Omelia nella celebrazione del 1° Maggio

Pennabilli (RN), Cattedrale, 1° maggio 2021

Gen 1,26-2,3
Sal 89
Mt 13,54-58

1.

Motivi di preghiera in questo 1 maggio: apertura solenne diocesana dell’Anno giubilare dedicato a san Giuseppe, sposo di Maria, padre legale (putativo) di Gesù; ricordo grato, e per altri versi preoccupato, del mondo del Lavoro, con la presenza di una rappresentanza di lavoratori della Val Marecchia; inizio del “mese di maggio” dedicato alla Madonna con una grande supplica per la fine della pandemia, secondo l’indicazione di papa Francesco: una staffetta di preghiera per ogni giorno di maggio, da un capo all’altro del mondo, da un Santuario mariano all’altro. A questi motivi di preghiera ognuno aggiunge i suoi personali, con la certezza che il Signore ci ascolta e ci esaudisce come ritiene sia meglio, certezza accompagnata dal desiderio di una vita più santa, a partire da oggi (“fare bene il mese di maggio”). Facciamo tesoro della grazia che ci è data e delle ispirazioni al bene che sorgono in noi.

2.

Nella odierna liturgia ci è dato di rileggere alcune battute della grande sinfonia della creazione. La Parola potente di Dio «chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono», mette ordine nella creazione e introduce in essa pace e armonia, luce e bontà. Fa sorgere gli esseri. Fa vivere. Questa è la sua vittoria! Dio è il creatore del mondo e il Signore della storia. Così ce lo presenta la fede cristiana. Allora tutta la creazione è buona, perché è fatta da Dio. Ed è buona perché Dio ama le sue creature, vuole la vita e non la distruzione. Tutti siamo partecipi della sua bontà.

3.

Il Signore affida all’uomo la creazione, lasciandogli il compito di portarla a compimento. L’uomo è il re del creato. Ma l’uomo deve fare il re nel modo di Dio, non secondo il suo capriccio.
Il passo che narra la creazione dell’uomo ha un carattere di profondo ottimismo. L’uomo è immagine di Dio: c’è un abisso tra l’uomo e il resto del creato. L’uomo è capace di conoscere e di amare; sa che Dio gli parla ed è in grado di rispondere. Questa è la sua dignità. Questa è la sua responsabilità.
L’uomo domina la creazione: ciò dimostra la sua superiorità. «Credenti e non credenti – afferma il Concilio Vaticano II nella Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (GS 12) – sono concordi nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo come a suo centro e a suo vertice».
Lo sviluppo della scienza, la conquista dello spazio, i progressi della tecnica possono e debbono essere una risposta all’invito del Creatore.

4.

Notate: ad un certo punto Dio sembra sospendere il ritmo vertiginoso della creazione. L’autore della Genesi introduce un misterioso dialogo, facendoci assistere ad una deliberazione e ad una solenne decisione di Dio: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» (Gen 1,26). Questo plurale, interpretato in vari modi, sembra alludere ad un misterioso dialogo. La dignità dell’uomo è grande e grande la sua responsabilità: come Dio, l’uomo ama, conosce, domina. Ma di fronte a Dio dovrà rispondere di queste sue facoltà.

5.

Caliamo questi pensieri nell’attualità. Oggi assistiamo a modelli socio-economici che contrappongono sviluppo da una parte e sostenibilità dall’altra; si vuole lo sviluppo a tutti i costi, passando sopra al rispetto dovuto all’ambiente, alla salute, ecc. Così pure la dimensione globale, governata da grandi poteri, va contro l’autonomia locale delle persone che responsabilizza. È nostro compito riaffermare la dignità dell’uomo nella sua interezza, con il suo diritto alla salute, al lavoro e alla tutela del creato.
Si terrà nell’ottobre prossimo, a Taranto, la 49a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani. In questo grande convegno – a cui parteciperà anche una delegazione della nostra Diocesi – si intende dare un contributo concreto per sostenere ed orientare un nuovo modello di sviluppo capace di ridefinire il rapporto fra economia ed ecosistema, ambiente e lavoro, vita personale ed organizzazione sociale.
Come dicevo, l’uomo è re del creato, ma non alla maniera del despota: usa della natura e dell’ambiente, ma non ne abusa. Tutto orienta al bene comune. Dopo questi mesi di pandemia ci siamo persuasi ulteriormente di come tutto sia connesso. Ora dobbiamo prenderci cura di un grande ammalato: il nostro pianeta.

6.

Il Vangelo riporta questo interrogativo dei nazaretani. «Non è costui il figlio del falegname?» (Mt 13,55). È certo che Giuseppe avrà insegnato il mestiere di falegname anche a Gesù. Il Figlio di Dio ha lavorato come ogni uomo al mondo.
Perché lavoriamo? Molti possono rispondere dicendo che si lavora per portare il pane a casa. Verissimo. Ma forse lo scopo più vero e più profondo del lavoro dovrebbe essere quello di darci l’occasione di esprimere noi stessi. L’uomo è un “piccolo creatore”. La mancanza del lavoro è come un’amputazione alla dignità della persona. Nel lavoro ci si percepisce utili e significativi. Si porta un piccolo contributo, ma importante. La mancanza di lavoro getta nella più profonda depressione. In questo senso, il tema del lavoro ha a che fare con la fede e con la santità.

7.

Ma anche chi un lavoro ce l’ha non è detto che lo viva sempre come qualcosa che lo renda felice, che lo realizzi. A volte facciamo lavori che non vorremmo fare, non ci piacciono del tutto e li facciamo solo per necessità. Così il lavoro non è più il luogo dove io esprimo me stesso, ma dove accumulo anche frustrazioni, fatiche, malumori. Tutto questo può essere capovolto attraverso una conversione dello sguardo: fare per amore! Per il pane, per la mia autorealizzazione, per il mio posto nella società, ma alla fine si lavora per amore, per amore di qualcuno. La vera domanda è se abbiamo capito che dovremmo trovare un motivo “per cui” lavorare, per cui fare le cose.
San Giuseppe è illuminante per questa logica del “per amore”!