Omelia Terza Domenica di Quaresima

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Cattedrale di Pennabilli, 8 marzo 2015

In occasione di quella Pasqua, la prima narrata dall’evangelista Giovanni, Gesù compie uno dei gesti più significativi in ordine alla Rivelazione: il segno del Tempio. Gesù si automanifesta come il vero e unico “luogo” dell’incontro con Dio.
«Chi vede me, vede il Padre» (Gv 14,9), dirà Gesù nell’ultima sera con i suoi discepoli.
Al tempio di Gerusalemme confluivano enormi folle di pellegrini per la Pasqua ed era necessario aprire negli atri il mercato di pecore, buoi e colombe per le offerte sacrificali, dal momento che non riuscivano a portarseli dietro dai luoghi di provenienza. Anche Maria e Giuseppe un giorno acquistarono colombe per offrirle al Signore, quando portarono il bambino Gesù al Tempio (cfr. Lc 2, 22-24). Inoltre, i fedeli venivano dalle regioni più lontane ed erano perciò necessari anche i cambiavalute.
Gesù compie nei loro confronti un’azione simbolica e profetica: prende alcune funicelle che servivano per condurre gli animali e violentemente rovescia bancarelle, soldi e ceste. Il mercato del tempio aveva già acceso d’ira il profeta Zaccaria (14,21), ma la motivazione che spinge Gesù è diversa.
Gesù non se la prende tanto con i venditori o con i loro eventuali affari, più o meno leciti. Il suo obiettivo non è tanto quello di “purificare” il tempio come nel racconto dell’episodio che ci hanno riferito i vangeli sinottici. Gesù aggredisce direttamente l’istituzione del tempio come tale e il culto in essa celebrato. Il tempio di Gerusalemme ha finito il suo compito! Ciò è in linea con quanto Gesù dirà alla Samaritana: «Non più su questo monte o a Gerusalemme adorerete… viene un’ora ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno Dio in spirito e verità» (Gv 4,21-24).
Nella nuova comunità di Gesù non ci sarà più il tempio (cfr. Ap 21,22).
Il gesto compiuto da Gesù è dunque un gesto messianico, non semplicemente un richiamo liturgico-morale.
Gesù, Verbo incarnato, è il luogo della dimora di Dio fra gli uomini. D’ora in poi chi vuole incontrare Dio deve “passare” attraverso di lui, attraverso la sua umanità. Chi vuole rendere culto a Dio deve onorare il corpo di Cristo. E questo ci riguarda tutti. Ricavo due considerazioni non opposte, ma certamente complementari. La prima riguarda i sacramenti, segni efficaci della grazia di Cristo. «Tutto ciò che fu visibile del nostro Redentore è passato nei segni sacramentali». Gesù Risorto è in mezzo a noi, nella sua Chiesa. È presente ed è vivo! Ci è dato incontrarlo, dunque, nella sua realtà beneficante, nella sua potenza terapeutica, nel suo amore forte e delicato, nel suo corpo, sangue, anima e divinità, ecc.
Teresa d’Avila ha scritto pagine straordinarie sulla necessità di “passare attraverso l’umanità di Gesù” (cfr. Teresa d’Avila, Vita).
E beato chi non si scandalizza della povertà dei segni che ha indicato e dei ministri a cui li ha affidati (cfr. Mt 11,6; Gv 6,61).
Ma non sarebbe completa la nostra meditazione senza considerare il corpo di Cristo che è l’organismo vivo della sua Chiesa, il “corpo mistico” e – in qualche modo – l’umanità in tutti i suoi membri, soprattutto i più poveri e i più fragili (cfr. Mt 25,31-46). È la seconda considerazione che attualizza il brano evangelico di questa terza domenica di Quaresima. Non si può ricevere con devozione l’Eucaristia e poi, usciti fuori, lasciarsi andare a critiche astiose e cattive verso gli altri membri della comunità, perché il Pane ci fa tutti un corpo solo in Cristo, una sola famiglia. Non si può dichiararsi cattolici e poi promuovere una campagna contro gli stranieri; anch’essi sono corpo di Cristo. Non è possibile pretendere di agire in nome di Dio e poi uccidere vite innocenti. In altre parole: il culto gradito a Dio non è fatto di cerimonie, ma di atti di amore: «Amore voglio, non sacrifici» (Mt 9,13; cfr. Is 58,6-7).