Discorso nel conferimento della cura pastorale dell’unità pastorale di Novafeltria a don Simone Tintoni e a don Jean-Florent Angolafale
Novafeltria (RN), 30 ottobre 2022
1.
Un inizio. Come ad ogni inizio c’è curiosità, trepidazione e gioia (come quando si apre un regalo: cosa ci sarà dentro?). Inizia un nuovo assetto pastorale. A don Simone Tintoni, don Jean-Florent Angolafale e al diacono Vittorio Fiumana sono affidate le parrocchie di Novafeltria, Talamello, Torricella e Sartiano. Don Simone e don Jean-Florent sono parroci insieme. A don Simone viene dato l’incarico di moderatore dell’unità pastorale. A Vittorio è chiesta la disponibilità alla diaconia. Si tratta di un primo passo verso quella conversione pastorale tanto auspicata da papa Francesco e segnalata anche nei nostri dialoghi sinodali; realtà che non riguarda solamente rapporti fra i presbiteri – rapporti di fraternità, di lavoro insieme, di complementarità –, ma anche fra i presbiteri e i laici e dei laici fra loro, di una comunità e dell’altra, tutti fratelli, tutti discepoli di Gesù, tutti desiderosi di essere missionari. Viene chiesta apertura di cuore e di mente per impegnarsi con viva corresponsabilità. A tutti viene chiesto di superare attaccamenti alle proprie abitudini (non oso immaginare ci siano campanilismi; nel caso ci fossero bisogna che ci educhiamo gli uni gli altri). Ho usato la parola “apertura” almeno in tre sensi. 1. Apertura reale e sincera a ciò che lo Spirito Santo vuol dire oggi alla Chiesa. Siamo tutti scolari, alunni, discepoli, tutti bisognosi di imparare. 2. Apertura delle realtà ecclesiali le une verso le altre e ciascuna verso l’intera Chiesa, sotto la guida del Pietro di oggi, che è il Santo Padre papa Francesco e, nella nostra Diocesi, del Vescovo. 3. Apertura a nuove forme di ministerialità che riguardano i fratelli, gli uomini, e le sorelle, le donne. A partire dal prossimo anno, potranno accedere ai ministeri istituiti anche le donne. Oltre al ministero del lettorato, dell’accolitato e del catechista, il Signore susciterà certamente altri ministeri in una Chiesa che vuole essere comunione e missione.
Nel nuovo inizio c’è una certa continuità: non si parte da zero! Abbiamo una tradizione ricchissima; spesso non ci rendiamo conto di cosa vuol dire avere alle spalle duemila anni di cristianesimo: chi viene da paesi in cui la Chiesa è giovane se ne accorge maggiormente. Non immaginate chissà quale terremoto con questo nuovo assetto. Però c’è anche una discontinuità: ci troviamo davanti ad una pagina bianca da scrivere, disegnare, colorare; cose forse già vissute, ma da adesso in poi da vedere e da considerare con occhi nuovi.
2.
L’inizio è anzitutto una grazia, perché sollecita creatività e mobilita nuove energie. Per il credente è sempre accompagnata da un collegamento alle parole che aprono la Sacra Scrittura: «Bereshît bara’ Elohîm (All’inizio Dio creò)» (Gn 1,1). Il verbo bara’ dice l’iniziativa salvifica di Dio che continua nella storia. Dio è fuori dal tempo. Quando Dio decide, fa, pensa, crea, permane in quell’atteggiamento; non ci sono passato, presente, futuro: è tutto presente. C’è il medesimo progetto d’amore, sotteso a tutto l’arco dell’azione divina, dall’inizio alla fine. Quel verbo, bara’, non indica soltanto l’azione potente del Creatore sul cosmo, ma l’intera sua presenza che abbraccia la storia, quella grande e quella piccola, quella personale e quella di ciascuno di noi. Ci sarà una lunga serie di avvenimenti, di creazione, di liberazione, di nuovi inizi che la Bibbia ci fa conoscere e lo fa per educarci a vedere come Dio sia sempre all’opera nelle nostre esistenze e come ogni inizio sia sotto la sua volontà di benedizione. Di per sé ogni giorno, ogni ora, ogni iniziativa partecipa di quell’inizio. «All’inizio» devi pensare al per sempre, il per sempre dell’amore di Dio e della sua fedeltà.
3.
Mi sono riferito al primo versetto della Genesi; ora, per parlare dell’inizio, consentitemi di fare una breve incursione nel Secondo Libro dei Re. Gerusalemme era diventata infedele verso il Signore, aveva abbandonato il suo Dio, aveva amoreggiato con gli idoli dei pagani e col loro stile di vita; anche il tempio era andato in decadenza. Il Signore Dio suscita un santo re, di nome Giosia. Siamo nel VII secolo a.C. Il re Giosia pensa sia il momento di rimettere le cose a posto. Da dove partire? Dal tempio. Allora, chiama un’impresa edile, un’azienda di pulizie, degli artisti, affinché il tempio torni al suo primitivo splendore. Quella che sto raccontando, in fondo, è un’allegoria di oggi. Alcuni fervorosi nel fare le pulizie (come le signore che rendono così bella questa chiesa) trovano nei ripostigli del tempio dei rotoli, un po’ malmessi. Svolgendoli si accorgono che vi sono scritte le parole di Dio e che forse si tratta dei rotoli dell’Alleanza, che narrano il patto che il Signore ha stipulato con Mosè sul monte Sinai. Vanno da un esperto, lo scriba Safan. Egli riscontra che si tratta del libro della Legge… dimenticato per anni nel Tempio! Vanno a dirlo al re Giosia, che dopo averlo fatto leggere dalla profetessa Culda, si straccia le vesti, chiede perdono a Dio e proclama una grande convocazione di popolo. Non basterà la giornata perché vengano letti ad alta voce i libri dell’Alleanza. Quella liturgia solenne si trasforma in una grande festa che dura giorni interi: la riscoperta della Parola di Dio (cfr. 2Re 22, 8-11). Non sarà per caso che al fondo della crisi di oggi nelle parrocchie ci sia il fatto che la Parola di Dio è caduta nel dimenticatoio? Guai! Se è così, abbiamo bisogno di un nuovo inizio.
4.
Faccio riferimento anche ad un’altra pagina della Sacra Scrittura, presa dal Libro del Profeta Geremia, un profeta a cui è capitato di vivere in un tempo terrificante: Geremia, infatti, deve assistere alla distruzione di Gerusalemme, la città santa. Il Tempio, che era stato in parte recuperato dal santo re Giosia, di nuovo ritorna in macerie. La dinastia davidica viene interrotta; sono deportati a Babilonia il re, la regina, i figli e tutti i notabili del popolo, insieme a tanta gente. I sacerdoti non compiono più liturgie, niente più incensi. Il Signore manda il profeta Geremia a portare una lettera ai deportati, una lettera che sembra scritta oggi da un vescovo nel “tempo della crisi”: secolarizzazione, scandali nella Chiesa, abbandono della pratica religiosa, calo delle vocazioni e poi la pandemia, ora la guerra. La lettera del profeta Geremia dice come vivere il tempo della crisi. La crisi può essere un tempo utile e necessario per il cambiamento. «Così dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele, a tutti gli esuli che ho fatto deportare da Gerusalemme a Babilonia…» (Ger 29,4). A deportare non è stato Nabucodonosor? Sì, per le cronache e per i libri di storia, ma quello che è accaduto è accaduto perché il Signore lo ha permesso: l’ha voluto per purificare il suo popolo; infatti, il Signore aggiunge: «Costruite case, abitatele (non vivete da barboni sotto i ponti perché siete a Babilonia in un paese straniero), piantate orti, mangiatene i frutti; prendete mogli, mettete al mondo figli. Lì moltiplicatevi e non diminuite. Cercate il benessere nel paese in cui vi ho fatto deportare e pregate per esso il Signore» (Ger 29,5-7). Il Signore fa capire che il tempo della crisi può essere un tempo davvero di nuovo inizio. E così accade. È stato abbattuto il Tempio, ma i credenti hanno cominciato ad incontrarsi nelle sinagoghe, in piccoli spazi, quasi un raduno di famiglia, dove si leggono le Scritture (i famosi rotoli). Cominciano a comprendere che Dio non è soltanto il Dio d’Israele, di Gerusalemme, ma il Signore di tutto il mondo: emerge la dimensione universale del monoteismo. È come se Dio dicesse inoltre: «In questo tempo di crisi datevi da fare: famiglia, lavoro, impegno sociale…». Non è un’allusione all’impegno dei laici nel quotidiano? Non ci sono più sacerdoti al Tempio, nascono i rabbini, nuove forme di ministerialità. Poi c’è la parola conclusiva: «Quando saranno compiuti a Babilonia settant’anni, vi visiterò e realizzerò la mia buona promessa di ricondurvi in questo luogo. […] Mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il cuore; mi lascerò trovare da voi» (Ger 29,10.13). Dunque, con l’esperienza dell’“inizio” consideriamo la fedeltà di Dio; partiamo dalla riscoperta del Vangelo; ritroviamo forza per affrontare la crisi, tempo che il Signore vuole per la nostra maturazione. Così sia.