Omelia Solennità di Tutti i Santi
Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Cattedrale di Pennabilli, 1 novembre 2014
La solennità di Ognissanti e l’annuale commemorazione dei defunti sono una tappa importante nell’anno liturgico e ricorrenze molto sentite dai cristiani.
Siamo invitati dalla liturgia ad una straordinaria esperienza di comunione spirituale: la Chiesa militante (noi in cammino sulla terra), la Chiesa purgante che si prepara con la purificazione all’incontro “faccia a faccia” col Signore, la Chiesa trionfante che gode già della visione beatificante. Non tre Chiese, ma un’unica Chiesa. Un unico corpo, saldissima unità, reciproco scambio. In questi giorni la liturgia non ha pianti, perché ciò di cui fa memoria non è la morte ma la resurrezione; la liturgia non ha lacrime se non asciugate dalla mano di Dio. La Chiesa infatti non pronuncia parole sulla fine, ma sulla vita…
Come si riconosce un santo? Dalla gioia, anzitutto. Il santo è una persona non necessariamente straordinaria, ma straordinariamente centrata sul tesoro che rende la sua vita felice, cioè tutta “unità” e “armonia”: un santo triste è un triste santo!
Ecco le beatitudini! Poveri, miti, puri, affamati, perseguitati… che Gesù chiama “beati”!
Provo a dire qualcosa del mio rapporto coi santi. Da ragazzo ammiravo padre Damiano De Veuster, missionario tra i lebbrosi. In lui, come in altri santi missionari, ammiravo l’aspetto eroico, avventuroso e romantico. Il mio proposito di adolescente era: anch’io voglio essere santo. Ma è pura illusione pensare che la santità sia frutto dei nostri sforzi!
Da giovane mi ha soccorso l’incontro con Teresa di Lisieux, “la mia ragazza” (così la chiamavo). L’ho incontrata nei giorni della disillusione: non riuscivo ad essere santo nonostante gli sforzi sinceri. La santità – concludevo – non è per me. Teresa mi ha insegnato la “piccola via” e le sei “esse”: “Sarò santa se sarò santa subito” – diceva Teresa. Una scoperta: la santità dono da accogliere, dono di Dio seminato in ciascuno di noi.
Molti fra i santi sono giovani. Forse il Signore li porta presto con sé perché hanno raggiunto la maturità? Forse vengono preservati da questo mondo? La cosa finisce per inibire la presentazione dei santi giovani, perché spesso ricordati per la loro sofferenza e la morte prematura, prima che abbiano “gustato la vita”, l’amicizia, l’amore… Ci si spaventa pensando: “Dio mi prende in parola, appena riesco a dirgli che voglio essere suo”. Pregiudizi, luoghi comuni, paure: pensieri da superare.
La santità è per i giovani. Ma è per tutti: la santità rende giovani, perché porta a vivere gli aspetti più belli e caratteristici della giovinezza. Queste le qualità dei giovani: la generosità come assenza di calcolo; la totalitarietà: tutto o niente!; l’audacia dei grandi progetti: sono leggeri, senza troppe sovrastrutture e si incamminano più facilmente verso “i sogni” (nota sul sogno: una certa scuola di pensiero afferma che il sogno fa emergere il passato che è stato rimosso, passato che l’assenza di censure fa affiorare; secondo un’altra scuola il sogno è una risorsa aperta al futuro, è immaginazione verso una realtà nuova, è il principio della speranza).
Nella mia esperienza di postulatore ho notato lo stupore dei contemporanei e dei vicini scettici sulla santità dei candidati (troppo normali!); la scia di persone accanto ai santi: c’è un fascino che attrae e coinvolge (la santità è un fatto comune); la santità è Gesù tra noi: nella Chiesa, nella Parola, nei sacramenti, nel servizio amorevole.
Ho conosciuto dei santi “vivi”: quanti! Non sono proclamati tali perché ancora in cammino. Santi col Vangelo nel cuore, gente che scopre che “c’è più gioia a dare che a ricevere”, che nonostante la loro piccolezza sono “sale e luce”…