Omelia nella S.Messa della notte di Natale

San Leo (RN), Cattedrale, 24 dicembre 2020

Is 9,1-6
Sal 95
Tt 2,11-14
Lc 2,1-14

C’è gente addossata al parapetto di un ponte che guarda l’esplosione della centrale nucleare, senza avvedersi che sta già respirando le polveri radioattive. Così inizia la serie televisiva “Chernobyl”, che probabilmente qualcuno di voi ha visto. Pressappoco quello che è accaduto a molti di noi all’inizio della pandemia. Ci fu sorpresa e subito spettacolarizzazione: si andava a vedere un telegiornale dopo l’altro. Il primo lockdown è stato preso da qualcuno come una vacanza anticipata e le zone rosse come luoghi di sofferenza vicaria (loro per noi…). Poi si è fatta più vicina ed inquietante la percezione reale della situazione carica di dolore, distacchi, solitudini, con preoccupate domande di fronte ad un nemico terribile perché invisibile, di fronte all’incrinarsi del mito del “tutto sotto controllo” e al paradosso dell’opportunità di distanziarci per salvare i legami: una contraddizione in termini.
Ora siamo ad una sorta di “collaudo strutturale” delle nostre comunità. Ci sono pilastri a rischio di cedimento, crepe da ricucire (non semplicemente da stuccare), bulloni da stringere. Fuori di metafora: l’urgenza della solidarietà, la disponibilità alle regole, la necessità di attenuare le tensioni sociali.
Intelligenza, cuore, mani giunte: queste le risorse a nostra disposizione. Intendo la ricerca scientifica e la razionalità organizzativa; gli affetti famigliari, la professionalità e il volontariato; la preghiera che infonde speranza, che pacifica di fronte alla nostra fragilità e fa vivere l’interconnessione come fraternità.
“Salvare il Natale”: è stato un appello ricorrente sulla stampa e sui social. Una espressione – a dire il vero – non senza ambiguità. “Salvare il Natale”: per qualcuno era la comprensibile preoccupazione per questi giorni di crisi commerciale ed economica; per altri un nostalgico desiderio di buoni sentimenti e di riti famigliari; per altri ancora una giusta enfasi sulla maternità in tempo di culle vuote.
Ma il senso del Natale va cercato ad altre profondità: un Dio si fa uomo, viene ad abitare in questo mondo per… restarci. Originalità ed audacia del cristianesimo!
È il Natale che salva noi. Ai cristiani, come ai pastori di Betlemme, è dato di saperlo e, come agli angeli, di cantarlo. Vorremmo poter dire a tanti che si chiedono «dov’è Dio?»: «Eccolo!». E aggiungere a ciascuno di accogliere, se vuole, il Signore, qui, adesso, in questo anno sanguinante. Anche se il cuore è appesantito e vuoto come una stalla – quella stalla – è proprio lì che Dio chiede di nascere. Starei per dire: «Sei tu il Natale di Dio».

Concludo con la citazione di un celebre scritto di un pensatore contemporaneo che si proclamava non credente, Jean-Paul Sartre. Questa pagina è scritta in un modo tale che ha fatto discutere sull’ateismo di questo pensatore. È appena un passaggio di un racconto sulla figura di Maria, rappresentato quando era in campo di concentramento a Treviri nel 1944.
«La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, e il frutto del suo ventre. L’ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in certi momenti la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio! Ma in altri momenti rimane interdetta e pensa: Dio è là e si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante. Poiché tutte le madri sono così attratte a momenti davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino e si sentono in esilio davanti a questa nuova vita che è stata fatta con la loro vita. Lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia”. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive» (Jean-Paul Sartre, Bariona o il figlio del tuono. Racconto di Natale per cristiani e non credenti). Originalità e audacia del cristianesimo!
A tutti voi il mio augurio di un santo Natale.