Omelia nella XIV domenica del Tempo Ordinario

Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 9 luglio 2023

Zc 9,9-10
Sal 144
Rm 8,9.11-13
Mt 11,25-30

Questa pagina evangelica è chiamata “la perla del Vangelo di Matteo”. È un inno di gioia ed una grande preghiera di Gesù. Per comprenderla bene occorre collocarla nel contesto. Gesù si trova in un momento critico: le città del lago dove ha svolto la sua attività apostolica cominciano a prendere le distanze; i sapienti, l’intellighenzia, coloro che presumono di avere la conoscenza di Dio e delle Scritture sono in difficoltà con Gesù e Lui è in difficoltà con loro. Gli scribi e i farisei hanno la pretesa della conoscenza, ma non entrano in sintonia con Gesù; invece, con meraviglia, si trovano in sintonia con Gesù i piccoli, i semplici, gli umili. Cosa significa essere piccoli, semplici, umili? Gesù ha presente – anche se l’evangelista Matteo non lo dice esplicitamente (Matteo legge e racconta la vicenda di Gesù avendo l’Antico Testamento come background) – i testi dell’apocalittica e i testi sapienziali. Per quanto riguarda l’apocalittica, Gesù ha presente il libro di Daniele; Daniele è un piccolo che, insieme ai suoi compagni di cattività al tempo di Nabucodonosor, custodisce l’Alleanza. Nabucodonosor fa un sogno misterioso; convoca a corte i sapienti, ma non riescono ad interpretare e a decifrare il sogno. Sarà il piccolo Daniele a svelare a Nabucodonosor il suo significato. Ed è in quel momento che il profeta esplode in un inno di giubilo: non è la sua scienza personale che gli ha consentito l’interpretazione, ma quel sogno è stato rivelato in lui dalla sapienza di Dio (cfr. Dn 2,1-23): «Sia benedetto il nome di Dio di secolo in secolo, perché a lui appartengono la sapienza e la potenza».
Una cosa analoga accade a Ben Sira, autore del libro del Siracide, un libro sapienziale importante nella Bibbia, che parimenti si conclude con un inno di giubilo: «Il Signore mi ha dato in ricompensa una lingua con cui lo loderò. Avvicinatevi voi che siete senza istruzione, prendete dimora nella mia scuola. Ho aperto la bocca e ho parlato: “Acquistate la sapienza senza danaro. Sottoponete il collo al suo giogo, accoglietene l’istruzione. Essa è vicina e si può trovare. Si diletti l’anima vostra della misericordia del Signore; non vogliate vergognarvi di lodarlo» (Sir 51,22-30). Parole analoghe a quelle pronunciate dal profeta Daniele e riecheggianti nell’inno di giubilo pregato da Gesù.
Gesù entra in questa dimensione; allora comprendiamo il suo prorompere nella gioia: Gesù è felice perché il Padre gli ha rivelato i segreti del Regno; vede che attorno a lui ci sono tanti posti vuoti; gli han girato le spalle i presuntuosi, i sapientoni, quelli che pensano di sapere tutto. Quei posti vuoti adesso sono occupati dai piccoli che accorrono a lui.
Chi sono i piccoli? Che cos’è il giogo di cui stiamo parlando?
I piccoli non sono di per sé le persone semplici e popolane e non sono neppure i poveri in senso sociologico, ma sono coloro che davanti al Signore Dio hanno un cuore umile, aperto e disponibile. Sono i piccoli di cui Gesù ha parlato nelle beatitudini: «Beati i poveri in spirito, beati i miti, beati i puri di cuore…» (Mt 5,3). Il prototipo dei piccoli è Gesù, il piccolo per antonomasia, piccolo perché ha un cuore aperto, spalancato, alla conoscenza del Padre. Al tempo di Gesù c’era una corrente spirituale che veniva chiamata degli “anawim”, i “poveri di Jahvè”. A questo gruppo appartengono Zaccaria, Elisabetta, Anna, Giuseppe… e soprattutto Maria di Nazaret. Sono coloro che si aspettano tutto dal Signore e confidano in Lui.
Il giogo è uno strumento che viene usato anche nelle nostre campagne, dove i buoi si inerpicano sulle colline con l’aratro (ormai è raro vederli perché sono sostituiti dai trattori).
Quella del giogo è una metafora ambivalente. Per giogo si intende qualcosa di opprimente, che imprigiona le spalle e il collo e costringe alla fatica. Gesù l’adopera in questo senso negativo per riferirsi al legalismo dei sapienti del suo tempo, che imponevano leggi e precetti, che percorrevano la terra per fare proseliti e mettevano addosso ai fedeli pesi che loro non erano capaci di portare (cfr. Mt 23,15). Ma c’è anche un altro significato: il giogo come ciò che stanca. Stanca vivere con l’ansia di produrre performance spirituali; ti stanchi quando ti senti in gara, quando davanti a Dio rincorri la sua riconoscenza, quando ti confronti con gli altri e vuoi essere migliore, quando vorresti che la tua vita fosse più significativa della vita di un altro e, se vedi qualcuno realizzato, ti spunta nel cuore l’erba amara dell’invidia e della gelosia. Comprendiamo allora quando Gesù dice: «Prendete il mio giogo, il mio giogo è leggero… Mettetevi come me in relazione col Padre, diventate piccoli, non preoccupatevi delle vostre prestazioni, preoccupatevi invece che il vostro cuore sia aperto, umile, semplice, perché Dio non fa il computo ragionieristico degli atti obbedienti, vuole un cuore obbediente». Questo è riposante, questo è entrare nella mentalità di Gesù.

Riassumo il significato di questa pagina evangelica attorno a tre parole: gioia, rivelazione, riposo.
Gioia. Nei Vangeli non troviamo un Gesù che ride… però Gesù è gioioso. Oltre all’esplosione di gioia testimoniata in questa pagina di Vangelo: «Ti lodo, Padre, perché hai nascosto queste cose ai presuntuosi e le hai rivelate ai piccoli», incontriamo la gioia di Gesù quando partecipa al banchetto degli sposi di Cana, quando abbraccia i bambini, quando, nella casa di Simone il lebbroso, si fa profumare i piedi dalla donna peccatrice… È una gioia che viene da dentro e che viene dallo Spirito. In questo l’evangelista Luca è molto esplicito: è proprio nello Spirito che Gesù esulta ed è pieno di gioia. Come la preghiera di Gesù, la nostra preghiera dovrebbe aprirsi sempre con un inno di giubilo, perché ci è stato rivelato chi è Dio e chi siamo noi in relazione con lui. Lui è Padre e noi siamo figli. Si è detto più volte che la vocazione più grande – non si può pensarne un’altra maggiore – è la vocazione ad essere figli: ecco il motivo della gioia. Sapere che nulla accade – anche le cose che non ci piacciono, che ci fanno soffrire, che non sono giuste – senza il Padre: non sei solo, non sei abbandonato.
Rivelazione. Se io sono figlio e lui è il mio papà siamo nella luce; a volte il Signore permette anche il buio, per ingaggiare un gioco d’amore nel quale si nasconde per farsi cercare e darci di lui qualcosa di nuovo e di ancora più bello.
Riposo. Quando vivi la fede ed esprimi la religiosità in questo modo, non c’è niente di tetro, di chiuso, di inibente; il cuore si allarga e può riposare: «Solo in Dio riposa l’anima mia» (cfr. Sal 62,2).
Auguro a tutti, in questo periodo estivo, di vivere il riposo nel Signore.