Omelia nella S.Messa del giorno di Natale
Pennabilli (RN), Cattedrale, 25 dicembre 2020
Is 52,7-10
Sal 97
Eb 1,1-6
Gv 1,1-18
Auguri a tutti, e con voi, insieme con voi, attraverso di voi, alle sorelle e ai fratelli della Diocesi. Voi siete nella Cattedrale, siete come la lente che mi consente di vedere ravvicinati tutti i fedeli della Diocesi di San Marino-Montefeltro, una Chiesa locale saldamente unita alla Chiesa di Pietro, il Pietro di oggi, papa Francesco.
Non possiamo non prendere l’avvio alla nostra meditazione senza fare almeno un riferimento a quello che stiamo vivendo. Tra le cose che il tempo di pandemia ci insegna c’è la necessità della preghiera. Siamo tutti in ginocchio, chi per un motivo, chi per un altro, chi per circostanze che lo riguardano personalmente, chi per i propri cari; qualcuno ha sentito la chiamata dell’Unità Sanitaria Locale che gli ha imposto la quarantena fiduciaria…
Un’esperienza molto bella che abbiamo vissuto è stata la Novena del Natale attraverso i canali web della Diocesi. Oltre quaranta famiglie, strapiene di bambini, si sono collegate ogni sera alle 20:45 per pregare insieme. Abbiamo colto un aspetto nuovo della preghiera. Siamo stati educati alla preghiera di lode, anche se talvolta contrastata da sentimenti di protesta: «Come faccio a lodare quando sono sotto un macigno?». Veniamo invitati puntualmente alla preghiera di richiesta di perdono, una preghiera che ci allinea tutti nella verità della nostra condizione di peccatori. Ci viene spontanea la preghiera di implorazione, di domanda, di richiesta di aiuto, a volte fervorosa, altre volte venata di scetticismo, perché vessata da perplessità: «Ho pregato tanto, ma non ho visto i risultati…». L’aspetto della preghiera che stiamo riscoprendo è la preghiera dentro la vita. Detto con una parola sola: la preghiera esistenziale. Consiste nel vivere insieme al Signore ogni passo, ogni preoccupazione, ogni pensiero, ogni “perché?”. Una compagnia. Questa preghiera è come una luce che, benché soffusa ed avvolgente, è calda. È contemplazione, pur nell’attività e nel quotidiano. È come un lievito che senza apparenza compie immancabilmente il miracolo del sollevamento, della crescita. Cammini in una valle oscura? Senti che in nessun modo hai potere su quello che ti succede? Ascolta, ad esempio, la preghiera del Salmo 23: «Il Signore è il mio pastore». Sarebbe bello ripercorrerlo, meditarlo, assaporarlo. La Scrittura era la prerogativa dei saggi, dei sacerdoti, dei sapienti; a volte mancava anche il papiro su cui stendere le parole o la tavoletta su cui inciderle, pertanto le parole erano contate e soppesate. Ebbene, in questo Salmo, dopo ventisei parole, prima delle altre ventisei, proprio nel mezzo, c’è la cifra più umana e nel contempo più divina della fiducia: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla… Se cammino in una valle oscura non ho paura, perché tu con me». Grande e indicibile consolazione. Al cuore di qualsiasi pericolo o avvilimento ci è dato di rinnovare con coraggio il nostro abbandono fiducioso nel Signore. Solo tre parole nella lingua ebraica: Perché tu con me, senza nemmeno il verbo espresso, in modo paratattico. Varie volte (365 volte) nelle Scritture il Signore dice ai suoi amici: «Non temere, perché io sono con te» (Is 41,10). Ma una sola volta, proprio in questo Salmo, il credente ardisce ripetere questa dichiarazione dal suo punto di vista: Perché tu con me. Difficile penetrare nel Santuario della coscienza di Gesù: è un dono concesso ai mistici. Ma è possibile immaginare che anche lui abbia fatto sue le parole di questo Salmo. Chissà quante volte deve averle pregate rivolgendosi al Padre suo: Perché tu con me. Sigla riassuntiva dell’assoluta confidenza nel Padre, a cui si rivolgeva testualmente nei Vangeli, con infinita famigliarità. Lo chiamava: «Abbà», che vuol dire “babbo” (Mc 14,36). Perché tu con me: questo è il cuore del Natale. Non vi pare?
Facciamoci portare da questa preghiera esistenziale. Quante volte nella giornata possiamo dire Perché tu con me: mentre si compiono le azioni quotidiane, mentre si fa la spesa, mentre si fa una telefonata… Sì, particolarmente in questo Natale nel quale siamo meno condizionati dal clamore, dal contorno consumistico. È un Natale più silenzioso. Il silenzio è il linguaggio di Dio (un grande teologo, Karl Rahner, ha scritto un libro molto bello intitolato: «Tu sei il silenzio»). Il Signore non ha camminato sulla terra di passaggio, come un turista, per poi sistemarsi nei piani alti del Cielo. Non è venuto a sfiorare la nostra carne, sia pure per curarla, come i medici nei reparti Covid, ben protetto dai peccati. Non è venuto per richiamarci al dovere come fa un preside, per richiamarci alla nostra vocazione tante volte tradita. No, si è fatto prossimo totalmente, uno con noi, ed è venuto per restare con la sua forza attrattiva, come la gravità, che è l’amore che attrae lo sposo alla sposa. «Il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Per un cristiano antico che leggeva il testo di Giovanni, letteralmente abitare si traduceva con piantare la sua tenda in mezzo al suo popolo. È evidente il richiamo al periodo più terribile del popolo di Israele, l’epoca del suo esilio e prima ancora del suo esodo, in mezzo alla steppa, alle prese con la mancanza d’acqua, con la minaccia dei serpenti e degli scorpioni. Perché tu con me hai piantato la tua tenda! Facendosi uomo ha riconosciuto nella nostra umanità la sua stessa immagine e l’ha restituita al suo primo splendore. «A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12).
Come vivere questi giorni? Offro un suggerimento: stare più vicini al Signore, gustarlo, fermarsi davanti al presepio, guardare i personaggi (siamo noi!). Nel silenzio adagiare sulle nostre ginocchia il libro dei Vangeli aperto alla pagina del Prologo e lasciare fioccare lentamente, ad una ad una, quelle immense parole di luce, perché in quelle righe è intrecciata tutta la storia di Dio e la nostra. Davanti a quel Bambino adagiato in una culla di pietra e di paglia, con la Chiesa confessiamo che quel Bambino è il Figlio di Dio, eternamente nascente dal Padre «Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero». A noi come ai pastori è dato di saperlo e a noi come agli angeli di cantarlo. Buon Natale!