Omelia nella XX domenica del Tempo Ordinario

Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 14 agosto 2022

Ger 38,4-6.8-10
Sal 39
Eb 12,1-4
Lc 12,49-53

Gesù adopera due immagini archetipe: il fuoco e l’acqua del Battesimo. Prometeo – secondo la mitologia greca – ruba il fuoco agli dei che ne erano gelosissimi. Per questo sconterà un terribile castigo. Gesù, invece, viene a portare il fuoco. La storia dell’umanità è segnata dal tentativo di impossessarsi del fuoco, di dominarlo e di farne sorgente di energia per la propria vita. Il fuoco illumina, scalda, purifica, fonde i metalli e li rende plasmabili… Purtroppo il fuoco distrugge. Gli incendi procurano ferite profonde nella natura (lo stiamo vedendo anche quest’anno). «Sono venuto a portare fuoco sulla terra», dice Gesù. Ed aggiunge: «Come vorrei fosse già acceso!». Ma si riferisce all’amore!
L’acqua dice vita e dice morte. Gesù allude al Battesimo che sta per ricevere, la sua Pasqua, il momento in cui darà la prova del suo slancio e del suo amore. Gli avversari vorrebbero impedirgli di parlare, di prendere posizione o di agire, ma lui prosegue il cammino che lo porterà dritto al Calvario. Nella Pasqua si compie il giudizio di Dio. Anche il cristiano è chiamato ad un giudizio sulle situazioni, ad una certa aggressività (che non ha nulla a che fare con l’intolleranza) e ad una presenza significativa che altro non è che amore. Non è possibile delegare, dilazionare, stare con un piede su due staffe. Né si può immaginare che il Battesimo introduca automaticamente in una “pace paradisiaca”. Gesù dice che non è venuto a portare pace sulla terra, ma inquietudine. Gesù fa una specie di sociogramma presentando l’immagine di una famiglia in cui ci si divide «due contro tre e tre contro due». È un’allusione ad un testo di Michea (cfr. Mi 7,6), profeta del dopo esilio, che registra come non tutti volevano tornare in Palestina, perché in esilio in molti si erano fatti il proprio “nido”, c’erano anche imperatori tolleranti che permettevano di vivere bene. All’interno delle stesse famiglie – dice Michea – c’era chi voleva tornare e chi voleva restare. In una famiglia ci può essere disaccordo a motivo di Gesù: occorre fare una scelta e vivere la conflittualità come ha fatto san Massimiliano Kolbe, che festeggiamo oggi. A noi piacerebbe che tutti fossero contenti di noi, che tutti fossero come noi; invece, la diversità, che viene tanto inneggiata, a volte fa soffrire. Non sempre siamo accettati, accolti, graditi.
L’insegnamento di Gesù è Gesù stesso. Gesù non dà un insegnamento, ma si dà lui stesso, lui che è passato attraverso il fuoco, attraverso l’acqua del Battesimo, attraverso il conflitto, semplicemente per amore, amando. La vocazione cristiana è di una serietà drammatica: vuoi vivere da “uomo nuovo”? Sì o no? Prendere o lasciare!