Omelia per l’Insediamento dei nuovi Capitani Reggenti

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Basilica del Santo Marino, 1 aprile 2015

Eccellenze,
Signore, Signori, fratelli e sorelle,
Gesù ha dichiarato il suo ardente desiderio di fare Pasqua. Nel parallelo di Luca il desiderio viene espresso con una forma particolare: «Desiderio desideravi» (Lc 22,15). E di rincalzo gli apostoli, amici intimi: «Dove vuoi che ti prepariamo?» (Mt 26,17). Quanta attenzione per il Maestro, quanta premura, quanta sollecitudine. Ad un desiderio, subito una disponibilità… Normalmente nei rapporti funziona così, quando le relazioni sono autentiche e nella verità. Ci si fida.
Ci può essere – e c’è – l’imprevisto, l’incidente. Nel caso di Gesù e del gruppo degli apostoli c’è Giuda! Egli tradisce la fiducia. Tra gli intimi è uno dei più intimi: attinge la mano nel piatto stesso di Gesù. Con lui siamo al primo atto della tragedia. «Colui che mangia il pane con me alza il suo calcagno contro di me» (Sal 41,10 – citato in Gv 13,18). Per spiegare meglio lo sconcerto provato da Gesù ricorro ad un fatto di cronaca che, in questi giorni, ci ha lasciato attoniti. La tragedia del volo Germawings ha prodotto qualcosa di simile all’incrinatura sul pavimento o nel terreno sul quale camminiamo e che siamo abituati a considerare solido e stabile. Fuori di metafora, quel terreno è la fiducia collettiva che, fin da bambini, siamo chiamati ad avere nel prossimo. E non solo in chi ci vuole bene. Ogni gesto, dal più elementare che compiamo ogni mattina, è possibile solo dentro questa fiducia nell’altro. Sì, la nostra vita è fondata su una profonda fiducia: che tutti, benché diversi o magari divisi e avversari, si tenda ad un bene comune.
Non possiamo smettere di fidarci.
È proprio del nostro DNA il mettere la vita nelle mani del prossimo e, a nostra volta, di essere custodi della loro. Smettere di fidarsi, è come smettere di respirare.
Abbiamo questa legge scritta dentro: è già nel riflesso spontaneo, naturale, con cui il neonato stringe forte il dito che gli offriamo. Eppure nessuno può garantirci che sia sempre così.
E allora c’è chi non ci pensa. C’è chi trova modo di distrarsi. C’è chi confida nella fortuna. C’è – persino – chi si affida all’oroscopo!
I cristiani sanno che occorre fidarsi nonostante tutto e – aggiungo – affidarsi. Affidarsi a chi?
Sanno bene che nemmeno la prossima mattina è garantita e che è stato scritto: «Nessuno conosce il giorno e l’ora». E tuttavia i cristiani non vivono nella paura: certi di non essere atomi smarriti nell’universo, certi di non essere cose da nulla. Sanno di essere figli. Questo è il fondamento dell’antropologia cristiana. Così Gesù sta sulla scena di quell’ultima cena, quando sopraggiunge la sera (cfr. Mt 26,20). Gli eventi precipitano, ma lui li signoreggia. Si affida al padre. È lui che ha insegnato la preghiera del Padre Nostro, preghiera dell’abbandono fiducioso: sia fatta la tua volontà. Certezza di un Dio buono che conosce tutti, per nome, uno ad uno.
Gesù, gli apostoli, Giuda…
Signore, dacci il coraggio di fidarci dell’altro, nonostante tutto; di correre il rischio di vivere in pienezza.
Signore, veglia su ciascuno di noi perché non tradiamo la fiducia riposta in noi.
Come ci ricorda con la sua testimonianza il santo fondatore di questa antica e nobile Repubblica: l’autorità è servizio e il buon esempio il suo primo corollario.
Santo Marino prega per noi!