Omelia nella festa di Sant’Andrea Apostolo
Caprazzino (PU), 30 novembre 2020
Rm 10,9-18
Sal 18
Gv 1,35-42a
Quando sono venuto tra voi per la Visita Pastorale ho dedicato una serata al Programma pastorale della Diocesi. Quel Programma era agli inizi, cominciava a configurarsi (il Vescovo non si mette a tavolino a scrivere il Programma: il progetto si costruisce insieme nei vari incontri diocesani). Perché un progetto? Non basta il fervore nella preghiera, praticare la carità, testimoniare la fede ed amare il Signore con tutto il cuore? No. È necessario che il pastore provi a tenere unite le “pecorelle”, per camminare tutti insieme verso una direzione. C’è il grande Programma della Chiesa che è l’Anno liturgico: ogni anno la Chiesa ci prende per mano e ci offre un percorso di spiritualità, di evangelizzazione, facendoci gustare la vita di Gesù e il suo “mistero”. Sempre più in profondità, come una spirale che si avvita. Vorremmo abbracciare tutto, tutto in una volta, tutto in un solo momento, il Signore Gesù, ma siamo sulla terra e dobbiamo svolgere e distendere il mistero della sua vita nel cerchio di un anno: questo è il Programma della Chiesa universale. Poi, c’è un altro Programma, quello che ci dà il Santo Padre papa Francesco: ci sta dicendo, ad esempio, che dobbiamo avere a cuore i più svantaggiati, i poveri. Lui ha il punto di vista di tutto il pianeta; parla tutti i giorni con personalità internazionali.
Anche la Diocesi ha il suo Programma pastorale e bisogna che le parrocchie cerchino di camminare in accordo con esso. Siamo partiti dalla constatazione che moltissimi sono cristiani senza aver mai deciso di esserlo. Siamo nati qui, ci hanno dato il Battesimo quando eravamo molto piccoli, ci hanno insegnato religione a scuola, abbiamo fatto la Prima Comunione e la Cresima… Ma abbiamo veramente incontrato Gesù?
Allora è scattato nella nostra Diocesi il bisogno di andare all’essenziale: credere in Gesù, vivo e risorto. Il nucleo incandescente del cristianesimo, del Vangelo, è che Gesù è risorto. Dodici uomini e un gruppo di donne che Gesù ha radunato attorno a sé hanno portato quel grido: «Gesù è vivo!». Se leggiamo il Vangelo in maniera disincantata vediamo che attorno a quella tomba vuota c’è tutto un movimento, un correre, un sussurrare e poi un proclamare ad alta voce: «È vivo!». Da allora il cristianesimo si è propagato in tutta la faccia della terra.
Abbiamo dedicato due anni a riconsiderare la risurrezione di Gesù e a farla nostra, a ricordarci che c’è un sacramento che ci fa vivere la risurrezione: il Battesimo. Dopo aver ricevuto il Battesimo possiamo dire con san Paolo: «Siamo morti tornati alla vita» (Rm 6,13). Così pensavano di sé i primi cristiani.
Quest’anno abbiamo sottolineato molto il tema della missione: annunciare Gesù, darci da fare, organizzare eventi… Poi è arrivato il Coronavirus e i nostri programmi, convegni, assemblee sono stati annullati.
Questa mattina, meditando la figura di sant’Andrea, ho notato in lui una forma di apostolato, di missione, adattissimo per questi giorni di distanziamento sociale: la missione “a tu per tu”.
Andrea – annota il Vangelo – è rimasto con Gesù in quel giorno benedetto del suo primo incontro; ha accolto l’invito: «Venite e vedrete». «È andato e ha visto» (v.39). Tutto è cominciato con quella giornata di intimità con il Signore.
Andrea non tiene per sé l’esperienza vissuta; ci furono molta luce e molta gioia per lui in quel giorno.
«Chi trova un amico trova un tesoro» (Sir 6,14): Andrea ha trovato il tesoro, la perla. Quella sosta dalla fatica di pescatore vale per lui più di una rete piena di pesci (cfr. Mt 13,44-47). Corre subito da suo fratello Simone (che Gesù chiamerà Pietro) per comunicare quello che ha vissuto e imparato: scatta una comunione d’anima. Con quali parole? Con quale grado di confidenza? Andrea ha lo slancio che vedremo nelle donne e nei discepoli il mattino di Pasqua. Non porta dei ragionamenti, non dice “verità astratte”, racconta di un incontro: «Abbiamo trovato il Messia» (v.41). Da una parte questo dimostra l’intensità dell’esperienza vissuta e dall’altra il suo entusiasmo.
Si direbbe che Andrea fosse preparato a questo incontro. Tutto lascia pensare che facesse parte di coloro – puri, semplici, aperti – che «aspettavano la redenzione di Israele» (cfr. Lc 2,38), come Anna, Zaccaria, Giovanni Battista, Giuseppe, Maria. Andrea frequentava Giovanni Battista; fu a causa della sua indicazione che si mise sulle tracce di Gesù. Potremmo pensarlo come uno di quegli “anawim” che attendono tutto dal Signore, “i piccoli” di cui parlerà Gesù (cfr. Lc 10,31; Mt 10,25,40, 42; ecc.).
Andrea è affettuoso: racconta tutto al fratello. La notizia dell’incontro, la novità, non passa come un verbale, ma scorre sui toni dell’affetto, della confidenza, dell’amicizia. Quanto sono importanti i rapporti! Davvero la missione è un atto di amicizia: è perché vuoi bene a quella persona e a quelle persone che le metti a parte della tua scoperta. Così Andrea presenta suo fratello Simone a Gesù.
Questa attitudine di Andrea ad essere “conduttore a Gesù” affiora altre volte nei Vangeli: quando porta a Gesù il ragazzo coi cinque pani e i due pesci (Gv 6,9), quando introduce presso Gesù i greci che desiderano incontrarlo (Gv 12,21-22).
Pietro si arrende e aderisce subito all’invito di Andrea: si fida di lui. Andrea è un missionario affidabile! Pietro è un impulsivo, lo si vede dai racconti evangelici, ma non è superficiale. Si fida di Andrea e basta!
È lecito immaginare che tra i due fratelli ci sia stato uno scambio di opinioni con domande e risposte. Alla fine, Andrea conduce Simone direttamente da Gesù: sarà il Maestro a parlare al cuore di Simone. È tipico del vero missionario non essere invadente e mettersi da parte come fanno, ad esempio, il Battista (cfr. Gv 3,30) e il diacono Filippo (At 8,39).
Andrea «guidò il fratello alla sorgente stessa della luce con tale premura e gioia da non aspettare nemmeno un istante» (Giovanni Crisostomo, Om 19,1).
Chiedo l’intercessione dell’apostolo Andrea perché faccia di ognuno di noi un missionario che conduce a Gesù. Possiamo fare tanto anche in questo periodo in cui non ci sono assemblee, convegni, raduni, catechesi pubbliche. Basta non avere paura di dire quella parola, di esprimere quel gesto affettuoso, quella carezza, o di compiere quel servizio nel nome di Gesù. Così sia.