Omelia nella II domenica del Tempo Ordinario
Sartiano (RN), 16 gennaio 2022
Is 62,1-5
Sal 95
1Cor 12,4-11
Gv 2,1-11
Cana è il primo dei segni, dei miracoli, compiuti da Gesù. Perché la liturgia ha scelto di raccontarci questo episodio? È il primo dei miracoli, ma non è il primo episodio del Vangelo. È stato scelto perché ci fa vedere che Gesù è un grande taumaturgo? Non è tanto questo. Per evidenziare la compassione per quei giovani sposi? Forse neppure per questo. Il vero motivo è che qui siamo in presenza di una “epifania”. Se ci fu quella ai magi, nella casa di Betlemme, poi quella sulle rive del fiume Giordano con la proclamazione di Gesù Figlio di Dio, il Servo sofferente, l’amato, adesso, a Cana di Galilea, c’è la manifestazione di Gesù Sposo. Il Vangelo ci invita subito alla fede. Non c’è una manifestazione lenta, progressiva, riguardo a chi è Gesù. Gesù, fin dalla prima pagina del Vangelo di Giovanni, è presentato come il Figlio di Dio, il Verbo fatto carne. Allora è inevitabile che, fin dall’inizio, davanti a lui si prenda una decisione: credere o non credere.
Meditando questo Vangelo si possono cogliere tantissimi temi: l’intercessione di Maria e il suo invito: «Fate tutto quello che lui vi dirà»; il significato di quelle anfore vuote, poi riempite d’acqua che viene trasformata in vino.
Offro quattro sottolineature riguardo al segno compiuto da Gesù a Cana di Galilea: segno di gioia, segno di amore, segno di Pasqua e segno per gli sposi.
Segno di gioia. In effetti il primo prodigio di Gesù – l’acqua trasformata in vino – non è altro che un messaggio di gioia: siamo ad un banchetto di nozze, c’è festa. È la gioia la caratteristica che Gesù annuncia subito. Nelle risposte che sono state date in alcuni Gruppi Sinodali è stato sottolineato: «Perché la Chiesa non sembra annunciare la gioia? O meglio, perché annuncia solo quella nella vita eterna, dopo questa valle di lacrime? Non c’è un messaggio di gioia anche nel presente? La Chiesa non dovrebbe, come ha fatto Gesù, annunciare il Regno come una festa di nozze?».
Il miracolo di Cana è anche un segno di amore. Ho letto il commento di un autore che chiosa: «Venite, venite! Dio si sposa!». In effetti Gesù dà alla sua predicazione una intonazione nuziale. Quando Dio vuol parlarci del suo amore sceglie il segno dell’amore fra lo sposo e la sposa. E noi, a nostra volta, quando vogliamo dire qualcosa di grande riguardante il matrimonio facciamo riferimento all’amore di Dio. Quel vino di nozze, che è il simbolo della gioia, non è da centellinare, come si fa con ciò che svapora in fretta, o da custodire gelosamente. Al contrario, è in abbondanza, è per sempre, è il vino dell’alleanza e della gioia; la Chiesa non deve tenerlo per sé, per farne uso esclusivo, ma lo fa tracimare per offrirlo a tutti.
Il miracolo di Cana è anche segno della Pasqua. L’evangelista Giovanni non ha il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, ma presenta tre avvenimenti che la preannunciano (prolessi): Cana (il brano che stiamo meditando), il discorso del Pane di vita nella sinagoga di Cafarnao (cfr. Gv 6) e la lavanda dei piedi (cfr. Gv 13). Cana, dunque, è l’annuncio profetico del Corpo di Cristo che viene dato e del suo sangue che viene versato ed è presente Maria: come a Cana, Maria è presente nel momento della croce, quando Gesù dà interamente se stesso. Là sarà giunta la sua ora qui anticipata. Anche a questo proposito ho raccolto qualche provocazione nei Gruppi Sinodali: «Le nostre Messe non dovrebbero essere sotto il segno della gioia? Non viene condiviso il sangue della nuova Alleanza che è il vino nuovo portato da Gesù? Perché, talvolta, appaiono tristi, dimesse, poco vissute?». Dipende da noi.
Il segno di Cana è un segno per gli sposi. Molti hanno scelto il racconto delle nozze di Cana per la celebrazione del loro matrimonio. Accade, anche fra gli sposi più innamorati, che venga meno la tenerezza, il perdono, l’amore con la sua intensità. Allora è bello rileggere questa pagina e vedere come Gesù, nell’oggi della sua presenza sacramentale, assicura tutto l’amore e la tenerezza necessari. Fare memoria del sacramento del Matrimonio è una grande risorsa, soprattutto nei momenti difficili. Auguri, «venite alle nozze! Dio si sposa», si sposa con noi.