Omelia nella XVI domenica del Tempo Ordinario
Mercato Vecchio (PU), 18 luglio 2021
Professione come Oblati di Cristian Valenti e Angelo Migliozzi
Ger 23,1-6
Sal 22
Ef 2,13-18
Mc 6,30-34
«Per l’ammirabile conversione di tutta la sostanza del pane nel Corpo di Gesù Cristo e di quella del vino nel suo prezioso Sangue si contiene veramente, realmente e sostanzialmente il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità del medesimo Gesù Cristo». Eucaristia: tesoro della Chiesa! Vale più di ogni altra realtà. Per questa realtà vale la pena dare tutto. Continuo a dire “realtà”, ma sarà bene che dica la “Persona del Signore”, che è in mezzo a noi.
Angelo e Cristian, con la vostra scelta di vita, povera, casta, obbediente, aiutate tutti noi a considerare l’Eucaristia come la fonte e il culmine di tutta la vita, di tutta la missione della Chiesa. Voi, con il carisma di Maria Maddalena dell’Incarnazione, accompagnati dalle sorelle, in unità con tutta la famiglia degli Adoratori e delle Adoratrici, ci state indicando una dimensione esistenziale, un’antropologia di prim’ordine: l’adorazione! Adorare è attitudine profondamente umana; significa esprimere gratitudine, dare lode, dichiarare amore, chiedere perdono e stare con le mani alzate, le braccia elevate per tutti, e soprattutto il silenzio che attende.
Veniamo al Vangelo. Ci parla degli apostoli che tornano dalla missione che Gesù ha loro affidato. Dice il Vangelo «che tornano da Gesù». Di solito nel Vangelo di Marco c’è molte volte «andare da lui», «tornare da lui», con il pronome personale, mentre qui c’è il nome: Gesù. Quante cose evoca il nome di Gesù! Quanta tenerezza!
Gli apostoli gli parlano di quanto hanno fatto e di quanto hanno insegnato. Gesù li invita al riposo con lui, in un luogo solitario, loro soli. Sembra quasi una drammatizzazione del Salmo 23 che abbiamo cantato: «Il Signore è il mio pastore, su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce…». Un giorno Gesù estenderà l’invito a tutti: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi darò riposo» (cfr. Mt 11,28). Dunque, un invito al riposo, alla sosta, ad un tempo di intimità con lui. Qualcuno forse pensa: «Tempo perso!», mentre la terra di Israele è piena di ciechi che gridano lungo i bordi della strada, di madri da consolare, di lebbrosi da sanare, di peccatori da recuperare, di intelligenze e cuori bisognosi di ritrovare senso. Gesù invita i messaggeri a tornare a lui. Se fossi il parroco, a questo punto orienterei la meditazione su temi pertinenti a questo tempo di vacanza, con l’immancabile considerazione che purtroppo tanti non ne hanno la possibilità; offrirei una riflessione sull’utilità del tempo libero, ma ancor più sulla necessità di essere liberi a tempo pieno; inviterei a dedicare tempo alla preghiera, a non tralasciare la Messa, a non trascurare la lettura di un buon libro e – perché no? – a preparare una bella Confessione. Ma c’è dell’altro… Come talvolta accade, nel Vangelo ci sono delle apparenti contraddizioni, situazioni che confliggono fra loro, che fanno scintille: sono scintille preziosissime. Qui, ad esempio, Gesù invita alla solitudine, indica un luogo per il riposo e poi fa dietrofront: quando vede la folla che lo insegue sente la compassione; la compassione sembra far cambiare qualcosa nei programmi di Gesù. È come se per Gesù il vero riposo non consista tanto nello stare in disparte quanto nel prendere su di sé gli altri, le relazioni, soprattutto chi ha bisogno.
Sorge spesso in noi il dilemma tra preghiera e lavoro, come se si dovesse scegliere fra l’una e l’altro. In realtà, la tensione non è tanto fra azione e contemplazione, ma piuttosto fra ansia e serenità. L’unica cosa importante è cercare il Regno di Dio e il Regno di Dio consiste nell’amare, una capacità che ognuno costruisce e allarga dentro di sé. E’ meno faticoso – dopo tutto – accogliere l’altro che difendere le proprie rigidità che stancano tanto, perché chiedono troppe energie per difenderle. I rapporti, soprattutto in alcuni momenti, fanno paura, perché, come la contemplazione, esigono il vuoto interiore. Eppure, è questo vuoto che riposa. «Marta, Marta, ti agiti per molte cose», così ha detto Gesù alla donna sfinita dai preparativi per il pasto. E continua: «Una cosa sola importa: il riposo di Maria per ascoltare lui, la sua capacità di lasciare tutto per accoglierlo» (cfr. Lc 10,41-42). Gesù non si tira indietro di fronte alle molteplici relazioni; sembra che non lo affatichino. La compassione desta in lui un altro riposo. Viene a proposito quanto scrive sant’Agostino: «Dove c’è l’amore, dove si ama, non si sente la fatica e, anche quando c’è fatica, si ama questa fatica».
Carissimi Angelo e Cristian, come gli apostoli, imparate da Gesù ad essere – perché contemplativi e adoratori – sempre più a disposizione. Non appartenete a voi stessi! Continuate ad ascoltare, con i vostri fratelli e le vostre sorelle, il grido dell’umanità ed a consegnarlo alla compassione del Signore.