Omelia del Giovedì Santo

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Cattedrale di Pennabilli, 2 aprile 2015
 
Es 12,1-8.11-14
Sal 115
1Cor 11,23-26
Gv 13,1-15
I nostri sguardi questa sera sono puntati sull’altare. Cediamo la parola all’altare. Ascoltiamone le suggestioni. Parli lui. L’altare sta al centro dell’aula sacra, la Cattedrale, leggermente sopraelevato, ma non troppo per non apparire inaccessibile. Un sussurro. Sentite: Togliti i sandali dai piedi perché il luogo sul quale tu stai è terra santa! (Es 3,5).
Ti trovi all’imboccatura della cavità di una rupe dove lo splendore della gloria del Signore passa mentre tu sei protetto dalla sua mano perché non puoi vedere il suo volto e restare vivo. Ecco un luogo a me vicino… (Es 33,21). Passando – dice il Signore – proclamerò il mio nome: Signore, davanti a te. Farò grazia a chi vorrò fare grazia (Es 33,19).
L’altare è la fenditura della roccia dalla quale scaturiscono torrenti di acqua viva per noi popolo incamminato nel deserto di questo mondo (cfr. Es 17, 6), prefigurazione del cuore squarciato che effonde lo Spirito (cfr. Gv 19,34). La fenditura nella roccia, nella trasfigurazione innamorata del Cantico dei Cantici, è il luogo nel quale la colomba è invitata ad uscire per l’incontro con l’amante (cfr. Cant 2,14).
Quante luci, quante voci, quante suggestioni attorno a questo altare. Ma siamo anche avvertiti da Gesù: Se dunque porti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va prima a riconciliarti… (Mt 5, 23-24). Sarebbe mistica vana e ingannatrice quella che distogliesse dalle responsabilità.
Davanti all’altare timore e tremore… (cfr. Fil 2,12)

L’altare è il luogo della nostra fraterna riunione. Qui Gesù ci dà immancabilmente appuntamento: Venite, vedrete (Gv 1, 39). Chi ha sete venga a me e beva (Gv 7,37). O voi tutti assetati, venite all’acqua, chi non ha denaro venga ugualmente (Is 55,1), cioè senza il vanto dei meriti. In tante occasioni Gesù ha voluto significare con la convivialità il segno del Regno di Dio che viene. Convivialità da cui non esclude i peccatori per festeggiare il loro ritorno o per favorirlo. E’ il caso di Levi Matteo passato in un istante dal banco dei suoi traffici alla tavola con Gesù (cfr. Mc 2,13-15). Così Zaccheo e tanti altri.
Gesù si mise a tavola con i suoi…
C’è prossimità in questo flash, c’è intimità, c’è amicizia. Ci sono parole sussurrate, inaudite dichiarazioni d’amore: Prendete e mangiate… prendete e bevete. Attorno alla tavola quella sera ci fu trasalimento, si incrociarono sguardi stupefatti, poi pieni d’amore, come i nostri di questa sera. Il prediletto – è celato il nome: potrebbe essere ciascuno di noi venuto alla santa cena – adagia il suo capo sul petto di Gesù (cfr. Gv 13,25). Dall’altare di marmo all’altare incandescente d’amore, altare di carne, vivo e palpitante.
Attorno all’altare con audacia.

L’altare è dunque un’ara dove Gesù si dà, si fa pasto, agnello immolato. Nel marmo, incastonate, sono conservate le reliquie dei martiri: i cristiani che hanno corrisposto a tanto amore con il loro amore, hanno dato la vita per Gesù. Chi sta alla tavola di Gesù, impara a fare della sua vita un dono.
L’altare è una tavola. Verrà apparecchiata. C’è chi dispone fiori e luci, chi distende tovaglie, chi sparge profumi e incenso. Ci sono ministri e c’è il sacerdote che agisce “in persona Christi”. Ahimè ci sono anche da noi altari senza tovaglie, senza fiori, disadorni e coperti di polvere. Altari attorno ai quali non ci sono più chierichetti, né canti, né luci. Altari sui quali da anni non sale più il sacerdote. Senza Eucaristia non c’è Chiesa. Ma più della scarsità dei sacerdoti vorrei parlare della bellezza dell’essere sacerdote, di avere un chiamato al sacerdozio nella nostra famiglia.
Attorno alla tavola c’è il futuro: il nostro riunirci è prefigurazione dell’unità dei figli di Dio. In forma stilizzata è anticipato il nostro destino: diventare famiglia dei figli di Dio.
L’altare, uno squarcio sul futuro.

Siamo qui attorno all’altare come peccatori, ma in via di conversione. Con il fardello delle nostre fatiche e delle nostre relazioni non sempre facili, ma qui siamo da riconciliati. Ecco il segno commovente della lavanda dei piedi. Il Signore desidera che saliamo l’altare purificati. Non sentiamoci umiliati dall’invito alla confessione delle nostre colpe. Più umiliante sarebbe dichiararci irresponsabili del peccato.
Altare, luogo della gelosia del Signore: ci vuole fedeli ogni domenica all’appuntamento. Non per precetto, ma per amore. Ci vuole con l’animo aperto e disponibile al comandamento nuovo. Così sia.