Omelia nella II domenica dopo Natale

Talamello (RN), 3 gennaio 2021

Sir 24,1-4.12-16
Sal 147
Ef 1,3-6.15-18
Gv 1,1-18

È come trovarci su una vetta altissima; l’orizzonte si allarga, davanti a noi uno squarcio di cielo! Giovanni, l’aquila, fissa il mistero del Verbo incarnato, Gesù Cristo, e accompagna anche noi in questo abisso di luce.
Il brano che è stato proclamato è il Prologo, introduttivo al quarto Vangelo. È composto di sette strofe che, come onde successive, si allargano e poi ritornano, e ripresentano il tema precedente approfondendolo. È un inno ed una professione di fede. Come l’ouverture di un’opera sinfonica contiene i temi musicali che verranno svolti, così nel Prologo sono concentrati e anticipati i contenuti di tutto il Vangelo.
Giovanni (prendiamo per buona la Tradizione) è a Efeso, una grande, raffinata e affascinante città dell’Impero. Lì c’è una piccola comunità ebraica a contatto con il mondo e con la cultura ellenistica. Il Vangelo secondo Giovanni, e particolarmente questa prima pagina, è un testo missionario, attraverso il quale si annuncia Gesù Cristo. Per questo Giovanni fa proprie parole di quella cultura, come la parola Logos (che viene tradotta nel latino Verbum e in italiano Parola) o le contrapposizioni verità/menzogna, luce/tenebre, vita/morte, ecc.: concetti universali tipici della riflessione filosofica del tempo. Giovanni assume parole e concetti e, dall’interno, dà loro un significato nuovo. È un esempio di inculturazione. Ma il quarto Vangelo fa propri anche i sentimenti e il modo di pensare della comunità ebraica, soprattutto il concetto di rivelazione.
Provo a dare qualche spunto di meditazione.

1.

«In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio». Si noti l’incalzare ripetuto del verbo essere all’imperfetto, con tre significati diversi. Con la sfumatura dell’esistere, un’esistenza dialogica, cioè di relazione: è il Logos, che è “verso” il Padre. Poi, il verbo essere con la sfumatura del dimorare, perché il Logos abita nel Padre. Ho usato volutamente l’espressione Padre anche se qui viene usata la parola Dio (in questo contesto Dio è il Padre). Infine, la terza sfumatura: essere come l’essenza stessa. Giovanni esprime una profonda convinzione di fede: Gesù, Logos incarnato, è Dio! È unito al Padre in un soggetto personale unico e, in Lui, esiste da sempre, prima di tutti gli esseri creati. La sua conoscenza del Padre è immediata e personale.

2.

«Dio nessuno lo ha mai visto. Il Figlio unigenito che è Dio ed è nel seno del Padre, lui ce lo ha rivelato» (Gv 1,18). Il desiderio dell’umanità: vedere Dio, parlargli, fargli domande e – perché no? – protestare. Da ricordare, nei Promessi Sposi, l’esclamazione dell’Innominato alla ricerca di Dio: «Dio, Dio, se lo vedessi, se lo sentissi!» (cfr. A. Manzoni, I promessi sposi, cap. XXIII). Senza Gesù – dice Giovanni – il desiderio di vedere Dio rimane frustrato e la frustrazione porta a fabbricarsi idoli, cioè immagini distorte, sbagliate di Dio. Ecco, allora, l’immagine di un Dio che è geloso della felicità dell’uomo, che diventa addirittura nemico dell’uomo, giudice implacabile che lo spia e non ne sopporta le fragilità. Invece l’incontro con Gesù rivela il volto di Dio. Uno dei temi importanti del quarto Vangelo è proprio quello di Gesù, rivelatore del Padre.

3.

Nel Prologo è sintetizzato il percorso del Logos nel suo incontro con noi. Il Logos è in dia-logo (relazione, comunione) col Padre, ma è anche in dia-logo (relazione, comunione) con l’umanità. È mediante il Verbo che tutto viene creato e tutto esiste. Qualche autore ha scritto che Dio crea adoperando l’alfabeto, come a dire che il Verbo è il principio di intellegibilità di tutto ciò che esiste. Il Logos accompagna il popolo di Israele nel suo cammino; attraverso i sapienti si esprime, attraverso i profeti parla, ma il momento decisivo della storia è quando il Logos si fa carne: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare (piantare la sua tenda) in mezzo a noi» (cfr. Gv 1,14). Giovanni vuole che il lettore sia persuaso che il Logos incarnato non è un’ombra e che la sua non è un’esistenza fumosa; il Logos non ha preso le sembianze di un uomo, ma si è veramente fatto uomo. La parola “carne” sta ad indicare la concretezza, ma anche la fragilità, dell’esistenza umana. Significativo questo testo di Guerrico d’Igny (1070-1157): «Poiché infatti Dio non poteva parlare a noi come ad essere spirituali, ma come ad esseri carnali, la sua Parola (Logos) si è fatta carne, affinché ogni carne potesse non solo ascoltare, ma anche vedere ciò che la bocca del Signore ha detto».
Ricordo una lezione di catechismo in cui si chiedeva: «Perché gli angeli si sono ribellati a Dio? Perché Lucifero si è fatto capo di una legione di angeli che hanno lasciato il paradiso?». La catechista rispondeva: «Perché era scandalizzato davanti al mistero dell’incarnazione, al fatto di adorare un Dio che è uomo». Ma questo è lo scandalo che ci salva!

4.

Un’ultima annotazione. Il Verbo fatto carne ci dà la possibilità di diventare figli di Dio. Non per una conoscenza estrinseca, ma facendoci partecipi della sua divina natura. Il Logos ha assunto la carne; la carne viene divinizzata, resa capace nel Logos di una relazione inimmaginabile con Dio. Anche qui un riferimento alla Genesi. I progenitori furono tentati dal serpente: «Diventerete come Dio se mangerete il frutto proibito» (cfr. Gn 3,4). Qui, invece, Gesù ci offre di essere partecipi della divinità: «Ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12). In che modo? Mediante la fede in Lui, mediante l’amore che ci ha rivelato. Allora siamo anche noi partecipi di questa vita dia-logica (relazione-comunione), una vita secondo il Verbo.
A conclusione, preghiamo con le parole del Prefazio del Natale: «In lui risplende in piena luce il misterioso scambio che ci ha redenti: la nostra debolezza è assunta dal Verbo, l’uomo mortale è innalzato a dignità perenne e noi, uniti a te (Padre) in comunione mirabile, condividiamo la vita immortale» (Prefazio del Natale, III).