Omelia nella S.Messa per la Giornata del Malato
San Marino Città (RSM), chiesa dei Santi Pietro, Marino e Leone, 11 febbraio 2023
Is 53, 1-5.7-10
Sal 102
Lc 1, 39-56
La liturgia della Parola ci presenta, nella Prima Lettura, il cosiddetto “Carme del Servo Sofferente” e il Vangelo della Visitazione di Maria ad Elisabetta, con il cantico del Magnificat: ambedue i testi parlano di Gesù. Il Servo Sofferente che prende su di sé il peccato dell’umanità, che redime con la sua sofferenza e diventa luce per le genti è il medesimo che Giovanni Battista, dal grembo di Elisabetta, sua mamma, già riconosce e saluta danzando. La Visitazione di Maria, in fondo, è una visitazione del Signore: Maria è l’arca che lo porta. Ognuno di noi oggi è qui per consegnare alla Madre la sofferenza, il dolore, la sua lotta personale e quella di tanti altri, ma viene invitato, sommessamente, dalla liturgia ad uscire da sé, ad alzare lo sguardo, a contemplare il Signore. Succede a tutti di ripiegarsi su di sé, soprattutto quando si è sotto un peso che schiaccia. Ci si lamenta, non si trattengono le lacrime. Ci dobbiamo aiutare, in questo momento, almeno per un attimo, a volgere uno sguardo d’amore, di riconoscenza, di compassione a «colui che hanno trafitto» (cfr. Gv 19,37), Gesù.
Mi hanno raccontato che padre Pio da Pietrelcina, quando ha ricevuto le stigmate, piangeva non per sé, per il male che sentiva, ma per il pensiero di quanto Gesù aveva sofferto. Aiutiamoci a non piangere su noi stessi, almeno per un momento, ma sul Signore, e in particolare sul suo Corpo Mistico che è l’umanità: Lui è il capo, noi umani le membra, membra che soffrono (ricordiamo le vittime e i sopravvissuti al terremoto… Ma di terremoti ce ne sono di tutti i tipi).
Chi è, dunque, il servo misterioso di cui parla il profeta Isaia? Alcuni ritengono che il profeta parli di se stesso; qualcuno pensa sia un’allusione al popolo di Israele, sempre umiliato, percosso, esiliato; qualcun altro pensa sia figura di ogni uomo che si mantiene fedele al bene e alla libertà, a costo della sofferenza, a costo di pagare di persona (in questo momento storico un popolo intero, l’Ucraina, sta difendendo la sua indipendenza). Questo carme, superando i confini dello spazio e del tempo, preannuncia misteriosamente Gesù, il vero Servo del Signore, prediletto dal Padre, Salvatore del mondo attraverso l’offerta della propria vita, poi glorificato da Dio e divenuto luce degli uomini. Gli evangelisti, e poi la tradizione cristiana, hanno sempre dato questa interpretazione. In effetti sembra che questa pagina profetica sia in anteprima il racconto della Passione. Il servo svolge la sua missione con dolcezza e con fermezza di fronte alla sofferenza, agnello di Dio che prende su di sé il peccato del mondo e accetta la sofferenza ingiusta, l’accetta in silenzio, senza difendersi, senza chiedere la punizione dei nemici. Dopo la risurrezione la Chiesa ha continuato a rendere presente nel mondo il mistero salvifico di Gesù: «Dalle sue piaghe siamo stati risanati», «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto…».
Il discorso qui si sposta un po’. Ogni cristiano può essere servo del Signore, può continuare a rendere presente ciò che Gesù ha già realizzato, perché, in forza del Battesimo, è unito a Cristo, è una cosa sola con Lui e, come Lui – se accetta – diventa membra della redenzione. Ogni dolore fisico, spirituale, morale, ogni fragilità possono essere offerti per amore.
C’è un ministero della sofferenza, prima o poi per tutti, che viene riconosciuto e consacrato da un sacramento specifico che è l’Unzione degli infermi.
Il cristiano prolunga il ministero del Servo sofferente facendosi carico anche, con la parola e con le opere, delle sofferenze dei fratelli. Dobbiamo allargare l’orizzonte e considerare come servi del Signore coloro che portano la croce che dal mondo viene messa sulle loro spalle. Penso alla fatica e all’impegno quotidiano di chi cerca la pace, la giustizia, di chi si spende per gli altri. Anche questa ministerialità viene riconosciuta e santificata dall’unzione-sacramento, quella della Cresima.
Dice papa Francesco parlando della globalizzazione dell’indifferenza: «Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile». «La malattia fa parte dell’esperienza umana»: prima o poi tutti passiamo attraverso questa strada. Ma essa può diventare disumana. È umana perché di tutti gli umani, ma è disumana «quando è vissuta nell’isolamento e nell’abbandono». Eppure, attraverso l’esperienza della fragilità e della malattia, possiamo imparare a camminare insieme con lo stile di Gesù.
Ho imparato molto da mio fratello missionario, padre Silvio: era paraplegico, è stato più di cinquant’anni su una sedia a rotelle. Quando era ora di partire per tornare in Africa – veniva a casa ogni tre anni – andava da solo. I nostri genitori erano preoccupati, ma lui li rassicurava dicendo che, quando arrivava all’aeroporto, vedendolo su una carrozzina andavano a gara per aiutarlo. Di fronte alla sofferenza gli altri tirano fuori il meglio: l’amore che hanno dentro. L’esperienza della fragilità e della malattia è disumana, soprattutto quando vissuta nell’abbandono e nella solitudine, ma può essere la molla per farci riscoprire la fraternità. Nel suo Messaggio per la XXXI Giornata Mondiale del Malato il Papa ci ha affidato l’icona del buon samaritano. Sottolineo un particolare: il buon samaritano, all’inizio del brano, fa esercizio di fraternità e di cura a tu per tu, ma poi la cura si allarga ad una cura organizzata. C’è il pericolo che un certo tipo di pensiero di cultura e di filosofia, non faccia riferimento a criteri sicuri per la scelta dei valori più importanti nella pratica sanitaria e nella politica sanitaria. Che cos’è assolutamente dovuto alla persona malata? Il rischio è di rispondere: «Ciò che i bilanci preventivi consentono». Questa risposta ha una parte di verità, ma, se diventa l’unica, insidia la cultura del primato della persona. Oggi è più che mai necessario un supplemento di sapienza, di saggezza, che sappia vedere chiaramente qual è il bene intangibile della persona e individuare quanto ne debba essere assicurato. Impariamo dal Signore ad essere una comunità che cammina insieme, capace di non lasciarsi contagiare dalla cultura dello scarto.
Mi metto, ora, davanti al Vangelo della Visitazione: Maria si mette in viaggio verso la montagna, raggiunge in fretta la casa di Elisabetta, che è anziana e gravida al sesto mese. La visita di Maria alla grande casa che è la Chiesa e alle nostre case è attualità, come lo è stato a Lourdes per prendersi cura di noi peccatori, «adesso e nell’ora della nostra morte». Così sia.