chiesa “ha bisogno di questo anno di misericordia” (Udienza del mercoledì, 9 dicembre 2015). E noi? E la nostra Chiesa ha bisogno di misericordia? Ha bisogno di essere illuminata circa la gravità del peccato, prendendone coscienza. Ha da farsi perdonare le disunità. Ha bisogno del perdono perché noi, suoi membri, talvolta viviamo la fede come folclore, esteriorità, tradizione senza profondo coinvolgimento del cuore (sede delle decisioni). Dalla Cattedrale alle chiese giubilari, dalle parrocchie a tutti i luoghi di preghiera vedo una “reazione a catena” di rinnovamento, vedo porte e finestre spalancate all’onda fresca e vivificante della misericordia. Misericordia accolta e poi offerta. Ma la “reazione a catena” non può che partire da me! Ognuno pensi così.
Permettete ancora una parola. La rivolgo ai miei fratelli sacerdoti. Mi succede spesso di pensare a loro viaggiando per il Montefeltro: saranno in buona salute? Avranno qualche consolazione? La casa canonica sarà ben riscaldata? Cari sacerdoti, non so se i parrocchiani vi esprimono la loro gratitudine, se vi mostrano affetto, se hanno verso di voi espressioni di riconoscenza per quello che siete e per quello che fate. So che vi siete messi a servizio per il Signore, in risposta alla vostra vocazione; non per altro. Tuttavia io vi dico il mio grazie, la mia gratitudine e la mia ammirazione. Voi siete i dispensatori della misericordia e del perdono di Dio. Quante volte, nel passato come nel presente, ho goduto per la Provvidenza di un prete che ha assolto i miei peccati e mi ha fatto sentire l’abbraccio della misericordia e la gioia del perdono. Nella Bolla di indizione del Giubileo – al paragrafo 17 – papa Francesco parla di voi. Rileggete quelle parole, vi aiuteranno ad essere «un vero segno della misericordia del Padre».
Nella domenica “Gaudete”, tutta intonata alla gioia, voglio proclamare davanti alla comunità diocesana come il vostro sia ministero di gioia per noi e per tutti (cfr. 2Cor 1,24). E come sia gioia per il Signore che fa festa in cielo per un solo peccatore che si converte (cfr. Lc 15,7)!