Omelia nella XI domenica del Tempo Ordinario
Secchiano (RN), 18 giugno 2023
40° anniversario di ordinazione sacerdotale di don Sante Celli
Es 19,2-6
Sal 99
Rm 5,6-11
Mt 9,36-10,8
Caro don Sante,
cari parrocchiani,
non poteva esserci pagina più bella di questa per comprendere la bellezza del prete missionario e la missionarietà di ogni discepolo di Gesù.
Il Vangelo ci presenta il Signore nell’atto di scegliere coloro che devono continuare la sua missione. Qual è il motivo che lo spinge a chiamare nuovi missionari? «Vedendo le folle» Gesù intuisce in loro il bisogno profondo di Vangelo. Lo sguardo di Gesù è uno sguardo di amore infinito, che conosce le esigenze e le sofferenze della gente. Solo l’amore conosce veramente.
1.
Gesù volge lo sguardo attorno e vede la folla. Nel testo originale (nella parlata propria di Gesù) “folla” va intesa nel senso di “folla disordinata”, “folla ammucchiata”. Gesù vuole fare il passaggio da una “folla disordinata” di persone ad una comunità. Chiederà, poi, agli apostoli e ad ogni discepolo di “essere costruttori di comunità” (è il tema del Programma Pastorale 2022/23!). Dio è comunione e non desidera altro che siamo una comunità di fratelli, un “cantiere” dove tutti sono impegnati, ognuno al suo posto, nei diversi ambiti di vita.
Gesù fa nascere la comunità col suo sguardo: questo è il perché della Chiesa. Ho incontrato persone che sono innamorate di Gesù Cristo, ma non vogliono la Chiesa… Ciò non è possibile! Se segui Gesù, non puoi non riconoscere la sua Chiesa come un corpo organico con tanti ministeri e tanti carismi.
2.
Il Vangelo dice che Gesù prova un sentimento di commozione che attraversa “le sue viscere” (il verbo usato descrive il fremere tipico del grembo materno). Caro don Sante, anche tu come Gesù, proprio qui in questa chiesa, nei momenti in cui preghi per la tua gente condividi con Gesù lo sguardo amorevole che coglie il bello che c’è nella tua gente e la sua compassione viscerale per le fragilità e le debolezze.
Come viene descritta la folla? Abbiamo sottolineato che viene presentata come una “folla disordinata”, lacerata, dispersa, afflitta dalla stanchezza. Oggi si parla molto della stanchezza esistenziale, che non è la stanchezza fisica, ma il riverbero di una stanchezza più profonda. Che cosa ci rende stanchi? È il non poter contare su relazioni in cui possiamo riposarci. Il cuore di ogni persona riposa nella pienezza di una relazione di amore, di accoglienza, nella quale c’è dono reciproco. L’essere lontani da questo tipo di rapporto rende stanchi nel cuore. Non è una novità di oggi, era così anche al tempo di Gesù. Si ha bisogno di fidarsi di qualcuno. Quando sei in una relazione in cui ti puoi fidare, il cuore si riposa: puoi essere te stesso. Altrimenti devi sempre difenderti, conquistare posizioni, avere prestazioni che ti facciano accreditare dagli altri (invece con la propria mamma non si ha bisogno di manifestare chissà che cosa per essere amati). Questa è la stanchezza che tu, don Sante, devi soccorrere per «essere costruttori di comunità», affinchè ognuno si senta bene, non si senta giudicato. In ogni iniziativa parrocchiale si esaltino le qualità di ogni persona, come in una famiglia.
3.
Il Vangelo aggiunge un’altra immagine. Gesù sente la folla che ha di fronte «come pecore senza pastore». È una frase che, alle orecchie degli ascoltatori era ricorrente, perché era una frase dell’Antico Testamento. La frase «erano pecore senza pastore» era sbocciata nel contesto storico dell’esodo, il periodo in cui gli ebrei erano schiavi in Egitto. Poi si mettono in cammino. Mosè cerca di fondere insieme le dodici tribù ed arriva alle soglie della terra promessa. Anche per lui si avvicina il tempo della morte e, guardando il popolo che ha messo in cammino, preso da un grande abbattimento prega: «Signore, chi continuerà dopo di me? Queste persone sono come pecore senza pastore». Allora, a Mosè viene indicato un successore: Giosuè (è lo stesso nome di Gesù, senza l’accento all’italiana). L’immagine delle «pecore senza pastore» viene usata anche in un altro passo biblico, quando gli ebrei sono a Babilonia durante il tempo dell’esilio. Hanno il terrore di scomparire per sempre come popolo: non hanno più il tempio, non hanno più la terra, non hanno più il sacerdozio, non hanno più profeti… Vivono nella terra tra i due fiumi, a Babilonia. Allora dicono al Signore: «Siamo come pecore senza pastore, scompariremo…». Invece, il Signore farà sorgere altri condottieri. Gesù prova lo stesso sentimento, la stessa urgenza. Eppure dice: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi… Pregate!». Questa risposta stupisce, perché Gesù non esorta anzitutto a darsi da fare per raccogliere e mietere, ma a pregare. Questa frase ci libera dall’ansia da prestazione; in fondo pensiamo che tutto dipenda da noi, dalla nostra attività, invece, secondo Gesù, l’apostolo, il vero evangelizzatore, deve sapere che non è lui che salva il mondo: è Dio che opera. Noi interveniamo, caro don Sante, nella fase finale: Dio fa crescere, fa maturare, opera nel cuore delle persone, a noi il compito di mettere in evidenza quello che il Signore fa. A volte la persona meno religiosa, meno praticante, compie atti d’amore, è sensibile, accoglie il sacerdote per la benedizione e fa domande… Il sacerdote ha la missione di far sbocciare il bene presente in germe, di evidenziare talenti, di avere lo sguardo di Gesù.
4.
Gesù ha chiamato a sé quelli che ha voluto come apostoli e dirà che li chiama «a stare con lui» (cfr. Mc 3,14): ecco cosa chiede al sacerdote (non invita tanto a corsi di aggiornamento, perché l’insegnamento è Gesù stesso, la sua persona, non una teoria). Poi Gesù esprime, con cinque verbi, cosa deve fare l’apostolo; da notare che con solo uno di questi invita l’apostolo a fare attività mediante parola, mentre con gli altri quattro verbi indica attività di carità, di servizio, di prossimità: «Strada facendo – cioè nello svolgimento della vita – predicate, dicendo che il Regno di Dio sta per venire (unico verbo che indica attività mediante parola), guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demoni». Non commento questi verbi, ma sottolineo che, per Gesù, i “demoni” sono anzitutto le immagini sbagliate di Dio. Ci sono persone che girano alla larga da Dio perché hanno paura, perché gli è stata trasmessa un’immagine contraffatta di Dio. Dio è ben diverso dai loro “fantasmi”; il Dio di Gesù è pieno d’amore, è lui che crea relazioni in cui non avanzi per i tuoi meriti e le tue performance. I prediletti di Dio sono le persone più fragili. Il cristiano deve fare esorcismi perché deve liberare l’immagine bella di Dio che è nel profondo del cuore di ciascuno: Dio è amore!